Il sergente Costa

di Luciano Viazzi

Fra gli uomini che si distinsero dobbiamo segnalare il sergente Pietro Costa di Roccapietore comandante di un'arma della 6ª sezione mitraglieri del "Belluno". Egli ebbe la costanza di rimanere in agguato dietro una stretta fenditura di roccia per una decina di giorni, avendo così modo di sorprendere e disperdere col fuoco infallibile della sua arma numerosi gruppi di soldati austriaci che, ritenendo d'essere nascosti alla nostra vista, si aggiravano nei pressi delle cucine da campo in Valparola, nel periodo in cui veniva distribuito il rancio. Quest'arma, designata scherzosamente col termine di "moschicida", venne presa di mira dagli austriaci per farla tacere definitivamente: la sera del 30 ottobre, vi puntarono contro i due pezzi da 72,5 del Sasso di Stria e alle prime luci dell'alba aprirono il fuoco. Contemporaneamente, la postazione veniva cannoneggiata anche dagli obici da 240 mm e battuta da una mitragliatrice annidata alla testata del canalone di Andraz. Il Costa, senza perdersi d'animo, rivolse il tiro della sua arma contro quest'ultima minaccia, ch'era la più vicina e pericolosa. Espostosi allo scoperto, veniva gravemente ferito alla gola, ma non abbandonava la lotta e continuava imperterrito a sparare, finché lo ressero le forze. Sfinito ed esangue, a causa dell'inarrestabile emorragia cadde nei pressi della sua arma, anch'essa crivellata di colpi.
Verso le 8 del mattino, giungeva sulla postazione il maggiore Martini, che si congratulava con lui per l'eroico comportamento. Nello stringergli la mano ebbe gli abiti macchiati di sangue. Il Costa, visibilmente commosso, chiese un notes per rispondere al suo comandante, in quanto la ferita alla gola non gli permetteva di parlare e scrisse col lapis la seguente frase: "Sono spiacente di non potermi vendicare...". I medici, in un primo tempo, constatando la quantità di sangue perduto, giudicarono il suo caso disperato, ma l'eroico sottufficiale riuscì a sopravvivere. Durante l'intera giornata del 31 ottobre, fra gli atroci spasimi cagionatigli dalla ferita, conservò lucidità di mente ed elevatezza di spirito combattivo. La sua forza d'animo era tale che, la sera stessa, anziché farsi calare in un sacco legato a una fune come tutti gli altri feriti gravi, volle assolutamente scendere al posto di medicazione da solo e senza alcun aiuto. Quantunque fosse molto preoccupato per questa sua performance, il maggiore Martini la considerò un segno di vitalità e un buon auspicio per la guarigione.
Malgrado la lunga permanenza in diversi ospedali, non riuscì più a ristabilirsi completamente. Destinato a un servizio sedentario in retrovia, insistette inutilmente per tornare a combattere con il suo vecchio reparto.