Nazione Bortoli Serafino

Grado Sergente

Mostrina  7° Alpini, battaglione Belluno

Ritratto

Nato il 3 maggio 1891 a Canale d'Agordo (BL)

Morto di vecchiaia l'1 agosto 1978 a Falcade (BL)

Decorazioni

Decorazione Croce di Guerra

Faceva parte volontariamente di una pattuglia che con successivi appostamenti preparati durante tre notti riusciva a portarsi sopra un trinceramento nemico e bombardarlo con granate a mano costringendo a fuga disordinata i difensori.
Tofana II, 24 agosto 1915

Decorazione Medaglia d'Argento

Fu tra i primi a raggiungere la sella tra il Castelletto e la Tofana 1ª distinguendosi per attività e coraggio; fu quindi anima e guida di una pattuglia di 4 uomini che si spinsero audacemente sopra l'ingresso della caverna occupata dal nemico, obbligandolo alla resa e traendo prigionieri ben 40 uomini tra i quali 2 ufficiali.
Castelletto Tofana I, 13 luglio 1916

Note biografiche

Figlio del maestro elementare Celeste Bortoli e di Giuditta Piaz, Serafino nasce il 3 maggio del 1891 a Fedér, una frazione di Canale d'Agordo, in Val del Biois, provincia di Belluno. Un tempo l'economia di quella valle era in gran parte sostenuta dalla lavorazione dei metalli estratti dalle miniere della Val di Garés, ma all'inizio del '900 i tempi erano cambiati e le possibilità di lavoro, da quelle parti, scarseggiavano davvero. Giuditta ha dodici figli da sfamare e anche Serafino, poco più che adolescente, deve contribuire al sostegno della famiglia emigrando alla ricerca di un lavoro. Il ragazzo, già dalle scuole elementari, aveva dimostrato una grande passione per il disegno e recatosi in Svizzera, grazie alla sua abilità, viene assunto come apprendista imparando il mestiere del decoratore. All'età di vent'anni rientra in Italia per prestare il servizio militare di leva e, aggregato al Battaglione "Feltre", parte per la Libia. Il 28 settembre del 1912 gli viene attribuito il grado di caporale e lo stesso giorno lo imbarcano per la Tripolitania. Gli alpini del "Feltre", assieme a quelli del "Tolmezzo", vanno a formare un reggimento "Speciale" agli ordini dell'allora colonnello Antonio Cantore. Il 2 ottobre gli alpini si accampano alla periferia di Tripoli e qualche giorno più tardi si trasferiscono ad ovest, presso l'oasi di Zanzùr. Alla fine del mese, terminato il servizio di leva, Serafino Bortoli fa ritorno in Patria sbarcando il 30 novembre al porto di Genova. Tornato al suo lavoro di decoratore, nel luglio del 1914, trovandosi all'estero, non può presentarsi al richiamo alle armi. Risponde più tardi alla mobilitazione generale raggiungendo, il 20 aprile del 1915, il Comando Deposito del 7° Alpini a Belluno. Dopo un brevissimo periodo di istruzione, il 23 maggio parte per Rocca Pietore, in zona Marmolada, dove si trova già acquartierato il suo battaglione. Serafino viene assegnato ad un plotone della 77ª compagnia e in zona Fedaia-Padon riceve il battesimo del fuoco. Il 27 giugno il suo battaglione viene messo a disposizione del IX Corpo d'Armata e, fresco di nomina a caporalmaggiore, in qualche giorno di marcia, anche Bortoli raggiunge la Val Costeana. Ai primi di luglio la sua compagnia, durante gli attacchi alla Forcella Bos rimane di riserva; in quei giorni anche Serafino, come gli altri reduci dalla Libia, è rinfrancato dalla notizia che, a comandare i prossimi attacchi, ci sarà il General Cantore. L'entusiasmo degli alpini dura però molto poco perché il 20 luglio "el Vecio", per colmo di sventura, viene colpito in piena fronte da un colpo di fucile mentre si sta accertando di persona dei progressi ottenuti verso Fontananegra. Nonostante la morte del Generale, assieme al 45° fanteria, il giorno dopo la 77ª compagnia del "Belluno" occupa alcune posizioni sulla Tofana I, e più tardi, nell'assalto contro gli jäger bavaresi, Serafino Bortoli ha modo di meritare un Encomio solenne perché: "Nell'azione del 2 agosto 1915, a Forcella Fontananegra, rimaneva molte ore in una posizione battuta dal fuoco nemico, contribuendo efficacemente con tiri aggiustati ad impedire ogni movimento offensivo ad un gruppo di nemici annidati fra i sassi".[1]
L'azione, comandata dal maggiore Ottolina - lo stesso che, con pochi altri, aveva assistito personalmente alla morte di Cantore - costa al "Belluno" gravi perdite, ma alla fine quella maledetta forcella è conquistata. Gli austriaci si ritirano creando tuttavia una nuova linea di difesa appena seicento metri dietro le precedenti posizioni. Gli alpini non sono però intenzionati a dar loro tregua e mentre le altre compagnie del "Belluno" scendono a riposo a Campo di Sotto, quelli della 77ª organizzano squadre di rocciatori che, dall'alto della Tofana II, molestano di continuo i kaiserjäger. Durante una sortita Serafino Bortoli merita un altro Encomio solenne che, successivamente, sarà commutato in Croce di Guerra al Valor Militare[2].
Il 25 novembre Bortoli segue la sua compagnia in Val Cordevole dove partecipa alle azioni sul Col di Lana rimanendovi fino alla vigilia di Natale. Rientrati a Col, vicino a Cortina, nei mesi successivi gli alpini della 77ª vengono impiegati, tra l'altro, nelle operazioni di preparazione della mina del Castelletto che portano, alla fine dei lavori, allo scavo di 2200 metri cubi di roccia. La mina di 35 tonnellate di gelatina esplode alle 3.40 dell'11 luglio del 1916. Serafino Bortoli è tra i protagonisti delle successive fasi di conquista delle postazioni nemiche devastate dall'esplosione. Con la sua squadra, composta da dieci uomini, seguendo gli alpini minatori di Cadorin e Malvezzi, deve percorrere la galleria fino al foro di sfiato e da lì, salendo per il Camino dei Cappelli, raggiungere le creste del Castelletto. Avvenuto lo scoppio, verso le quattro di mattina, entra fra i primi con la lampada in mano, ma dopo una ventina di metri viene colto da una strana stanchezza e sviene. Sono gli effetti del "pojan", il malore che coglie i minatori quando respirano i gas prodotti dalla deflagrazione degli esplosivi. Serafino rotola in basso ma, trascinato prontamente all'aperto, in breve tempo si riprende. Il giorno dopo è già in piena forma e il suo comandante, il capitano Renzo Cajani, gli chiede di tentare la salita al Castelletto lungo il canalone esterno. Viene organizzata una pattuglia di soli quattro uomini perché, come avverte lui stesso, una squadra più numerosa avrebbe certamente maggiori difficoltà nel salire lungo quella ripida scarpata ricoperta dagli instabili detriti di roccia frantumata. Assieme al caporalmaggiore Bortoli ci sono Luigi Comiotto da Sedico, Giovanni Andrich da Canale d'Agordo e Giovanni Embizeni. La salita inizia verso le 23 del 12 luglio; al più piccolo urto di un fucile contro la roccia, o al rotolare di una pietra, gli alpini si bloccano per dare la sensazione, se vi fosse all'ascolto una sentinella, che il rumore è stato causato dall'assestamento di qualche masso. Finalmente, verso le quattro di mattina, la pattuglia arriva in cresta e si trova davanti a un ammasso di rocce sconvolte; una figura si muove, gli alpini lanciano due bombe a mano e vedono l'ombra stramazzare al suolo. Da una caverna lì vicino escono alcuni kaiserjäger sparando alla cieca. I quattro assalitori rispondono al fuoco e Bortoli urla dei comandi per dare l'impressione che gli attaccanti sono numerosi. Gli austriaci si ritirano in fretta nel cunicolo e da lì iniziano a sparare con una mitragliatrice. Due alpini salgono, non visti, al di sopra dell'entrata e gettano all'interno alcune bombe a mano. I difensori si rintanano nella caverna e Comiotto, a carponi, si fa avanti impossessandosi della mitragliatrice. Bortoli parla il tedesco abbastanza bene e urla ai difensori di arrendersi, minacciando altrimenti di lanciare in quel buco delle bombe a gas asfissiante. Qualcuno si fa avanti emergendo dal buio con le mani alzate, ma Bortoli gli intima di tornare indietro, e che a presentarsi sia il solo comandante: non vuole che i tedeschi scoprano di aver a che fare solo con una manciata di uomini. Il comandante si presenta e in italiano dice: "Prima nemici e ora amici" e porge la mano per farsela stringere. Tolto il dito dal grilletto, Bortoli ricambia il saluto e si fa consegnare la rivoltella intimando all'ufficiale di far uscire i suoi uomini, uno ad uno, con le mani alzate, a distanza di qualche minuto l'uno dall'altro. Tre alpini restano presso l'uscita della caverna e l'altro accompagna ciascun prigioniero avviandolo verso il canalone lungo il quale stanno già salendo altri alpini. Alla fine saranno evacuati ben 40 austriaci tra i quali due ufficiali. Il bottino ammonterà a una mitragliatrice con buona scorta di munizioni, un lancabombe con numerosi colpi e una quarantina di cassette di bombe a mano[3]. Qualche giorno più tardi, a Vervei, i quattro protagonisti dell'impresa sono decorati con medaglie al valor militare: d'argento al capo pattuglia e di bronzo agli altri. La motivazione per la medaglia assegnata a Serafino Bortoli è proposta dal suo steso comandante, il capitano Cajani[4].
Il colonnello Tarditi appunta al petto degli altri coraggiosi la medaglia di bronzo mentre il capitano, fiero di quegli uomini, ad alta voce ripete per ciascuno di loro la stessa motivazione: "Volontariamente fece parte di una pattuglia che si spinse audacemente sopra l'ingresso di una caverna occupata dal nemico obbligandolo alla resa e traendo ben quaranta prigionieri, due dei quali ufficiali." Castrelletto, 11-13 luglio 1916.[5]
Ma ancor più delle medaglie, ai quattro ardimentosi alpini giunge gradita la migliore delle ricompense: una licenza premio di quindici giorni accompagnata da una regalia di lire cinquanta. In considerazione della sua esperienza e delle capacità dimostrate, il 13 agosto del 1916 Bortoli è promosso al grado di sergente e diventa l'uomo di fiducia del suo comandante, affiancandolo nei successivi avvenimenti che coinvolgono la 77ª compagnia del "Belluno", fino alla data del 3 luglio del 1917 quando l'intero battaglione lascia la Val Costeana per trasferirsi nella zona della II Armata, nella valle dell'Isonzo, per partecipare all'offensiva della Baisizza. Nei combattimenti di Siroka Niva, il 23 agosto, il sergente Bortoli riporta una ferita da pallottola esplosiva alla mano sinistra e viene ricoverato all'ospedale. Per questo fatto sarà autorizzato a fregiarsi di uno speciale distintivo d'onore. Il 26 marzo del 1918 Serafino rientra al deposito del 7° Alpini ma, nel frattempo, il 9 dicembre dell'anno prima, il suo battaglione si era sciolto per deficienza di complementi. Nei combattimenti della Bainsizza, in quelli successivi sul Monte Nero e sullo Stol, durante la ritirata di Caporetto e infine, nell'ultima resistenza al bosco del Cansiglio, il "Belluno" aveva perduto tra morti, feriti e prigionieri, quasi tutti i suoi elementi. Per le gravi conseguenze della ferita alla mano, a Serafino Bortoli viene riconosciuta l'invalidità permanente e dopo una licenza straordinaria è inviato in congedo assoluto. L'11 settembre del 1919 mette su famiglia sposando Maria De Biasio e torna a vivere in Val del Biois, a Caviola, una frazione di Falcade. Per ragioni di lavoro, nel 1925 si trasferisce a Vittorio Veneto facendo ritorno a Caviola nel gennaio del 1929. Assistito da suo fratello Attilio, nel 1976 Serafino pubblica un opuscolo dal titolo "La fase conclusiva della conquista del Castelletto - 11-13 luglio 1916 - Un episodio della guerra di montagna"[6] nel quale rivendica, per sé e per gli altri tre componenti la pattuglia, l'espugnazione dell'ultimo caposaldo austriaco sul Castelletto, fornendo ampia documentazione a supporto delle sue affermazioni. Con una lettera datata 5 gennaio 1972, l'avvocato Renzo Cajani, che all'epoca dei fatti comandava la 77ª compagnia del "Belluno", conferma l'accaduto. Il 1° agosto del 1978 Serafino Bortoli muore all'età di 87 anni. Riposa ora all'ombra delle sue montagne nel cimitero di Caviola.

NOTE

[1] Ordine del Giorno del Reggimento in data 16 marzo 1916.
[2] Decreto Luogotenenziale 22-7-1916. (B.U. 1916 - dispensa 61a - pagina 3310) R. Decreto 9 luglio 1923 (B.U. 1923, pag. 2219)
[3] L'azione descritta da Serafino Bortoli e confermata dall'allora capitano Renzo Cajani è ripresa solo da alcuni scritti, mentre altri riportano gli avvenimenti in altro modo. Comunque sia, la conquista del Castelletto fu indubbiamente resa possibile grazie all'assieme di numerosi valori individuali. Il sottotenente Soave giunse anch'egli, più tardi, a dar manforte per l'evacuazione dei prigionieri; la squadra del sottotenente Benciolini, con una mitragliatrice piazzata in quota, che al momento dell'esplosione rischiò di saltare per aria assieme alla montagna; il sottotenente Piovesana anche lui tra i primi ad affacciarsi sul cratere della mina; Giovanni Del Vesco, dei volontari alpini "Feltre", che salì sul Castelletto nonostante avesse un braccio fratturato e tutti gli altri che spontaneamente offrirono il loro contributo per la riuscita dell'operazione.
[4] Decreto Luogotenenziale 25-1-1917 (B.U. 1917 pag. 691)
[5] (Disp. N.9 B.U.1917, pag. 760)
[6] Tarantola Libraio Editore - Belluno