Il Dente del Sief

1917

Nei mesi successivi si verificarono solo azioni di pattuglie; nel frattempo i lavori austriaci procedevano con mezzi di prim'ordine e gli italiani ampliarono la galleria "Figus" scavando uno sbocco di 6 metri a mo' di presa d'aria. Tale galleria venne collegata al posto avanzato "Bonanomi" ed alla galleria "Veschi". Per la contromina si scavò un pozzo di 20 metri culminante in un ramo di galleria lungo 18 metri e dotato di una camera di scoppio della capacità di 5000 Kg di esplosivo. Verso la metà di agosto il minaccioso avanzamento della galleria austriaca fece sì che tutta l'attenzione della 12ª si rivolgesse al servizio d'ascolto: alla fine del mese si poteva valutare in 30 metri la distanza tra le due gallerie, mentre il 10 settembre si era ridotta a 15 metri. Il brillamento delle cariche austriache si ripeteva con precisione alle 6, alle 12, alle 18 ed alle 24 di ogni giorno. Il lavoro di contromina non era per nulla facile, per cui il comando italiano decise un attacco contro la vetta del Sief per impadronirsi dell'imbocco della galleria austriaca. Nelle prime ore del 20 settembre, dopo 30 minuti di fuoco di artiglieria, reparti del 46° Reggio svolgevano azione dimostrativa verso est, mentre elementi del II/45° e della 12ª raggiungevano l'obiettivo. Il ten. Adami del Genio aveva il compito di prendere i rilevamenti delle posizioni austriache, in modo particolare della galleria di mina. Gli austriaci vennero sorpresi dall'impeto degli italiani ma gli obici del cad. Petermayer ed i contrattacchi del 73° IR (Eggerländer) costrinsero gli italiani a ripiegare. Nel corso dell'azione caddero il ten. Adami, i soldati Melillo, Terrana, Barrese, e Garofalo. In totale in un paio d'ore gli italiani persero 15 ufficiali e 355 soldati.
Sief
Nel frattempo il lavoro austriaco in galleria era ripreso: il cap. Maggio (comandante della 12ª compagnia minatori), il col. Tatoli (comandante del Genio d'Armata) ed il magg. Abbamonte (cap. del Genio divisionale) concordarono di procedere con il caricamento della contromina. Il 25 settembre ebbe inizio l'opera con squadre di 10 uomini, sotto la supervisione di 3 ufficiali. Nella sera del 26 le 5 tonnellate di esplosivo erano state poste nella camera di scoppio, successivamente intasata con 1500 sacchetti di terra e materiale di scavo. Alle 9.30 parte l'ultima volata della mina austriaca; alle 9.45 i minatori austriaci riprendono il lavoro ed alle 9.50 l'innesco elettrico della mina italiana è pronto. Alle 10 il cap. Maggio fece esplodere la mina: "Un boato enorme che si ripercosse lugubremente nella valle, un rovinio di massi; poi una densa, caliginosa, immane nube di polvere, di terra e di fumo avvolse ogni cosa. L'esplosione, pur arrecando notevoli danni alla galleria austriaca, non interruppe il tenace lavoro di scavo dei nostri avversari."
Gli italiani provarono allora a studiare un'altra galleria che, partendo dalla "Figus", potesse arrivare al posto avanzato austriaco; il lavoro preparatorio venne portato a termine in due giorni grazie ai rilievi del ten. Confalonieri. Il 30 settembre iniziano i lavori di scavo con 4 motori e 4 squadre di minatori che si alternavano nelle 24 ore: l'avanzamento era di circa 4 metri al giorno. Il 20 ottobre, la galleria "Adami" era lunga 70 metri, ma il 21 alle 22 gli austriaci facevano scoppiare la loro mina: "Un colpo tremendo scosse la montagna nelle sue viscere più profonde e, quasi contemporaneamente si aperse una vasta ferita (di metri 80 x 35) avente la forma di un cratere di vulcano in eruzione. Il cupo boato dell'esplosione si ripercosse sinistramente nelle vallate circostanti, seguito dallo scroscio di macigni divelti e rotolanti giù per i fianchi dirupati della montagna."
La mina, nonostante fosse stata caricata con 45.000 Kg di esplosivo, causò solo lievi danni alle opere italiane. Più gravi furono le conseguenze sui Montucoli, dove le frane di massi provocarono 15 morti e 37 feriti. Afferma Schemfil: "Costringemmo gli italiani a ripiegare sull'ultimo ciglione del Dente, e intendevamo proseguire ancora nei nostri sforzi per spingerli oltre questo estremo cocuzzolo di roccia. Intendevamo proseguire la nostra perforazione in modo da far saltare il Roccione anche sul lato est, ove questo si staglia a picco sul Vallone del Sangue ma non ve ne fu bisogno."
Ai primi di novembre infatti gli italiani abbandonarono le posizioni; il Col di Lana, senza colpo ferire, ritornava in mano austriaca.

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