Nazione Calosso Michele

Grado Cappellano Militare

Mostrina  7° Alpini, battaglione Belluno

Ritratto

Nato il 12 gennaio 1888 a Moasca (AT)

Morto il 14 dicembre 1975 a Martinengo (BG)

Note biografiche (Archivio Franco Licini)

Michele nasce a Moasca, fra Monferrato e Langa astigiana, il 12 gennaio del 1888. E' il secondogenito di Giuseppe Calosso e della diciassettenne Ernesta Demaria che, dopo di lui, metterà al mondo altri nove figli. Per sostenere la numerosa famiglia, fin da piccolo Michele dà una mano nel lavoro dei campi, senza trascurare però di frequentare la scuola e quando può, anche l'oratorio. Un po' alla volta si persuade della sua vocazione, ma non se la sente di lasciare i suoi cari: a casa le bocche da sfamare sono tante e due braccia in più fanno la differenza. Decide di rispondere alla "chiamata" solo all'età di vent'anni, quando ormai gli altri fratelli lo possono sostituire nel lavoro, e lo fa "ad titulum patrimoni sui", provvedendo cioè egli stesso al suo sostentamento. Si dedica per suo conto agli studi ed il 22 maggio del 1910, Monsignor Disma Marchese lo ordina Accolito. Entra quindi in Seminario e il 24 luglio dello stesso anno diventa Subdiacono e quindi Diacono in appena undici mesi. Infine, il 13 agosto del 1911, nella Cattedrale di Acqui, Michele Calosso viene ordinato Sacerdote. Una carriera fulminea la sua, "ad interstitiis dispensatus", come sta scritto nei registri vescovili, esonerato cioè dai tempi canonici che sarebbero dovuti trascorrere tra una ordinazione e l'altra. Per qualche anno si impegna al servizio di varie Parrocchie piemontesi fin quando, il 29 aprile del 1916, a guerra già iniziata, viene chiamato a prestare servizio come cappellano militare presso una compagnia di sanità. Un mese più tardi, promosso caporale, gli vengono affidate mansioni amministrative. L'anno successivo, all'inizio di giugno, è mandato al fronte come tenente cappellano del 7° reggimento alpini, al battaglione «Belluno», in sostituzione di don Apollonio Piazza passato nel frattempo all'11° Reggimento Bersaglieri. Don Michele arriva sulle Dolomiti, in Val Costeana, giusto in tempo per assistere all'esplosione della grande mina di quota 2.668 sul Lagazuoi. Fin da subito sa farsi apprezzare dagli alpini per le sue doti umane e morali: severo e morigerato con se stesso, indulgente e generoso con gli altri. Don Calosso è fiero del suo cappello alpino anche se, come dice lui, non è certo lì a "mostrè ai gat a rampignè". Alla bisogna non si tira indietro nel dare una mano e quando serve, ad offrire un buon consiglio. Quando ce n'è, non rifiuta di bere un bicchier di vino in compagnia e racconta, con un mal celato velo di nostalgia, di quanto sia buono quello che fanno dalle sue parti, con l'uva maturata sulle dolci colline attorno al paese; un po' lo beve e un po' lo mette da parte perché non manchi alla Messa. Alla fine di giugno alla Cengia Martini, sul Lagazuoi, c'é ancora odor di mina: di esplosivo e di rocce frantumate; al Comando di Vervei c'é invece sentore di novità. Alla metà di giugno arrivano da quelle parti altri piemontesi come lui e Don Michele si intrattiene volentieri con loro sfoderando il suo dialetto: sono gli alpini del «Monte Granero» e del «Val Pellice», guidati dal colonnello Ugo Boccalandro venuto a rimpiazzare il colonnello Tarditi che ha ricevuto l'ordine di lasciare la Val Costeana per raggiungere il fronte della Bainsizza sull'Isonzo. Ai primi di luglio don Calosso segue gli alpini del «Belluno» lasciandosi alle spalle le impervie e magnifiche montagne che la sera, tingendosi di rosa e di arancio, gli hanno riempito gli occhi e il cuore di meraviglia. Scendendo verso Cortina, si ferma dalle parti di Pocol per celebrare una messa a suffragio di tutti quelli che, come dicono i suoi alpini, "sono già andati avanti". A fianco del capitano Masini, in testa alla colonna, don Michele ripercorre la strada che qualche mese prima lo aveva portato tra le Dolomiti, giù per Cortina, San Vito e Tai, fino a Longarone, dove una tradotta è pronta a partire per le terre friulane. Il 20 luglio del 1917, inquadrato nel V Raggruppamento Alpino, il «Belluno» si accampa a Vergnacco, nei pressi di Trigesimo, poi a Rubignacco vicino a Cividale, quindi a Dolegna nella valle del torrente Corizza per raggiungere in fine, nella giornata del 6 agosto, la località Molini di Klinac, a nord di Ronzina, non lontano dalle acque dell'Isonzo. Nella notte sul 19, in condizioni difficilissime, gli alpini gettano numerosi ponti dalle parti di Doblar: è la preparazione dell'attacco alla Bainsizza, l'XI battaglia sul quel fronte. Durante i combattimenti il battaglione dà nuovamente prova del suo valore alle quote 545 e 550, nell'attacco al Kukli Vrh, verso Mesnjak e Testen; per il loro coraggio, agli alpini del «Belluno» vengono attribuite nove medaglie d'argento e otto di bronzo. Il 24 ottobre, quel che resta del battaglione è chiamato nuovamente all'azione sul Monte Rosso e dopo la rotta di Caporetto viene impegnato in una strenua resistenza sul Monte Stol. Accerchiati e senza munizioni, al comando del capitano Masini, i superstiti attaccano a ranghi serrati ed all'arma bianca, aprendosi faticosamente una via di fuga; alcuni muoiono, altri risultano dispersi, altri ancora vengono catturati. A Bergogna viene fatto l'appello ma a rispondere sono solo trecento uomini. Don Michele non è tra loro: è stato fatto prigioniero e inviato nelle retrovie. Per il suo encomiabile contegno di quei giorni, a guerra finita gli sarà attribuita la Croce di guerra perché:
"Si prodigava instancabile, in difficili circostanze, per confortare i feriti raccogliendoli sotto vivo fuoco, ed incuorava in pari tempo i combattenti a compiere il loro dovere. Si distingueva anche in una successiva azione". Bainsizza 19 - 27 agosto 1917; Monte Stol 25 ottobre 1917. (B.U. 1924 d.8 pag. 471).
Internato nel campo di Tapiosuly, in Ungheria, don Calosso continua la sua missione di sacerdote ed alpino condividendo coi suoi compagni inedia ed avvilimento, ma sapendo infondere anche speranza e fiducia. A guerra finita, rientra in Italia al campo di riordinamento di Mirandola, a nord di Modena, dov'é stato allestito un ospedale della Croce Rossa allo scopo di dare soccorso ai reduci gravemente malati. Per un mese svolge anche lì il suo servizio di assistenza medica e di sostegno morale, fin quando viene chiamato a Roma per mettersi a disposizione dell'Arcivescovado castrense che gli offre un incarico di fiducia che lo avrebbe portato all'episcopato. Per umiltà Don Calosso non lo accetta, preferendo piuttosto proseguire la sua missione di cappellano militare recandosi prima ad Alessandria alla caserma dell'11° Artiglieria, quindi a Feltre, tornando tra gli alpini, ed infine a Roma dove, il 15 giugno del 1920, viene congedato con una cerimonia solenne in occasione della quale l'Arcivescovo Bartolomasi gli attribuisce una medaglia e un diploma di benemerenza. Rifiuta quindi la nomina a parroco nella Diocesi di Acqui e sceglie piuttosto la via dell'insegnamento. Ad Alessandria consegue, in breve tempo, il diploma di maestro elementare ed il 15 aprile del 1923 vince il concorso di insegnante con assegnazione alle scuole di Martinengo, in provincia di Bergamo, dove prende servizio il 23 aprile 1923. Durante il fascismo subisce continue vessazioni perché si schiera troppo apertamente a difesa del diritto dei più deboli, senza fare distinzioni politiche. E' facile allora incontrarlo in aperta campagna mentre, in bicicletta o in motorino, si reca a far visita alle famiglie del suoi alunni, portando ai più indigenti un po' di sollievo morale e qualche pagnotta o un sacchetto di farina sottratti alla sua dispensa.
don Michele Calosso
Nel 1949 lascia l'insegnamento ma continua ad operare con i giovani e per i giovani, fino al 1973 quando decide, anche per motivi di salute, di ritirarsi a vita privata, senza negare comunque la sua benedizione a tutti quelli che si recano a fargli visita. Ricoverato prima all'ospedale di Treviglio ed in fine a Martinengo, don Michele Calosso muore il 14 dicembre 1975.
Ritratto