The war in the Dolomites
di Herbert George Wells
La battaglia nelle Dolomiti è stata forse la più meravigliosa di tutte queste remote campagne. Sono giunto lassù in macchina fino a che la nuova strada si arrampica sui fianchi della Tofana N.2; poi per un tratto a dorso di mulo lungo il fianco della Tofana N.1 e quindi a piedi fino alle vestigia del famoso Castelletto.
L'aspetto di queste montagne è particolarmente torvo e malvagio; sono monti antichi ed erosi che torreggiano in enormi pareti verticali di un grigio giallastro, spigoli appuntiti costellati quà e là da fenditure e guglie con le estremità seghettate e frastagliate; il sentiero sale e passa attorno al bordo della montagna sopra vaste pietraie che degradano ripidamente verso dei precipizi. In lontananza si ergono altre masse montuose aspre e dall'aspetto desolato, sulle quali brillano talvolta i segni di vecchie nevi. Più in là vi è una tetra vallata di pini stentati attraverso la quale passa la strada delle Dolomiti.
Mentre salivo verso la parte superiore, due feriti stavano scendendo su dei muli. Nonostante fosse metà agosto, erano vittime di congelamento. Tra due grosse cime, un fantaccino con alcuni rifornimenti saliva con la teleferica verso una qualche posizione sulla cresta. Praticamente ovunque sui pinnacoli ghiacciati ci sono posti di osservazione per dirigere il fuoco dei grossi calibri posizionati nelle sottostanti pendici, o nidi di mitragliatrice, oppure piccole vedette che aspettano il trascorrere delle tetre giornate. Spesso non hanno collegamento alcuno con il mondo sottostante se non un'arrampicata assai ripida o un cavo di teleferica. La neve e le tempeste li possono tagliare fuori completamente rispetto al resto dell'umanità. I malati ed i feriti sono costretti a cominciare il loro viaggio all'ingiù verso il calore ed il conforto in vertiginosi carrelli che oscillano verso la testa della mulattiera.
All'inizio tutte queste creste erano in mano austriaca; furono prese d'assalto dagli Alpini in condizioni pressochè incredibili. Per quindici giorni, ad esempio, salirono combattendo i ghiaioni sui fianchi della Tofana N.2 fino all'ultima balza, percorrendo forse un centinaio di metri d'ascesa al giorno, nascondendosi sotto le rocce e nelle buche di giorno e ricevendo rifornimenti e munizioni, e avanzando di notte. Furono vittime del fuoco di fucileria, mitragliatrici e di particolari bombe, grosse palle di ferro della dimensione di un pallone da calcio riempite con esplosivo che venivano semplicemente lanciate lungo il pendio. Evitarono razzi e proietti. In un'occasione si arrampicarono su per un camino la cui difficoltà alpinistica era ben al di sopra della media. Dev'essere stato come prendere d'assalto i cieli. I morti ed i feriti rotolavano in burroni inaccessibili. Scheletri solitari, brandelli di uniforme, frammenti d'arma si aggiungeranno agli interessi alpinistici di queste sparute vette per molti anni a venire. In questo modo venne conquistata la Tofana N.2.
Ora gli italiani stanno organizzando a difesa il loro premio, e così ho visto molto sopra di me, sul ripido grigio pendio, una striscia pressochè continua di puntini come delle formiche, ciascuna che portava un piccolo uovo giallo brillante: erano muli che portavano sul dorso cataste di legname ...
Ma una singola posizione si stagliava imprendibile; il Castelletto, un'immensa fortezza naturale di roccia che si erge presso un angolo della montagna in posizione tale da dominare le comunicazioni italiane (la Strada delle Dolomiti) nella valle sottostante, e rendere poco agevoli e malsicure tutte le loro posizioni. Questo odioso avamposto era praticamente inaccessibile sia dal basso che dall'alto ed oltretutto non permetteva agli italiani neppure di gettare lo sguardo verso la Val Travenanzes, cui era posto a difesa. Si trattava, di fatto, di una posizione imprendibile contro la quale si oppose l'invincibile V Gruppo Alpini. Si trattava dell'antico problema della forza irresistibile contro un oggetto inamovibile. Ed il risultato fu la più grande mina militare di tutta la storia.
Il lavoro iniziò a gennaio, 1916, con alcune osservazioni della roccia in questione. Il lavoro di sondaggio per gli scavi, che non è mai semplice, diventa maggiormente complesso quando il sito è occupato da forze ostili armate di mitragliatrice. In Marzo, mentre le nevicate invernali si quietavano, l'apparecchiatura mineraria iniziò ad arrivare, a dorso di mulo fin dove possibile, poi portata a spalla. Complessivamente si dovette scavare circa mezzo chilometro di galleria fino alla camera di mina, mentre l'esplosivo veniva fatto affluire carico per carico e poi nascosto ora qui ora là in posizioni sparse. Alla fine ne furono raccolte trentacinque tonnellate nella camera più interna. E mentre le perforatrici scavavano ed il lavoro proseguiva, il tenente Malvezzi studiava accuratamente il problema del "massimo effetto dirompente" (in italiano nel testo originale, NdT) per determinare come accatastare ed innescare il suo piccolo gruzzolo. L'11 luglio, alle 3.30, come si compiace di riportare nella sua relazione, "la mina rispose perfettamente sia in termini di calcoli eseguiti che di risultati pratici", ovvero gli austriaci erano in gran parte spariti mentre gli italiani erano in possesso del cratere del Castelletto e guardavano giù verso Val Travenanzes dalla quale erano stati respinti per lungo tempo. Nell'arco di un mese le posizioni furono sistemate e rinforzate da ulteriori scavi e dalla posa di sacchetti di terra contro il fuoco nemico, tanto che perfino uno scrittore inglese di mezza età, stanchissimo, accaldato e senza fiato poteva godere del medesimo privilegio. Tutto ciò, si deve sapere, fu portato a termine ad un'altitudine raramente raggiunta da un turista normale, in un'atmosfera rarefatta, affaticante, con sbuffi di nuvole che solcano l'aria limpida e [club-huts] a portata di mano ...
In questi monti le valanghe sono frequenti; e precipitano infischiandosene delle umane strategie. In molti casi sul percorso delle valanghe passano delle trincee; queste e gli uomini in esse vengono periodicamente spazzati ed altrettanto periodicamente rimpiazzati. Sono posizioni che devono essere tenute; se gli italiani non affrontassero questi sacrifici, lo farebbero gli austriaci. Valanghe e tempeste di ghiaccio hanno ammazzato o ferito migliaia di uomini; in questa austera e vertiginosa campagna di guerra devono render conto di altrettante vittime quante sono state quelle provocate dagli austriaci ...