Testimonianze nemiche sull’Eroe del Sasso di Stria
di Angelo Fusetti (archivio Franco Licini)
Sul numero de “L’Alpino” del luglio 1933, Angelo Fusetti fratello di Mario – eroe del Sasso di Stria – forniva un sunto di particolareggiati resoconti da lui raccolti sull’azione svoltasi il 18 ottobre del 1915. La vicenda venne da lui ricostruita, non solo sulla base dei ricordi dei superstiti italiani della pattuglia, ma anche grazie alla testimonianza del tenente austriaco che guidò i Kaiserjäger alla riconquista del Sasso in quella tragica giornata. L’ufficiale austriaco venne rintracciato grazie all’interessamento del gen. Ettore Martini e del prof. Piero Pieri.
Il Sasso di Stria, dirupa punta rocciosa sul passo di Falzarego, costituiva per il nemico, nell’ottobre 1915, non solo un caposaldo delle difese della Valparola, ma un ottimo osservatorio che vigilava i nostri movimenti lungo la strada delle Dolomiti e dirigeva i tiri d’artiglieria.
Un reparto del 3° Regg. Kaiserjäger presidiava fortemente la cima più bassa e la selletta dominanti il passo Falzarego e l’imbocco della Valparola. La vetta più alta (2477) serviva da osservatorio d’artiglieria e il nemico vi saliva procedendo per lo schienale poco ripido, partendo dalla Tagliata Tre Sassi; riteneva il luogo inaccessibile dalla parte nostra.
[Scrive il ten. Col. Schemfil: La cima del Sasso di Stria era stata sino allora non occupata pure dalle truppe bavaresi a causa della sua supposta inaccessibilità].
L’81° Regg. Fanteria, trincerato nel bosco Buchenstein, ebbe il compito di conquistare lo sbarramento di Valparola e la Selletta del Sasso di Stria nell’offensiva che doveva sferrarsi dalle Tofane al Col di Lana il 18 ottobre 1915.
Il colonnello Achille Papa (Medaglia d’Oro caduto nel 1917), che comandava l’81°, nel comunicare ai suoi ufficiali l’ordine di operazione, espose la necessità di conquistare anzitutto la vetta più alta del Sasso per battere dall’alto il nemico annidato nella Selletta e facilitare l’accesso di qualche plotone che avrebbe dovuto scavalcare lo schienale del Sasso di Stria e portarsi alle spalle del nemico in Valparola per agevolare la conquista dello sbarramento che era stata prima più volte inutilmente tentata. Senza esitare, il sottotenente Mario Fusetti, si offerse per eseguire un’azione di sorpresa sul Sasso. In pochi giorni organizzò una pattuglia di 14 uomini fra cui due sottufficiali e 3 allievi ufficiali che volontariamente e entusiasticamente si unirono a lui; studiò la via di accesso e la sera del 17 alle ore 19 partì dai pressi del Castello di Buchestein e, portatosi sotto la parete occidentale del Sasso, ne iniziò la scalata con la pattuglia, cercando di evitare il minimo rumore che potesse dare l’allarme al nemico. Raggiunse la cresta verso le 2 della notte, dopo sforzi inauditi, validamente coadiuvato dai suoi. Quattro soli ne mancavano, che a metà della salita faticosissima e resa più ardua dal continuo rotolare di sassi e dall’oscurità, si erano arrestati incapaci di proseguire.
Sulla cresta nessun nemico; fu trovata e tagliata subito la linea dell’osservatorio.
Fusetti proseguì verso la vetta convinto di trovarvi e sorprendervi il presidio nemico. Vi arrivò verso le 4 attraverso un ripido camminamento in parte naturale. La cima angusta era deserta, limitata verso la Selletta da pareti a picco. Sotto si trovava il presidio dei Kaiserjäger ancora ignari.
A questo proposito, scrive il ten. Stradal:
“L’impresa fu molto azzardata e ci volle una buona dose di coraggio per arrampicarsi sulla parete perché il piede sud era occupato dai Kaiserjäger. Le difficoltà quindi non furono soltanto dal punto di vista alpinistico ma anche dal punto di vista militare”
Fusetti assegnò i posti ai suoi in modo da poter colpire dall’alto il presidio della Selletta al momento dell’attacco che doveva sferrarsi al mattino e da proteggere l’ascesa del primo rincalzo costituito da un plotone organico.
Arrivarono infatti 5 uomini che si unirono alla pattuglia cosicché Fusetti ritenne che gli altri seguissero presto. Invece all’alba i rincalzi, per cause non precisate, non erano ancora giunti. Saliva invece per i camminamenti da nord un gruppetto di austriaci con in testa il ten. Henrik Stradal, un caporale e un sottotenente che si avviavano all’osservatorio. Quando i nostri se li videro vicini intimarono loro la resa, ma riuscirono a catturare solo il caporale, perché il tenente e i sottotenente fuggirono. Dovettero far fuoco su di loro, ferendo gravemente il sottotenente. Conferma lo Stradal:
“Fu fatto prigioniero il mio caporale, io riuscii a fuggire. Fu ferito gravemente al viso un giovane sottotenente d’artiglieria che fu raccolto più tardi”
Lo Stradal destò l’allarme e da quel momento si iniziò sul Sasso una vera caccia all’uomo; scrive il ten. col. Viktor Schemfil:
“Il maggiore Ullman mandava anzitutto per la cacciata degli italiani un piccolo reparto che consisteva nel sottotenente Hazon, una guida alpina e venti Kaiserjäger della 9ª Compagnia. Questo si era proposto di incominciare la salita dallo sbarramento dei Tre Sassi, ma s’attirava il vivo fuoco nemico e doveva retrocedere. Nella direzione di lassù partivano per altra via due altri distaccamenti, con il medesimo compito. Li formavano: il capo plotone Rieder con 14 cacciatori e il capo plotone Frankauser con 6 cacciatori. Frattanto il ten. Stradal teneva in scacco gli italiani con gli artiglieri e gli uomini del 10° posto di guardia, (cioè di quelli che presidiavano la Selletta).
Non meno di 50 uomini quindi sparavano su quei pochi, saltando di roccia in roccia.
Fusetti, calmo e deciso a tutto, suddivise i suoi, organizzando la difesa e l’adempimento dell’azione assegnatagli. Alcuni ebbero incarico di battere a fucilate e con le bombarde il posto austriaco della Selletta, per facilitare l’attacco da parte di altri reparti dell’81° che già spuntavano dal bosco con quel compito. Altri furono appostati in una trincea naturale verso nord, per respingere i Kaiserjäger che tentavano di inerpicarsi e proteggere ad oltranza il punto di sbocco dei rincalzi.
Vide subito, il Fusetti, che il mancato arrivo di questi durante la notte rendeva disperata la situazione della pattuglia; sentì che il nemico lo avrebbe bentosto accerchiato, e non solo non pensò alla resa, ma, fatte con una bandierina tricolore le segnalazioni convenute alla nostra artiglieria, che tosto aprì il fuoco, continuò ad esporsi sulla cima per rincuorare i suoi e per osservare l’inoltrarsi dei plotoni attaccanti la Selletta, incitandoli con la voce. Ad uno dei suoi che lo pregava di ripararsi, rispose alzando le spalle, sorridente. Continuò ad andare calmo da un posto all’altro, portando a tutti conforto e speranza.
Il fuoco di quei pochi fu talmente efficace che verso le 11 del mattino una parte del plotone di rincalzo con un sottotenente riuscì a raggiungere la cresta a metà dello schienale, non vista, e solo poco dopo fu raggiunta e catturata dai Kaiserjäger.
Quasi contemporaneamente Fusetti, benché il nemico imbaldanzito e cresciuto di numero avesse intensificato il fuoco, e benché i suoi tentassero di trattenerlo, volle di nuovo affacciarsi a sparare e scrutare verso la Selletta. Una fucilata lo colpì in piena fronte. Ebbe “la bella morte” da lui amata, “di fronte al nemico che non temeva”, come lasciò scritto in un nobile testamento.
I suoi ne difesero il corpo fino alle 4 di pomeriggio quando, esaurite anche le munizioni dei caduti, i primi Kaiserjäger poterono avvicinarsi a loro guidati dal tenente Stradal, che del monte conosceva tutti gli accessi. Scrive egli stesso:
“Quando arrivammo il primo Kaiserjäger ed io sulla cima, verso le 4 del pomeriggio, (siccome il passaggio era molto stretto potevamo camminare soltanto due per volta), passammo subito all’attacco da vicino e in quest’ultimo scontro rimasero uccisi altri due o tre italiani. La parte rimanente della pattuglia non si arrese per vigliaccheria, questo voglio accentuare, ma gran parte di loro era già stata ferita durante il precedente fuoco di fucileria ...
... Al crepuscolo vennero condotti giù i prigionieri; erano quasi tutti feriti al braccio perché, sporgendosi verso la cresta più bassa, offrivano una buona mira ai nostri Kaiserjäger ... Credo che i morti furono messi in un crepaccio profondo e stretto situato più a nord ... Credo di ricordarmi che i morti erano proprio in fondo al crepaccio dall’alto appena visibili”.
Il sole calante salutò quel Morto sulla cima, ed i superstiti che scendevano, scortati, arrossarono di sangue la neve.
Oggi una croce sulla vetta ricorda a chi la scorge dalla valle del Cordevole, che quegli scoscesi dirupi nascondono i suoi resti uniti a quelli dei valorosi soldati che caddero con lui.