Le ultime truppe italiane in Cadore
Nella notte del 6 e per tutto il 7 novembre i cannoni del Forte Tudaio sparavano sugli austriaci
su Monte Croce e Monte Cavallino; qualche colpo cadde anche su S. Stefano colpendo un deposito
di gelatina la cui esplosione causò la morte di 25 soldati austriaci. Anche il Forte Ciampon
sparò con i suoi pezzi da 75 contro gli austriaci. Ma gli stessi italiani non avevano molta
fiducia nelle capacità difensive del Tudaio, tanto che un mortaio da 149 che era stato portato
verso il Tudaio venne abbandonato in località Piane, dove poi venne recuperato dagli austriaci.
A mezzogiorno del 7 il mar. Siti disse alla famiglia di abbandonare Vigo e poi con alcuni soldati
sbandati radunati in piazza, si recò a Col de Poecca e sabotò l'impianto della teleferica.
Il Forte Vidal invece non entrò mai in azione; il forte, le caserme e gli altri impianti militari
furono abbandonati pressochè intatti.
Mentre le truppe fuggivano, giungevano a Lozzo i profughi del Comelico con al seguito masserizie
e bestiame che veniva acquistato dall'autorità militare; molti capi però non fecero in tempo ad
essere avviati verso Ponte nelle Alpi e vennero accaparrati dagli abitanti della zona, che li
portarono in montagna, lasciando il resto alla requisizione austriaca. Farina ed altri generi
alimentari dai depositi di Domegge, Vallesella, Calalzo e Lozzo vennero distribuiti gratuitamente
ai profughi.
Molti soldati di Vigo e Lozzo passando per i paesi natii non resistettero alla tentazione di
fermarsi per un saluto dai loro cari; alcuni vennero accusati di diserzione ma alla fine della
guerra vennero amnistiati.
Tutti i soldati della zona di Vigo abbandonarono le posizioni, compreso il Forte Col Piccolo.
La conca di Tai era ormai indifendibile, per cui si rendeva necessaria una nuova linea difensiva
Monte Brente - Vallesella - Monte Piduel. A nord di tale linea si trovavano il XXXIII ed il XXXIX
Bersaglieri, il III/132° ed il personale di 2 batterie: cercavano di ritirarsi verso Lorenzago ma
reparti della 94ª Divisione austriaca tagliarono loro la strada e li costrinsero a dirigersi verso
Ponte Nuovo sul Piave. Ma il ponte era stato fatto saltare nella notte del 7 novembre per cui in
circa 3000 furono costretti a fermarsi a Pelos; solo alcuni, grazie ad una passerella nei pressi
dei Tre Ponti, riuscirono a portarsi sulla sponda destra del Piave. Un altro gruppo da Lorenzago
si appostò a Larieto, di fronte a Vallesella.
La mattina dell'8 novembre la strada tra Vigo e Pelos era immersa nel caos: sul ciglio della strada
giacevano centinaia di zaini ed in un gran mucchio venivano gettati i fucili. L'ultimo che tentò la
fuga fu un ufficiale che discese a Pelos montando un cavallo bianco: giunto però presso l'ultima
casa di Vigo vide gli austriaci che, baionetta inastata, scendevano da Laggio. Allora ritornò
indietro, legò il cavallo all'inferriata del Municipio di Vigo ed attese piangendo i soldati
austriaci per consegnarsi a loro. Alle 13 gli austriaci del cap. Opitz giunsero a Laggio (alle
17.45 del giorno prima erano entrati a Lorenzago); si racconta fossero particolarmente affamati,
tanto che il giorno dopo si impossessarono di tutti i maiali che trovarono e li mangiarono.
Poco prima gli italiani riuscirono a far saltare il ponte sul Rio Lajo (ad est di Pelos); si
sarebbe dovuto far saltare anche il ponte sul Piova tra Pelos e Lorenzago ma il tentativo riuscì
solo in parte. Alle 2 furono fatti saltare i ponti sul Cridola e sul Cidolo sulla strada militare
Lorenzago - Vallesella.
La ritirata della brigata Como era in grave pericolo: il comandante del I Corpo d'Armata dispose
il 7 novembre la costituzione di una forte retroguardia presso Rivalgo e termine di Cadore. Anche
il XII Corpo, passato alla 4ª Armata nella mattina del 7 novembre, iniziava a sentire la pressione
delle truppe austriache: il gen. Tassoni respinse gli austriaci per 6 volte presso Forcella
Clautana e riuscì a sganciarsi solo alle 12 dell'8 novembre.
Nel corso della mattina, la 94ª Divisione austriaca, scesa dalla Mauria, occupava Pieve di Cadore
ed il Gruppo Hordt (composto dalla divisione Edelweiss e dalla LIX Brigata da Montagna) proseguiva
verso Longarone. Il comando della 4ª Armata alle 0.30 dell'8 novembre costringeva al definitivo
ritiro anche le truppe della Fortezza Cadore - Maè.
In Val Boite nel frattempo le artiglierie italiane di Sadorno, Pian dell'Antro e di Venas,
oltre ai pezzi da 75 di Socchiuse e Sottiera iniziavano a far fuoco nel primo mattino del 7
novembre e l'intensità del bombardamento fece temere per l'incolumità dell'abitato di S. Vito.
Verso le 17 i tiri si concentrarono su Vodo ed alle 22 era tutto finito. L'8 giunse notizia che
la resistenza era definitivamente cessata e dunque il paese doveva preparasi ad ospitare le
truppe austriache. Queste giunsero a Vodo già nella sera del 7, mentre gli italiani abbandonavano
le posizioni raccogliendosi a Valle.
Nelle prime ore dell'8 novembre un buon tratto dei binari della stazione di Calalzo era stato
danneggiato e le baracche incendiate.
Durante il giorno una pattuglia austriaca gettò una passerella presso Tre Ponti, giunse a Pelos
permettendo così il ricongiungimento con le truppe che erano giunte a Laggio la sera precedente.
In tal modo vennero catturati i circa 3.000 italiani che erano rimasti in zona (relativamente a
questo episodio riportato da Musizza - De Donà, non v'è traccia nella memoria locale. Gli abitanti
del luogo non ricordano episodi simili che pure avrebbero dovuto rappresentare un evento storico
in un paese di forse un centinaio di anime ...).
Alle 11 le prime pattuglie austriache entravano a Lozzo. Alle 12, dopo uno scontro con gli italiani
presso Larieto, gli austriaci entravano a Domegge accolti da alcune cannonate italiane. Alle 14
gli ultimi italiani si ritiravano dando fuoco alla polveriera di Gei. Alle 16 gli austriaci
giungevano a Vallesella, spingendo alcune pattuglie alla ricerca di eventuali ritardatari
italiani.
La mattina del 9 novembre gli ultimi italiani facevano saltare il ponte sul Boite a Perarolo,
ma nella sera gli austriaci giungevano ugualmente a Termine, completando così l'occupazione del
Cadore.