Nazione Salardi Santino

Grado Soldato

Mostrina  Genio

Ritratto

Nato l'1 novembre 1886 a San Giovanni in Persiceto (BO)

Morto nel 1990 San Giovanni in Persiceto (BO)

Note biografiche (Archivio Gianni Salardi)

Santino Salardi nasce il giorno 1 novembre 1896 da Alessandro e Dalferro Giuseppina a San Giovanni in Persiceto (detto "la piccola Manchester" per il fiorire delle industrie nel suo comprensorio), un paesino 20 km a nord ovest di Bologna, sulla strada verso Crevalcore.
Allo scoppio della guerra si trova a lavorare alle Ferrovie in qualità di telegrafista per le quali svolge il ruolo di via ai convogli, in coordinamento con il traffico presente in quel momento dalla stazione ferroviaria di San Giovanni in Persiceto. Arruolato nel Genio, viene aggregato alla 4ª Armata, IX Corpo d'Armata, in Cadore. Al fronte, il primo impiego fu quello di installazione delle linee di comunicazione con i relativi isolanti in modo da poter avere una rete radio efficiente a ridosso delle trincee. Essendo ancora inesperto, venne assegnato al servizio con soldati più capaci, ed a lui venne assegnato il compito più semplice: si trattava di lanciare gli isolatori al commilitone che stava in alto, intento a fissare i cavi. Ma la mira di Santino non era delle migliori e parecchi isolatori cadevano frantumandosi in mille pezzi. Visto che come lanciatore era un diasatro, venne cambiato di mansione ed assegnato all'installazione vera e propria, per cui si ritrovò al fissaggio dei cavi. Nonostante fosse un lavoro pericoloso e che richiedeva una certa destrezza, Santino se la cavò assai bene, aiutato da un fisico atletico, allenato dalla ginnastica che praticava in qualità di membro della Società Ginnastica Persicetana (costituita il 16 aprile 1876). Il lavoro era in continuo divenire per via della fluidità del fronte stesso, quantomeno nei primi mesi. Le complicazioni però non mancavano: i cavi dovevano essere installati in zone difficili da raggiungere, molto spesso impervie e d'inverno era richiesto l'uso degli sci che Santino imparò ad usare discretamente bene. Ma a volte bastava molto meno per lasciarci la vita: un suo commilitone, impegnato su una ferrata a montare alcuni isolanti, fu colpito in pieno da un fulmine a ciel sereno, morendo fulminato all'istante.
Dopo una prima fase, inizò per lui il lavoro vero di radiotelegrafista. Questo servizio, ritenuto vitale dai Comandi, doveva essere svolto alla perfezione: occorreva essere veloci nelle trasmissioni e nelle ricezioni. Quest'ultima era particolarmente difficile per via del fatto che se si perdeva anche solo un piccolo segnale saltava praticamente tutta la traduzione in letterale. Al fronte viene impiegato anche come fotografo: imparò a sviluppare le carte della ricognizione aerea e questo gli consentì, applicandosi con grande volontà, di imparare il mestiere del fotografo che lo accompagnò per il resto della vita. Egli stesso amava ricordare che la conoscenza del telegrafo, pregressa alla sua partenza per la Guerra, lo salvò dall'impiego in trincea, dove i rischi erano assai maggiori. Durante il periodo al fronte, Santino ricorda di aver osservato anche i fuochi di S. Elmo[1], un fenomeno frequente in montagna ma che in quei momenti dava a chi l'osservava un senso di bellezza e inquietudine: i reticolati divenivano luminosi di una luce bluetta e tremolante che ricordava le fiammelle fatue visibili a volte nei Cimiteri, per questo erano viste con una certo stato d'animo comprensibile ... Ma i rischi per un militare sono sempre dietro l'angolo: la ritirata di Caporetto costrinse Santino ad organizzarsi velocemente per rincorrere le linee italiane in arretramento caotico. Dal momento che era entrata in vigore la regola del "ognuno per sè e Dio per tutti" non c'erano mezzi di trasporto disponibili! Con Santino vi era un altro soldato di nome Granzotto[2] assieme al quale si affrettarono per andare in direzione opposta al fronte di avanzata Austrotedesco. Durante la fuga, si imbatterono in una bicicletta da uomo appoggiata incustodita ad un muro; senza pensarci su la "requisirono" e con Granzotto ai pedali e Santino sulla canna, arrivarono alle linee italiane, riprendendo entrambi il ruolo di telegrafisti.
Nel corso della sua vita militare, Santino passò dalla Marmolada a S. Martino di Castrozza, finanche ad Asiago, dove venne caricato su un aereo per ricevere in volo un fonogramma in codice Morse. E proprio questa sua conoscenza del Morse lo fece arrivare a prestare servizio sotto il generale De Bono[3] che lo soprannominò "fante di picche", per via del pizzetto.
Santino si congeda nel 1919, diversi mesi dopo la fine delle ostilità per via della necessità di consolidamento delle posizioni italiane, in vista dei futuri assetti geopolitici. Ritornato a casa dopo 4 anni, non ha nessun tipo di licenza od altro e comincia in proprio a sviluppare la tecnica fotografica per passione e poi per vera professione; apre un negozio ed inizia l'attività in un Paese dove la fotografia era ancora una materia pionieristica. Santino è un eclettico appassionato di scienza e di musica classica, Beethoven in particolare, e rispetto alla media del suo tempo si staglia come una persona dotta e competente. Si costruì la radio interamente da sè e la mise a disposizione della gente collegandola ad un megafono tra lo stupore e la meraviglia dei suoi concittadini di estrazione operaia e contadina. Si industriava a capire le innovazioni scientifiche di allora; si mise a studiare il mandolino per fare le serenate alla sua Nerina senza sapere una nota musicale, e riuscì a farlo suonare discretamente.
Divenne fotografo ufficiale del'Osservatorio Astronomico di Bologna. Ascoltava la radio con attenzione e fu grazie alle coordinate radio fornitegli dai fratelli Ducati, suoi amici appassionati anche loro di radio e fondatori della omonima casa motociclistica, che captò i segnali provenienti dalla Tenda Rossa del dirigibile Italia. Fotografò tanto per lavoro che per passione. Attraversò il Ventennio lavorando, ed anche finito il fascismo continuò a lavorare per tutti; non era un politico ma una artigiano stimato, serio e competente e così andò sino alla metà degli anni '80, momento che segnò la fine definitiva della sua professione. Tante foto che con spirito di servizio alla comunità sono state donate dalla famiglia Salardi alla Biblioteca Comunale di San Gionanni in Pesiceto a disposizione di chi le voglia consultare ed utilizzare per pubblicazione possibilmente senza scopo di lucro perchè questi erano i principi etici di chi le aveva scattate. Otto anni fa il Comune di Persiceto pubblicò un volume con molte foto d'archivio donandole a chi le richiedeva ed in quel periodo fu dedicata una piazzetta a Santino Salardi nella sua Persiceto. Oggi tutto quello che si è salvato ed è stato ritrovato è a pubblica disposizione.

NOTE

[1] Il fuoco di Sant'Elmo è una scarica elettro-luminescente provocata dalla ionizzazione dell'aria durante un temporale, all'interno di un forte campo elettrico. Fisicamente, si manifesta come un bagliore brillante, bianco-bluastro, che in alcune circostanze appare come un fuoco, spesso in getti doppi o tripli, che scaturisce da strutture alte e appuntite. Anche se viene chiamato "fuoco", il Fuoco di Sant'Elmo è in effetti una specie di plasma, causato dalla massiccia differenza di potenziale atmosferico, combinata all'effetto punta. Può perfino apparire tra le punte delle corna del bestiame durante un temporale.
[2] Si tratta del padre di Gianni (Giovanni) Granzotto (Padova 1914, Roma 1985) noto giornalista e scrittore italiano. Corrispondente RAI da New York, poi giornalista politico nel TG della sera, fu l'inventore della Tribuna Elettorale. Nel 1965 diviene Amministratore Delegato della RAI. Nel 1974 con Indro Montanelli fonda "Il Giornale" nel quale ricopre il ruolo di Amministratore Delegato prima e Presidente poi. Dal 1976 al 1985 è presidente dell'ANSA.
[3] Emilio De Bono (Cassano d'Adda 1866, Verona 1944) si diploma al Collegio Militare di Milano. Dopo la guerra Italo-Turca, partecipa alla Grande Guerra e riceve varie decorazioni; è inoltre l'ispiratore della canzone "Monte Grappa, tu sei la mia Patria". Nel 1935 fu nominato comandante delle truppe italiane per le prime fasi della Guerra d'Etiopia. Membro del Gran Consiglio del Fascismo, il 25 luglio 1943 votò in favore della sfiducia a Mussolini. Catturato a Roma agli inizi di ottobre dalle truppe della neonata Repubblica Sociale Italiana, fu condannato a morte per alto tradimento e giustiziato dopo il processo di Verona l'11 gennaio del 1944. De Bono, settantottenne, commentò così la sua condanna a morte: «Mi fregate di poco, ho settantotto anni».