L'epopea del Col di Lana (di E. Galeazzi)
maggio 1915 - ottobre 1917
L'Epopea del Col di Lana, qui proposta al Lettore, è una riedizione anastatica in tutto e per tutto. La pubblicazione, introvabile anche nelle biblioteche, salvo eccezioni, è di proprietà di Dario Crepaz (di Livinallongo del Col di Lana, collega giornalista pubblicista di chi scrive), ereditata dal papà Emilio Crepaz. Contiene scritte, sottolineature e correzioni di prima mano del proprietario, buon conoscitore dei luoghi e delle circostanze. Il tutto è stato lasciato com'è, perché consente di fare un tuffo nel passato, al 1925. Il testo è del Magg. Ing. Ernesto Galeazzi e non può essere più autentico, poiché scritto da chi ha combattuto lassù e redatto a memoria ancora fresca, risalente a quattro anni prima circa (l'edizione è del 1922, ma si suppone che l'abbia elaborata qualche tempo prima). Si è ritenuto di riproporlo poiché è un testo esemplare, ricchissimo di dati, nomi, citazioni e non ha nulla da invidiare in autenticità e verità agli scritti posteriori di altri studiosi o storici del Col di Lana, i quali, in stragrande maggioranza, hanno descritto la guerra svoltasi lassù senza averla né vista e né combattuta: il curatore.
Capitolo I
Breve punta, emergente al di sopra di roccie impervie, a chi proviene da Val Cordevole, l'estrema vetta del Col di Lana comincia ad apparire poco sopra Masarè. Nell'allargamento della valle, là dove si apre il lago di Alleghe, il Lana si presenta dominante nello sfondo delle pendici laterali alla vallata stessa, ma è soprattutto allo sbocco della conca di Caprile che esso appare in tutta la sua imponenza ed in tutte le sue difficoltà. Conico di forma, - con la vetta tondeggiante, breve, aspra, nuda, - circondata, pochi metri in basso, da tutta una corona di roccie a picco, - il massiccio del Lana degrada con fianchi erti e faticosi, che l'emergenza di roccie aspre e taglienti, rompe nella loro uniformità. Elevantesi in corrispondenza al confluire della piccola valle di Andraz con la valle del Cordevole, - fittamente coperto di boschi alla sua base, e fino a notevole altezza delle sue pendici, - all'una ed all'altra valle esso costituisce ripido fianco. Ma la sua asprezza non è tale sul rovescio, ove le sue pendici in modo meno disagevole digradano corrispondentemente al Cherz ed al Pralongia. Isolato da tre parti, per angusto ed aspro sperone il Lana si riattacca verso Nord ad altro monte: il Sief, a cui successivamente si connette la dirupata cresta dei Settsass. Lana - Sief - Settsass costituiscono tutto un complesso, che, a cavallo tra l'alta valle del Cordevole e la Val Parola, avendo sul fronte quella profonda depressione trasversale che è il Vallone di Andraz, sembra appositamente creato per poter contrastare ogni provenienza offensiva, sia che rimonti la Valle del Cordevole, sia che pel passo Falsarego si distacchi dalla Valle del Boite. Ed infatti, tatticamente considerato, questo complesso, da un lato, a Nord, fa sistema con i massicci di Lagazuoi e di Falsarego, ed avendo una validissima sentinella nel Sasso di Stria, domina il passo suddetto di Falsarego e quello di Val Parola; - d'altro lato, a Sud, tatticamente collegandosi con Pralongia, col Cherz, col Sasso di Capello, col Sasso di Mezzodì, a chi risale il Cordevole preclude ogni accesso alla testata di questa valle. E poiché il vallone di Andraz, oltre che essere materialmente sbarrato dal Sasso di Stria, corre tutto ai piedi del detto complesso, così avviene che una attiva difesa che sia da questo esercitata, vana può rendere ai fini di un collegamento trasversale l'esistenza di tale comunicazione a vantaggio di colonne che operino parallelamente risalendo le due linee del Cordevole e della strada di Alemagna. Il Col di Roda - il Passo di Campolungo - il Passo del Pordoi sono i valichi che il Cordevole presenta alla sua testata. I primi due mettono nella Valle di Corvara, sopra Badia, donde si scende a Brunech, sulla Rienz; - il terzo apre la strada all'alta Valle di Avisio, e quindi a Bolzano ed a Trento. Dall'altra parte il Passo di Valparola mette anch'esso a Valle di Corvara. E poiché il detto passo è facilmente raggiunto dal Cordevole per il Vallone di Andraz, e dall'alta Val Boite per il Passo Falsarego, così è che, sotto tale punto di vista può ritenersi come passo sussidiario, tanto per le provenienze della Valle Cordevole, le quali per la testata di questo, tendano a val Badia per sboccare poi su Brunech e sulla Rienz, - quanto per le provenienze della Strada di Alemagna, le quali vogliano ricercare la Rienz per Brunech, mentre il grosso tenda a raggiungerla per Cortina, sboccando poco sopra al nodo stradale di Toblach. Toblach - Brunech - e Bolzano costituivano per noi obbiettivi importantissimi, perché, trovandosi sulle comunicazioni fra il Trentino ed il resto dell'Impero, la loro occupazione ci avrebbe potuto far ottenere lo scopo; di mettere gli austriaci nella necessità di dovercelo abbandonare. Di essi Brunech e Bolzano erano più direttamente raggiungibili dalle truppe operanti nella regione del Lana. Nei riguardi del loro raggiungimento diremo anzi che importantissima era questa regione, anche perché ottime erano le rotabili che da essi vi adducevano. Tali rotabili avevano punto comune nel nodo stradale di Arabba: da questo l'una, pel passo di Campolungo, portava a Corvara, o, per Badia, scendeva a Brunech; - l'altra per il passo del Pordoi conduceva a Vigo di Fassa, donde diramava a Bolzano. Particolarmente importante poi era questa ultima strada, che passante pel Pordoi per Lavis - Cavalese - Vigo di Fassa - Arabba - Livinallongo - Cortina D'Ampezzo riuniva Trento all'alta valle della Drava. Denominata Strada delle Dolomiti, essa aveva un'importanza militare grandissima, anche perché, correndo presso che lungo l'antico confine politico, consentiva un facile e rapido spostamento frontale di forze, e quindi buon gioco di manovra, [...] al nemico, che appositamente a suo vantaggio l'aveva aperta, quanto a noi, ove fossino riusciti ad esserne padroni. Da quanto fin quì esposto chiaro appare, come, di fronte alle posizioni che abbiamo descritto, ogni nostro progresso, - potendo portarci ad obiettivi che tanto potevano influire su tutto l'andamento della guerra, - veniva ad assumere importanza superiore a quella di un qualsiasi successo tattico locale. - E potendo questi progressi avvenire in relazione ad altri fra loro collegati per le valli del Cismon, del Boite, dell'Ansiei, e del Padola, e magari ad altra offensiva contemporaneamente condotta dalla parte del Tonale, - era evidente che gli austriaci aspramente li dovessero contrastare. Dell'efficacia di un tale eventuale contrasto lo Stato Maggiore austriaco si era sempre preoccupato. Ed era stato appunto sotto tale preoccupazione che, subito dopo la guerra del 1866, dovendo a noi essere ceduto il Veneto, esso aveva fatto si che, nella determinazione del confine politico, fossero all'Austria attribuite le testate di tutte le vallate, che, dal nuovo confine scendevano verso di noi - Con ciò il loro vantaggio tattico era naturalmente assicurato. - Ed essi lo avevano reso ancora maggiore creando alla testata delle vallate stesse potenti opere di sbarramento, per la cui valida efficienza avevano fatto concorrere non solo i criteri di una difesa attiva e manovrata, ma anche quelli di una possibile offensiva a nostro danno. Ed avevano altresì aperto un'ottima rete di strade che, risalendo per le piccole vallate scendenti sui fianchi dell'Adige e dell'Eisack, venivano tutte ad affluire nella già accennata strada delle Dolomiti, onde facili e rapidi potevano essere gli spostamenti di forze ed i loro concentramenti, tanto allo scopo di contrastare efficacemente quelle fra le colonne invadenti nostre che fossero più minacciose, - quanto allo scopo di infilarsi in maggiore forza in quelle delle vallate, per cui le evenienze mostrassero maggiore opportunità di invasione a nostro danno. Due di questi sbarramenti erano lateralmente ed ai piedi del sistema Lana - Sief - Settsass: - l'uno in Valle Cordevole, con le opere del Forte La Corte e della Tagliata Ruaz, - l'altro in Val Parola, con le opere dei Tre Sassi e della Caserma difensiva. Costruzioni moderne, a cupole corazzate, di resistenza e potenzialità formidabili, esse erano atte a conferire ogni sicurezza ai fianchi tanto delle truppe operanti a difesa del sistema suddetto, quanto di quelle operanti nei tratti laterali. In questa difesa il Col di Lana rappresentava non solo l'elemento più importante, ma ancora quello più essenziale e delicato. Presso che centrico sul fronte tra il Marmolada e le Tofane (i due grandi massicci, che costituiscono appoggio laterale ad ogni azione che direttamente interessi i passi alla testata del Cordevole) - esso estendeva il suo dominio di vista dalle Tofane al Nuvolao, - al Porè, - al Sasso di Mezzodì, - al Pordoi, - al Gruppo Sella. - In fondo al Cordevole scrutava fin quasi a Masarè di Alleghe; - sulle provenienze della strada di Alemagna vedeva fino al passo di Falzarego. - Su tutte le pendici che, da parte di Italia, sotto esso si aprono, leggeva come su pagine di un gran libro. Ugualmente accadeva per il suo rovescio; e per tanto tutte le fronteggiantesi organizzazioni italiane ed austriache, ed ogni movimento delle forze avversarie erano sotto il suo completo dominio. - Il Lana quindi costituiva un'osservatorio di primo ordine, il quale, avendo tutte le condizioni per essere prezioso in mano agli austriaci, altrettante ne aveva per essere ugualmente prezioso in mano nostra, e ciò, sia per togliere ai nostri nemici il mezzo di vedere quanto da altrove non era loro possibile, sia per vedere di loro ciò che da altrove noi non vedevamo. Né inferiore era la sua importanza quale elemento tattico. Saldo pilastro meridionale del complesso già descritto, di esso il Lana era l'unico obiettivo su cui noi potessimo dirigere attacchi che ci portassero a reali progressi. Infatti tanto il massiccio staccato dello Stria, quanto le vette dei Settsass, costituite da roccie vive, a pareti dirupate, a canaloni quasi verticali, rappresentavano elementi di difficilissimo approccio, la cui difesa, possibile con pochissimi mezzi, mentre poco poteva risentire di qualsiasi potente concentramento di artiglieria, nulla poteva temere da truppe che non fossero specialmente istruite nella scalata di rocce. E d'altra parte, essendo dal Lana dominati, la loro caduta ed il loro possesso erano strettamente legati alla caduta ed al possesso del Lana stesso. E finalmente solo la vetta di questa poteva aprirci la strada al Sief, i cui approcci, dal vallone di Andraz erano semplicemente impossibili. Più facilmente accessibile dal vallone di Andraz, tre erano le naturali linee di salita che il Col di Lana presentava alla sua vetta: - il Costone di Castello, - il Costone di Agai, - ed il Costone di Salesei. Questi costoni erano separati da valloni soventi aspri e rotti, fra cui notevole quello che fu poi detto della Morte, tra il costone di Agai e quello di Salesei. Dal lato Sud (Valle del Cordevole) le pendici erano più aspre, e l'uniformità della loro salita era rotta da gironi quasi ininterrotti di roccie a picco, che in linea molteplice si svolgevano dal costone di Salesei fino al rovescio della posizione, presentando a tratti interruzioni costituite da valloni e burroni talora paurosi. Dei tre costoni sopra detti, tatticamente il più importante era quello di Salesei, a cavallo, e segnante per così dire il limite fra le due pendici del Cordevole e di Andraz. Onde l'azione di difesa su di esso possibile era tale da interessare entrambi le pendici. Notevole su tale costone la roccia, che, per la sua forma caratteristica, era da noi italiani detta Cappello di Napoleone, per la sua importanza dagli austriaci detta Guardia (Guardia della Roccia). Ai suoi piedi era la posizione da noi detta del Panettone. Dalla detta roccia completamente dominata, questa aveva una notevole parte defilata alla nostra vista, ed un margine tattico che rendeva possibile la difesa su tre lati (da Est - da Sud - da Ovest). Tale posizione, sapientemente organizzata dagli austriaci, costituì il perno della formidabile difesa, che essi seppero organizzare e validamente esercitare su tutte le falde del monte.
Capitolo II
Ad operare sul tratto di fronte che abbraccia tutto il fascio stradale che poteva portarci a minacciare Bolzano, Brunech e Toblach, (dalla valle del Cismon alla Val Padola), era stata assegnata la Quarta Armata, la quale, nella zona del Col di Lana, tra la Croda Grande (a Sud del passo di Valles) e le Tofane aveva il IX corpo di armata - sulla destra, tra queste ed il Peralba, il I. Secondo che afferma il Generale Cadorna nel suo Libro "La guerra alla fronte italiana fino all'arresto sulle linee della Piave e del Grappa", nel concetto informativo delle operazioni da svolgersi su tutta la fronte, alla IV Armata era stato affidato un compito assai importante: - quello di agire offensivamente allo scopo di occupare l'importante nodo stradale di Toblach, ed aprirsi lo sbocco verso le Valli della Rienz e della Drava. Da questa valle la detta Armata avrebbe dovuto dare la mano alle truppe della Carnia, le quali, aprendosi lo sbocco in Carinzia e lungo la Sava di Vurzen, partendo da Tarvis, avrebbero a lor volta dovuto dare la mano alla seconda Armata, operante a traverso le Alpi Giulie. Questa offensiva dunque non doveva essere una offensiva a se, ma strategicamente collegata a quella attraverso la Fronte Giulia, della quale doveva essere sussidiata. Ciò essendo, è evidente che, per aver utile effetto, essa avrebbe dovuto avere due caratteristiche: - essere iniziata prima di quest'ultima, ed essere condotta con tutta vigoria. All'inizio delle operazioni, salvo le difese a carattere permanente, che erano alla testata delle vallate, e che sopra abbiamo ricordato, negli intervalli fra di esse, nulla gli austriaci avevano di organizzato. Fortemente impegnati sulla fronte Russa, maggiormente preoccupati di creare una salda organizzazione sulla fronte Giulia, in tali intervalli essi non avevano se non truppe certamente buone e decise, ma per numero e per mezzi assai scarse. Onde è che assai favorevoli sarebbero per noi state le condizioni con cui dal saliente Carnico-Cadorino la nostra offensiva avrebbe potuto sferrarsi. Ed essa avrebbe realmente potuto aprirci le porte dell'impero nemico, intanto in quanto ci avrebbe consentito di piombare sul fianco della sua difesa contro la nostra fronte orientale. Ma, all'apertura delle nostre ostilità, le truppe della quarta Armata non disponevano se non della modesta dotazione organica in artiglieria da campagna e da montagna allora posseduta dalle divisioni e dai corpi d'armata mobilitati. - Le artiglierie di assedio, che avrebbero dovuto aver ragione delle preclusioni sui passaggi delle valli, erano ancora indietro e lontane. Coloro che in quei primi giorni ebbero a riscontrare da vicino lo slancio e l'entusiasmo dei nostri soldati, ed a constatare il resultato di molte delle nostre audaci esplorazioni, espressero la convinzione che, pur in siffatta nostra scarsezza di mezzi, avrebbe convenuto approfittare del vantaggio in cui pur eravamo, data la inferiorità che la difesa mobile del nemico aveva di fronte a noi, - e ciò sviluppando subito e decisamente una offensiva non già in corrispondenza dei fondi delle valli (troppo poderosamente sbarrati,) ma in corrispondenza degli intervalli fra di essi. Date le reciproche condizioni avversarie di quei primi giorni, così operando, non solo si sarebbero certo potuti superare quei margini tremendi, su cui poi tante formidabili opere contro noi sorsero, - ma si sarebbe anche potuto forse giungere al Pusterthal, il che, come già spiegato, avrebbe potuto per gli austriaci significare l'abbandono del Trentino. - Ed infatti, ove ci fossimo infiltrati dietro gli sbarramenti, ed avessimo esteso sul loro tergo la nostra occupazione, essi avrebbero avuto tagliato le loro retrovie, e quindi la loro resa non sarebbe stata questione se non di giorni. Mentre, nella ipotesi di una loro protratta resistenza, sicura ragione di essi avrebbero potuto poi avere le Artiglierie del Parco di Assedio, il cui invio avrebbe dovuto per intanto sempre verificarsi. Ma ciò non avvenne. Per siffatta audacia di procedere forse si ritenne scarsa la proporzione delle truppe alpine; - forse si pensò che le altre truppe non avessero tutta la necessaria preparazione richiesta dalle speciali operazioni che quelle montagne esigono; - forse si ebbero anche considerazioni di ordine logistico. Il fatto è che si decise di ritardare l'offensiva fino a quando questa non avesse potuto essere, nella maniera classica, consentita dal successo che le batterie di assedio, - che dovevano intanto giungere, - non avessero avuto con lo smantellamento delle opere di fortificazione esistenti. Fu così che si fece trascorrere circa un mese, nel quale, se è vero che sulla fronte del IX Corpo d'Armata si procedè all'occupazione di Valle Costeana fin sotto alle Tofane e verso l'origine di Valle Travenanzes; - se è vero che sulla fronte del I Corpo si occupò Cortina d'Ampezzo, il Cristallo, il Massiccio tra l'alto Boite, l'alto Cordevole, Val Fiorentina e Val Costeana; - è vero altresì che tali azioni, non solo non fecero sentire alcuna influenza su quella grandiosa, che ragioni politiche e militari avevano intanto obbligato a fare impegnare sulla Fronte Giulia, ma non poterono impedire che gli austriaci, giornalmente accrescentisi saldamente si organizzassero con una formidabile difesa, di fronte alla quale, quando le batterie di assedio furono al fine giunte e funzionanti, si dovè riconoscere che il loro numero, forse sufficiente all'apertura delle ostilità, era ormai assolutamente inadeguato. Il nostro Parco d'Assedio era allora molto modesto. Nel suo complesso esso non contava se non un totale di 236 bocche da fuoco, di cui, nella zona del Col di Lana, il IX Corpo non potè avere se non cinque Batterie: - una di obici ed una di mortai da 210, - due di obici da 149 pesanti campali, - una di cannoni da 149 A. L. - Totale: 20 bocche da fuoco. Nell'azione da svolgere, fronte di attacco per la IV Armata era dal Gruppo Sella a Toblach. Un semplice sguardo alla carta avrebbe bastato a dimostrare come, se si fosse riusciti a superare le difese nemiche della Valle di Sexten, in breve ora sarebbero cadute anche quelle di Landro e di Plätswiese, perché prese di rovescio da chi, padrone di Toblach, fosse disceso per la valle della Rienz. Possibile quindi sarebbe stato il raggiungimento di scopi paragonabili a quelli, che, in primo tempo, erano promessi dalle offensive attraverso gli intervalli fra gli sbarramenti nemici. Sarebbe all'uopo stato opportuno che con i mezzi giunti si fosse fatta massa in quel punto. Viceversa si ritenne di ripartire le poche batterie ricevute presso che uniformemente di contro a ciascuno degli sbarramenti di fondo Valle. In base a tale concetto, le cinque batterie del IX Corpo furono così dislocate: Contro lo sbarramento di Val Parola la batteria obici da 210 (4 pezzi) ed una batteria obici pesanti campali (4 pezzi) furono postate a lato una dell'altra a Prapontin. Contro le opere del Cordevole le batterie mortai da 210 (4 pezzi) fu postata a Larzonei: - l'altra batteria di obici pesanti campali (4 pezzi) a Malga Laste: - la batteria cannoni da 149 A. L. pure a Malghe Laste, poco sotto alla precedente. L'azione di queste artiglierie, iniziata senza ritardo, fu tale da danneggiare assai gli sbarramenti nemici, ma tali resultati, che nei primi giorni di guerra sarebbero stati preziosi, poco o nulla influirono nella economia generale dell'azione, perché la sapiente organizzazione nemica, ci rilevò in breve che i compiti principali della difesa erano ormai affidati non più alle opere permanenti, ma - dal lato del Cordevole, alle batterie occasionali che intanto erano state costruite al Cherz, al Pralongia, di fronte al Passo di Fedaia ed al Pordoi; - dal lato di Val Parola, a batterie occasionali situate in posizioni a questa retrostanti. Poco oltre la metà del giugno, ad attuare a dirigere le operazioni del IX Corpo, in sostituzione del Generale Marini, fu chiamato il Generale Segato. Questi, rilevando la necessità di coordinare nel tempo e negli scopi ogni azione locale ad un fine superiore e di possibile utilità generale, si prefisse l'intento di penetrare in Valle Badia, per quindi procedere su Brunech. Obbiettivi immediati il Grande e Piccolo Lagazuoi ed il Col di Lana: - i primi per agevolare l'attacco del passo di Val Parola, del quale formano il pilone orientale; - l'altro per permettere alle nostre forze mobili di scendere ad Ovest del Settsass e di incunearsi fra lo sbarramento di Val Parola e quello del Cordevole. Azione decisa, chiara, a scopi ben definiti, che, anche nell'economia generale delle operazioni avrebbe dato risultati di molta importanza, in tanto in quanto assai sentita era allora la necessità di alleggerire le forze nemiche che avevano di contro sulla fronte Giulia. Ma non era certo notevole la ricchezza di mezzi che questo Generale si vide concessi, ricevendo l'ordine di iniziare le operazioni suddette. Evidentemente la grande vigorosa offensiva dal lato del Cadore e della Carnia, che è da dedursi dalle espressioni del Generale Cadorna, non era più nei concetti del Comando Supremo. Questo, tutto intento alle già iniziate operazioni del nostro fronte orientale, a quelle della 4ª Armata non dava ormai più altra importanza se non diversiva. E, da altra parte, allo stato delle cose forse non era ne possibile, né opportuno distogliere da quella fronte importantissima i mezzi che neppure là erano abbondanti. Tuttavia dal IX Corpo l'azione fu presto ed assai vigorosamente impegnata. - Merito questo dell'elemento uomo, poiché, - scarse le artiglierie, - spesso non rispondente alle necessità la dotazione delle munizioni, - deficienti i mezzi tecnici in ogni loro specie, - per sopperire alle esigenze della situazione ed averne ragione, gli artiglieri dovettero ricorrere a ripieghi di ogni genere, ed i fanti prodigarsi con generosità superiore ad ogni immaginazione. Di contro a noi lo schieramento d'artiglieria nemico era al nostro superiore per entità e per potenza. I 240 ed i 305 erano frammischiati a numerosi 155, ed a calibri minori ancor più numerosi; - assai maggiore che la nostra dotazione delle mitragliatrici; - adottate già le bombe a mano, mentre noi le avevamo appena in esperimento. E sapendo che la nostra opera ed i nostri sacrifici non erano tanto per far vincer li, quanto per decidere altrove della vittoria di tutti, - virtù somma fu l'ostinazione che le nostre truppe dimostrarono contro le preclusioni austriache. Né priva di resultati fu la loro opera, perché non mancarono successi di carattere locale si, ma non scevri di notevole importanza, ed apportanti sensibile miglioramento alla nostra situazione iniziale. Si ebbero infatti:= la conquista di Forcella di Fontana Negra, strenuamente difesa da una Compagnia Germanica. Essa costò il sacrificio del valorosissimo Generale Cantore.
= la conquista della Tofana Prima, operata dalla Compagnia Volontari Alpini di Feltre, sostenuta dalla 28ª compagnia Alpini del Battaglione Belluno;
= la conquista di varie posizioni in Valle Travenanzes;
= progressi lungo i vari speroni che si dipartono dal Col di Lana verso Buchenstein, Andraz, e Salesei;
= l'occupazione di Livinallongo;
= quella dello Sperone Padon - Toppa.
Ma, asperrima e logorante, dopo due mesi di combattimenti sostenuti nelle condizioni più disagiate, la lotta dovè essere sospesa. - L'esaurimento delle truppe, - l'assottigliamento delle unità, - la diminuzione di efficienza in fatto di artiglierie, dovuta e messa fuori combattimento di pezzi o scoppiati o colpiti (in totale 4 mortai ed un obice da 210 e due cannoni da 149 A.) - ed infine la richiesta da parte del Comando Supremo delle due batterie pesanti campali e dei cannoni da 149 A. per essere inviati sul Carso, - ecco le ragioni che indussero il Comandante del IX Corpo a proporre tale sospensione. Fu così che ai primi di Settembre l'azione posava, sebbene il nemico detenesse ancora il Castelletto delle Tofane, da cui con il fuoco dei suo cecchini disturbava la circolazione su tutto il tratto della strada delle Dolomiti da noi tenuto, e precludesse la discesa lungo Valle Travenanzes; - sebbene conservasse il Sasso di Stria, con cui copriva l'accesso alla Val Parola ed impediva la circolazione sull'anzidetta strada delle Dolomiti; sebbene infine potesse sempre dominarci dal Col di Lana, la cui organizzazione difensiva era ormai assolutamente completa. L'organizzazione del Lana comprendeva non solo saldi trinceramenti sulla vetta, ma opere opportunamente create su ciascuno dei già detti costoni di accesso: - una sul Costone di Castello, da noi detta Fortino Austriaco; - un'altra su quello di Agai, su cui noi durante le operazioni descritte avevamo conquistato una ridotta, che da noi usufruita, fu poi detta Ridotta Lamarmora; - altra infine sul Costone di Salesei e precisamente sul Panettone. Quest'ultima era la più formidabile, e consisteva in una trincea che, perfettamente adattandosi al terreno già descritto resultava a triplice fronte offensivo ed era chiusa alla gola da quel fortissimo appiglio tattico naturale già ricordato che era la roccia del Cappello di Napoleone. Per la sua grandezza e per la saldezza della sua organizzazione, tale trincea era dagli italiani detta Trincerone. Entro il lungo saliente, da essa determinato, era racchiusa la piccola depressione naturale, defilata alla nostra vista, di cui sopra abbiam detto. Ivi erano i ricoveri per il presidio. - Protetta da vari ordini di reticolati, tale opera era capace di circa due compagnie e fornita di due sezioni di mitragliatrici (8 armi). Dominata, dal Cappello di Napoleone, poteva da questo ricevere efficace protezione, mentre il ciglio della detta roccia era a sua volta dominato e protetto dalle opere di Cima Lana, da cui si dominava anche tanto il Fortino del Costone di Castello, quanto le difese del Costone di Agai. A protezione del passo di Val Parola, alle opere permanenti dei Tre Sassi erano state aggiunte opere occasionali e trincee. Di fronte ad esse ogni accesso anche verso Cortina Sief Settsass era reso intransitabile con l'efficacia dei tiri incrociati, non solo possibili alle artiglierie di Val Parola e della regione. La Corte e Cherz, ma anche ai piccoli calibri ed alle mitragliatrici appostate fra le roccie dei Settsass - del Sief - del Piccolo Lagazuoi e del Sasso di Stria. Né meno formidabile era l'organizzazione a protezione della testata del Cordevole. Gli austriaci ben sapevano che un'attacco nostro, il quale risalendo il Cordevole avesse sfondato da quella parte avrebbe potuto travolgere tutta la loro linea, e rendere inutile ogni successiva resistenza nella zona del Col di Lana. Onde è che speciale saldezza avevano dato alle opere che ivi avevano creato. Queste erano antistanti alla posizione del Forte La Corte e della Tagliata Ruaz, e sorgevano poco a monte dei caseggiati di Livine ed Ornella. Da noi erano dette Opere di Lasta (Fortino - Ridotte Bianche ecc.). Esse facevano sistema con le opere permanenti sopra accennate, per quanto ancora usufruibili.
Capitolo III
Nell'ottobre, urgendo favorire la vasta azione che il Generale Cadorna intendeva svolgere sul Carso, la 4ª Armata ebbe ordine di sviluppare sul suo fronte azioni diversive a carattere offensivo. Il Generale di Robilant, che nel comando di essa aveva da pochi giorni sostituito il Generale Nava, aveva disposto per un'azione sulla fronte del I Corpo, il quale doveva essere coadiuvato da una divisione del IX, che, operando da Val Costeana per regione Travenanzes avrebbe cooperato all'attacco di Sampauses. Ma, considerate le difficoltà dell'impresa, - data l'asprezza dei luoghi e della stagione cui si andava incontro, accettando le proposte del Generale Segato, deliberò invece un'offensiva in corrispondenza del Col di Lana, assegnando al IX Corpo un'altra divisione (la prima del I Corpo), - due batterie da 149 G. (8 pezzi) ed una nuova batteria di obici da 210 da formarsi con 2 pezzi giunti allora dall'interno. L'azione offensiva doveva essere intesa a penetrare nella testata di Valle Badia per aprirci gli sbocchi verso la Pusteria. Diretta dal Generale Segato, cui il Generale di Robilant aveva lasciato la maggiore libertà di azione, questa ebbe inizio il 18 ottobre con fronte dalle Tofane al Marmolada, ma più specialmente concentrandosi attorno al Col di Lana, col concetto che, padroni di tale capo saldo, facile ci sarebbe stato incunearci entro le linee avversarie e penetrare in Valle Badia. L'azione fu impostata sulla base di una penetrazione ai lati del sistema Lana - Sief - Settsass, cercando di guadagnare terreno a destra ed a sinistra, e di avanzare il più possibile, per modo di stringere le retrovie del detto sistema. Il Col di Lana avrebbe dovuto prendersi salendo dai tre costoni (di Castello - di Agai - di Salesei). Per raggiungere siffatti obbiettivi, l'azione doveva in primo tempo portare all'occupazione:- Alla sinistra: - del Pescoi, che col Costone di Ciampovedil ci avrebbe dato il dominio del Cordevole e dei rovesci del Lana e ci avrebbe consentito di vedere e di battere direttamente tutte le vie di accesso che il nemico vi possedeva;
- Al centro: - delle difese di Lasta, sulle pennici del Cordevole, digradanti dal Col di Roda;
- Alla destra: - del Sasso di Stria, che ci avrebbe concesso il dominio sulla Val Parola e su tutte le sue difese.
Da destra a sinistra le nostre linee di occupazione scendevano dall'Averau all'Osteria di Falsarego, lasciavano fuori il Sasso di Stria, che era in mano al nemico, risalivano dalla parte opposta del Vallone di Andraz a Quota 2060, e, sviluppandosi al margine del bosco che copre le pendici della cortina dei Settsass, saliva alla nostra ridotta del Costone di Castello ed a quella Lamarmora sul Costone di Agai. Raggiungevano poi il Costone di Salesei, e di qui scendevano al Cordevole per risalire dall'altra parte al Col Toront ed al Passo di Fedaia. Fu dietro questa linea che, con i mezzi sopraggiunti, fu stabilito lo schieramento di artiglieria. A questo fu dato il carattere della massima offensività cercando di trarre il massimo utile dalla potenzialità delle bocche da fuoco. I due obici da 210 nuovi arrivati dall'interno furono postati a Malghe Laste, con settore di tiro dal Pescoi al Lana. Poi lungi e poco più bassi quattro cannoni da 149 G. - Altri quattro di tali cannoni furono postati alla testata di Valle Davedino, dietro le creste del Padon. - Un obice da 210 rimase nell'audace posizione di Cernadoi, sotto il Sasso di Stria, con azione efficace sulla Val Parola; - due obici da 210 restarono a Prapontin con azione dal Lana al Col di Bois. Anche questa volta la dotazione di medi calibri era assai scarsa: appena tredici bocche da fuoco, e, certo, non le migliori di cui il nostro Parco d'Assedio potesse disporre! Schieramento audace ed offensivo ebbero pure le artiglierie da Campagna e da Montagna della 17ª e 18ª Divisione, nonché quelle della prima che vennero a rinforzare lo schieramento dei piccoli calibri. Ecco in riassunto le forze di cui, all'entrata in azione il IX Corpo di Armata poteva disporre:
FORZE PROPRIE
17ª Divisione
Battaglioni Alpini Belluno e Val Chisone
Brigata Reggio (45° e 46° regg.)
Brigata Torino (81° e 82° regg.)
13° Regg. Art. da Campagna
Una compagnia zappatori del Genio.
18ª Divisione
Battaglioni Alpino Val Cordevole (M. T.)
Brigata Calabria (59° e 60° regg.)
Brigata Alpi (51° e 52° regg.)
33° Regg. Art. da Campagna
Una compagnia zappatori del Genio.
Truppe Suppletive
3° Regg. Bersaglieri
Volontari Alpini di Feltre
Compagnia Regie Guardie di Finanza
1° Regg. Art. da Campagna
Tre Batterie da Montagna
Frazione del Parco di Assedio
Una compagnia minatori
Regg. Lancieri di Firenze (a Belluno)
FORZE TEMPORANEAMENTE ASSEGNATE
1ª Divisione
Brigata Parma (49° e 50° regg.)
Brigata Basilicata (91° e 92° regg.)
Un gruppo del 25° regg. Art. da campagna
Una Compagnia zappatori del Genio.
Nei limiti fra le Tofane ed il Marmolada, il fronte era tenuto dalle Brigate Reggio - Torino - Calabria - Alpi, e dal 3° Regg. Bersaglieri. Le truppe alpine furono lasciate a salda guardia sulle posizioni specialmente difficili degli imponenti massicci sopra detti. In riserva furono poste le Brigate della 1ª Divisione, salvo il 49 Fanteria, che fu distaccato ai passi di San Pellegrino e di Valles. I piccoli calibri giunti con questa divisione ebbero schieramento immediato sul fronte di battaglia. In particolare diremo che sulle pendici del Col di Lana le truppe destinate all'attacco erano quelle poste sotto il comando di Peppino Garibaldi, che, tenente colonnello comandante il II Battaglione del 52° Fanteria, dal giorno del suo arrivo in linea aveva sempre operato sul Costone di Agai ove, con lavori di zappa, metodicamente procedendo, aveva guadagnato gradualmente terreno. Per l'azione che si sta narrando la forza ai suoi ordini fu portata a tre battaglioni, uno per ciascuno dei reggimenti 52 - 59 - 60, con una batteria da montagna. Il suo comando oltre che sul Costone di Agai fu esteso ai Costoni di Salesei e di Castello. Come d'ordine, l'azione si iniziò su tutto il fronte il mattino del 18 Ottobre con un'intenso fuoco di artiglieria. Primi a far sentire la loro voce furono i medi calibri. Ottimi i risultati dei tiri: - poche ore dopo, nella mattinata stessa si ebbero i primi contatti tra le fanterie. Il Pescoi, avuti i suoi trinceramenti sconvolti dai tiri efficacissimi della sezione obici da 210 di Malghelaste, fu in breve in nostra mano. - A conquistarlo fu precisamente la compagnia comandata dal Capitano Menotti Garibaldi, fratello di Peppino. - In breve l'occupazione dei fanti della Brigata Alpi si estese lungo il Crestone di Ciampovedil. All'altro estremo un arditissimo drappello di fanti dell'81° fanteria, guidati dal valorosissimo Tenente Mario Fusetti inerpicatosi per mezzo di una corda su di un canalone non vigilato, occupò di sorpresa il Sasso di Stria. Agilmente passando da punto a punto del fronte, il nostro fuoco si concentrò poi sul Fortilizio, sulle Ridotte Bianche e sui Fortini di Lasta, proteggenti il col di Roda; - sulle opere di Cima Lana e delle sue pendici, e sulle difese della sella tra il Sief ed i Settsass. E contro queste posizioni cominciò l'epica passione dei nostri fanti. Sulle posizioni occupate, questi iniziarono immediatamente i lavori di sistemazione, ma, fieramente battuti dal fuoco nemico talune posizioni, come il Pescoi non furono potute tenere. Utilissima ci sarebbe stata la conquista del Sasso di Mezzodì, pienamente dominante il Pescoi: - essa fu tentata dagli alpini del Battaglione Val Cordevole, che era dislocato nella regione della Costa Bella (San Pellegrino). Comandati dal capitano Nuvoloni, quei valorosi dettero prova di ogni più alta virtù, ma i loro tentativi si infransero contro le inenarrabili difficoltà dell'impresa. Intanto i nostri medi calibri, per numero e per qualità tattiche e balistiche inferiori a quelli del nemico, non potevano bastare per esercitare da per tutto efficace contro batteria. Ne i piccoli calibri, per tale specie di tiro poco atti, nella loro scarsezza potevano, - per quanto cercassero di moltiplicarsi, - essere sufficienti a proteggere contemporaneamente tutti i punti importanti del fronte. Avvenne quindi che i valorosi del Sasso di Stria, da vivo fuoco nemico completamente isolati e distrutti ebbero l'indomani i loro cadaveri calpestati dal tallone tedesco. Un nostro doppio assalto alla detta posizione ed ai Tre Sassi, preceduto ed accompagnato da intenso fuoco di artiglieria, si infranse contro quelle rocce taglienti ed a picco. A compensare la lor inferiorità di gittata, gli Artiglieri del 25° regg. da Campagna e quelli di un gruppo del 35°, montati i loro pezzi, su slitte improvvisate, li trainarono sul costone di Ciampovedil e nelle depressioni delle sponde del Cordevole fin oltre i caseggiati di Pallua e di Ornella. Le opere di Lasta vennero così ad essere dominate da vicino, ed i rovesci del Lana (Montucolo), solcati dagli accessi al Trincerone ed a Cima Lana, vennero sotto la loro azione efficace. Il tiro delle nostre artiglierie contro le opere di Lasta fece addirittura miracoli: - altrettanti ne fecero i nostri fanti, che con un primo slancio riuscirono a superare tutte le linee nemiche, arrivando al Col di Roda, e sparando fin entro le loro baracche. Ma gli avversari consapevoli dell'importanza di quelle posizioni, riuscirono a ristrapparcele, ne fu ulteriormente possibile di riaverle per quanto si combattesse con tutta decisione ed accanimento anche nei giorni seguenti. Il 20 ebbero luogo i primi nostri attacchi contro le opere del Costone di Salesei, ma purtroppo senza resultato. Oggetto di numerosi attacchi fu pure il Fortino Austriaco del Costone di Castello, che fu preso il 22 dopo un formidabile bombardamento dei 210 di Prapontin. Fieramente contro attaccati anche nella notte, i nostri fanti si mantennero saldamente nella posizione conquistata. Alle ore 3 e 30 del mattino si potè rinnovare l'attacco sul Costone di Salesei. Granate a mano ed una grande mina, lunga 30 m. ributtarono i nostri. Uguale esito ebbe un altro attacco eseguito più tardi nella mattinata stessa del 23. Per altro, proteggendosi con scudi metallici e con sacchetti a terra, i nostri bravi soldati del Genio erano riusciti a scavare una trincea, che, rudimentale da prima, poi migliorata consentì ai nostri fanti di spingersi lateralmente alla base della roccia a lama di coltello che scendeva sul Panettone (Cappello di Napoleone). Tenendone costantemente il ciglio sotto il fuoco efficace dei nostri vari calibri, a costo di mille espedienti, di mille stenti, di mille sacrifici, le dette trincee poterono essere costantemente migliorate. Fu così che il 27 mattino, preceduta un'azione precisa degli obici da 210 di Malghelaste, ci fu dato impadronirci della cresta di quella roccia e della relativa trincea austriaca, ed ivi rafforzarci, a malgrado della più vivace reazione del nemico, che ogni mezzo tentò per ricacciarcene. Nella sottostante posizione del Panettone, la situazione nemica divenne allora particolarmente difficile. Cessata ormai la sicurezza dei loro ricoveri e delle loro baracche, dominati dai nostri che erano sul Cappello di Napoleone, ogni loro apprestamento fu tenuto sotto il fuoco continuo delle nostre artiglierie, onde è che al mattino del 29, tutto essendo ormai distrutto, la posizione cadeva in nostra mano con 300 prigionieri ed 8 mitragliatrici. Causa la rottura di tutte le loro comunicazioni telefoniche, gli austriaci tardarono di un'ora ad avvedersi della perdita fatta. Di un'ora quindi essi ritardarono il loro fuoco di repressione. A questo parteciparono tutte le batterie del Cherz, del Pralongia, della Val Parola, e di Lagazuoi, Esso durò tutta la notte e tutto l'indomani. Ma i nostri che sapevano a quale caro prezzo avessero vinto, furono incrollabili. - Il vallone, già detto della morte, veniva ad essere per noi liberamente transitabile! Di tutto il Lana al nemico non restava ormai più che la vetta!
Tutti i nostri sforzi si concentrarono allora contro questa. A renderli oltremodo penosi, efficacissima si manifestava l'azione delle batterie austriache del Cherz, che, trovandosi oltre la portata dei nostri medi calibri, poco o nulla risentivano dell'azione delle nostre artiglierie da campagna e da montagna, per quanto talune fossero in posizioni di audacia senza pari. Ricorderemo fra le altre la Batteria da 75 Deport del 33° Regg. comandata dal Capitano Bitossi, il quale sul Costone di Ciampovedil, aveva postato i suoi pezzi oltre il più avanzato punto delle nostre occupazioni di fanteria, abilmente dissimulandoli fra massi antistanti ai reticolati di questa. L'audacia di questa batteria non fece che dimostrare se non l'indispensabilità del fuoco dei medi calibri. - Si pensò allora di spostare in avanti una batteria, od almeno una sezione di questi. Ma, data la loro scarsezza, occorreva scegliere un reparto il cui materiale ed il cui personale garantissero efficacia e rapidità nel raggiungimento degli scopi prefissi. Nei precedenti giorni della battaglia, tutti avevano riconosciuto che buona parte dei principali successi tattici ottenuti, erano per molto dovuti all'azione degli obici da 210, dalle cui granate di acciaio cariche di alto esplosivo i valorosi artiglieri di Malghe Laste e di Prapontin, pur nelle condizioni d'impiego più difficili e più delicate, avevano saputo trarre miracoli. Si pensò quindi se non fosse possibile che due di tali obici venissero portati sul Biampovedil, nei pressi della batteria Bitossi. Circa l'attuazione di tale progetto, fu chiamato ad esprimere il proprio parere il Capitano Galeazzi, comandante la batteria obici da 210 di Malghelaste, il quale, fatte le necessarie ricognizioni ebbe l'incarico di eseguirlo. Gli ordini furono che esso avrebbe dovuto condurre nel più breve tempo sul Ciampovedil due obici da 210, dei quali, l'uno l'avrebbe dovuto trarre dalla sua sezione di Malghelaste, l'altro lo avrebbe ricevuto a Livine, quest'ultimo provenendo dalla posizione di Cernadoi. Fu così che, in piena azione tattica, scendendo per Val Davedino, - allo scoperto sotto l'azione delle mitragliatrici e dei fucili nemici appostati sull'opposta riva del Cordevole, - risalendo la rampa di Sottil, a tratto a tratto illuminata dai riflettori e dai bengala nemici, - rimontando il Cordevole lungo i margini del bosco che si estende fino a Pallua, in una sola notte l'obice di Malghelaste giunse a questa località. Nella stessa notte l'obice di Cernadoi arriva a Livine. Nelle notti seguenti i due traini contemporaneamente si svolsero e le pesanti colonne di artiglieri e di fanti trainanti le otto vetture, sfilando avanti e poco sotto le opere austriache di Lasta, allo scoperto da esse, sotto l'azione di ogni loro offesa, superando difficoltà ed incidenti di reale epicità, poterono finalmente giungere nella posizione stabilita, che intanto artiglieri e soldati del Genio avevano già organizzato, e che fanti meravigliosi avevano già munizionato. L'obice restato a Malghe Laste, avuto ordine di concentrare la sua azione su Cima Lana, portando al massimo la celerità del suo fuoco, non fece accorgere il nemico dello spostamente dell'altro. Il 7 novembre, alle ore 13,30 Cima Lana veniva conquistata da un Battaglione del 60° Fanteria. Battuta per tutta la giornata da infernale fuoco di repressione, che la tempestò da ogni parte, essa fu eroicamente ed incrollabilmente mantenuta. Anzi la compagnia che la presidiava aveva nella sera spinto pattuglie sul crestone che si riattacca al Sief. Saputo questo, il Comando del Corpo di Armata voleva che si fosse senz'altro proceduto verso questo monte. Dal detto Comando emanarono precisi ordini in proposito e la prescrizione ai Comandanti delle divisioni in linea (17° e 18°) di dare al colonnello Garibaldi tutto l'appoggio all'uopo occorrente. Ma lo stato delle truppe fu dal Comando della posizione giudicato tale da non poter eseguire tale sforzo: - il movimento fu quindi rimandato all'indomani, provvedendosi intanto al cambio della Compagnia presidiante la linea. Il cambio, avvenuto di notte, fu forse errore. Durante il giorno l'accanimento del fuoco nemico aveva reso impossibile ogni lavoro di circostanza atto ad impedire sorprese. (gettamento di cavalli di frisia, - ripari in sacchi a terra ecc.). Nuova al luogo, e poco orientata, data l'oscurità della notte, a tale lavoro la compagnia di ricambio non potè certo utilmente attendere. Onde è, che, essendo l'occupazione della Cima consistente in due trincee, una antistante, sul ciglio verso la pendice austriaca, una di circa 200 m. retrostante, sul ciglio verso le nostre occupazioni, le trincee stesse nemiche a fronte rovesciato, - sotto un'improvviso attacco austriaco, il plotone che guerniva la prima trincea non potè reggersi, e dovè ripiegare sulla seconda, tenuta dal grosso della Compagnia. Il Comandante di questa, solo, forse giovane ed inesperto, non pensò o non ritenne, come avrebbe dovuto, di controattaccare immediatamente. Disgraziatamente il Comandante di Battaglione, era indietro e non aveva chiara notizia della situazione. Onde è che, quando il Comando della posizione ebbe sentore della perdita avvenuta, non la valutò al suo vero valore, e ritenne di restare in attesa dell'indomani per agire. L'indomani fu troppo tardi. Gli Austriaci riusciti come erano ad essere di nuovo padroni della Cima, o quanto meno della sua parte più utile, con lavoro febbrile di tutta la notte, afforzatisi, non cedettero! E successivamente, malgrado le batterie del Cherz ad una ad una fossero in breve ora ridotte al silenzio dai tiri precisissimi della sezione di Ciampovedil, - malgrado il fuoco che con rara efficacia sulla cima eseguirono i 210 di Prapontin, di Malghe Laste, ed infine anche quelli di Ciampovedil, - malgrado i concentramenti precisi di tutti, i calibri, medi e piccoli del Corpo d'Armata, malgrado il sangue dei nostri fanti, oltre dire generosamente prodigato, - la ripresa della perduta posizione non fu possibile. Era il 10 novembre e si combatteva ancora. Se non che la neve, che per varii giorni si era venuta abbondantemente accumulando, era ormai tale da aver fatto salire all'impossibile le difficoltà di ogni nostra manifestazione offensiva. Dall'altra parte le nostre truppe erano spossate ed esauste dall'attività bellica di quei 24 giorni di continui attacchi e contro attacchi. - Altrettanto poteva dirsi delle truppe nemiche, onde è che il 10 novembre ciascuno dei belligeranti si trovò quasi naturalmente a posare dalle sue ostilità restando nelle posizioni occupate. Da un lato quindi e dall'altro la battaglia finiva per esaurita energia, senza avere avuto né il suo epilogo, ne la sua fase decisiva. Questi erano ormai da rimettersi ad altro tempo! Risultati della battaglia: la conquista di tutto il Costone di Castello - del Panettone - del Cappello di Napoleone, del Costone di Giampovedil. Resultati certo non disprezzabili, e che in condizioni vantaggiose potevano consentirci di riprendere a tempo opportuno la battaglia interrotta. Essi per altro non mutavano sostanzialmente la reciproca situazione dei belligeranti, mentre era d'uopo riconoscere come la situazione a Cima Lana restasse delle più critiche, ed il cui mantenimento dovesse portare a necessità di una somma immensa di sacrifici, di virtù e di valore. In sostanza, la battaglia, che rispetto al progresso della stagione aveva cominciato troppo tardi, aveva anche durato troppo a lungo. Favorita nei primi giorni da tempo splendido, ben altri ne sarebbero stati i resultati, se maggiori fossero stati i mezzi bellici a disposizione. Poiché, per quanto l'elemento uomo generosamente si fosse prodigato, nelle condizioni di organizzazione nemica, - di luogo e di tempo, - non aveva potuto supplirne alla deficienza. Non va ad ogni modo dimenticato che quella non era se non un'azione diversiva, vale a dire di sacrificio per scopi da raggiungere altrove. E per esser tale non si può non riconoscere che quel Corpo di Armata, con miseri tredici pezzi di medio calibro, che la necessità imponeva di impiegare a sezioni e talora a pezzi isolati, postati a chilometri e chilometri di distanza, - con obiettivi molteplici; - con un quantitativo di piccoli calibri pur esso inadeguato rispetto all'immensa estensione del fronte da proteggere; - con fanterie che la necessità obbligava ancora ad andare contro i reticolati con i tubi di gelatina e con le cesoie, - non poteva ottenere resultati tattici locali di maggiore entità. A parte gli inevitabili inconvenienti dovuti a forza maggiore, ed in qualche raro caso alla manchevolezza di qualche esecutore, durante la battaglia truppe, servizi e comandi funzionarono nel modo più lodevole. Quando si pensi che i reparti rimasero in linea continuamente combattendo per giorni e giorni senza interruzione di sorta; - che vi rimasero sotto tiri nemici continui e ficcantissimi; - che vi rimasero in ogni contingenza, pur sapendo che in molti casi non potevano avere altra protezione se non quella dei propri mezzi, - mancando allora le bombarde - mancando i cannoncini da trincea - scarsissime essendo le mitragliatrici - deficente la dotazione e l'uso delle bombe a mano: - che vi rimasero sotto il ghiaccio assiderante delle notti; - sotto la pioggia e la neve sovente interversanti; - che, se erano tratte dalle trincee, lo erano non già per riposarsi ma per attendere a penosi lavori di fortificazione o di miglioramenti stradali, ovvero per compiere pesantissimi e faticosissimi traini di artiglieria o trasporto di munizioni; - quando si pensa che questi trasporti ed i rifornimenti alle linee si dovevano svolgere per chilometri e chilometri di aspri sentieri, che, male agevoli per loro stessi, il ghiaccio rendeva sovente insuperabili, - l'oscurità della notte terribili, - l'avversità del clima tormentosi, - il dominio del fuoco nemico disperanti; - quando si pensi che in tali condizioni, nel corso della battaglia, essi seppero compiere spostamenti e traini di medii calibri quali i 210; - quando si pensa che non solo i viveri, non solo le munizioni di fanteria, m neppure quelle di artiglieria ebbero un'istante a difettare, mentre altro mezzo per giungere non avevano se non i dorsi dei muli e le spalle degli uomini: - quando si pensa che quanto è detto va esteso anche ai proiettili da 210 pesanti intorno ed oltre un quintale; - quando si pensa che durante i 24 giorni della battaglia le truppe così variamente e così esaurientemente impiegate, mai smentirono il loro spirito offensivo, neppure quando era con le cesoie e coni tubi di gelatina che erano chiamate ad affrontare le difese nemiche, - si deve riconoscere che a quei fanti, miracoli maggiori non potevano essere chiesti. Certo è che i criteri che stabilivano allora la proporzione e l'impiego delle armi, e l'entità degli sforzi da richiedere all'elemento uomo erano assai diversi da quelli che poi l'esperienza venne mano a mano a fare adottare. - Ma è del pari certo che l'unione fra le due armi essenzialmente combattenti, fanteria ed artiglieria, fu assolutamente intima, e così pure l'unione fra queste e le varie specialità del Genio. In ogni suo ardire insuperabile, - indietro quando era solo allineata con le baionette dei fanti, l'artiglieria da montagna, che fra i suoi comandanti annovera capitani quali Lucco Mussino e Monaret del Vellars, ebbe [emule] generosissime le batterie da campagna. Le une e le altre giunsero ad un'efficacia che il nemico giudicò, dipendente da ricchezze di munizionamento, mentre viceversa era regola la necessaria massima parsimonia dei colpi, trovando compenso solo in quello studio accurato del terreno e dei bersagli, per cui gli artiglieri stranieri ebbero più tardi e giudicarci maestri. Efficacissimo poi l'impiego dei medi Calibri, il quale, col narrato movimento dei 210, nelle condizioni di terreno, di tempo e di azione tattica in corso, - raggiunse una scioltezza ed una genialità fino allora forse senza precedenti. E quanto all'esattezza ed efficacia di tiro, questa fu certo insuperabile, non solo per lo studio accurato del terreno e dei bersagli, ma perché ogni piccolo comandante seppe tener conto anche di tutti gli elementi che influiscono a far variare colpo da colpo, e raggiungere la massima rigorosità di appuntamento anche sotto i più ficcanti tiri nemici. Notevolissimi quindi le percentuali dei colpi giusti sui bersagli, che, in fatto di 210 indussero ad osare di impiegare le sezioni di Malghe Laste prima, di Ciampovedil poi, non solo in tiri di distruzione su posizioni adiacentissime alle nostre linee, ma anche in tiri a carattere eminentemente tattico quali quelli che più tardi furono detti di accompagnamento delle fanterie nei loro attacchi, e ciò facendo scoppiare le granate d'acciaio cariche di alto esplosivo poco avanti alle teste delle colonne di attacco. Per tale ardire di impiego e per la sua generale efficacia l'omaggio ai loro comandanti è assolutamente doveroso: - diremo che, essendo comandante di artiglieria del Corpo di Armata il Generale Locurcio, i medi calibri erano alle dipendenze del Colonnello Gonelli, comandante il Raggruppamento d'assedio del Corpo di Armata. Nel campo tattico la loro azione fu comandata e diretta dal Maggiore Pochj Riano. - I colonnelli Marro e Pancrazi comandavano le artiglierie divisionali.
Capitolo IV
Ad attività offensiva posata, si sentì subito la necessità di uscire dalla precaria situazione che la battaglia interrotta aveva lasciato. Durante l'inverno nessuna importante azione essendo possibile, le truppe fronteggiantisi lavorano ciascuna dal proprio canto a rafforzare le rispettive sistemazioni. Con audaci ricognizioni i nostri perfezionarono la conoscenza del terreno e quella delle posizioni nemiche, e migliorarono la efficienza delle proprie linee con l'occupazione di posizioni importanti. Notevole fra le altre, l'occupazione di una posizione alla confluenza del torrente Pestort, col Cordevole, che, posto di occupazione notturna del nemico, dominando il fondo del Cordevole, le pendici del Sief e di Contrin, il ciglio del Cherz e lo sbocco di Campolungo; molto poteva valere per il rinnovamento di eventuali azioni offensive (Roccie Galeazzi). Questa posizione, con ripetute parziali azioni, il nemico tentò più volte di strapparcela. Da segnalarsi pure l'occupazione del Montuccolo, che completò l'occupazione prossima attorno a Cima Lana dalla parte di Sud Ovest. Ma intanto i mezzi di artiglieria, invece che essere accresciuti venivano successivamente ridotti, onde è che, non potendosi più pensare ad una azione in stile che potesse renderci la cima, si pensò di ottenerla ricorrendo ad una mina colossale, che facendo saltare la cima stessa, venisse a dare l'effetto distruttore di un potente concentramento di artiglierie. Annientata così ogni opera, sulle sue rovine avrebbe potuto verificarsi l'immediata nostra occupazione, eseguendola mediante la pronta avanzata, da opportune posizioni di attesa, di speciali reparti, mentre altri avrebbero avuto il compito di slanciarsi alla conquista del Sief. Era allora Comandante del 1° Corpo d'Armata il Generale Roffi, successo al Generale Segato che allora teneva il comando del limitrofo I Corpo. Al Tenente del Genio Duca Gelasio Caetani di Sermoneta spetta l'onore della concezione - dell'attuazione - e del brillamento di tale mina. Sotto la sua personale direzione furono iniziati i lavori di tre gallerie: la Trento - la Trieste - la Sant'Andrea, che, contemporaneamente eseguite, dovevano convergere sotto le posizioni nemiche. Lavoro non scevro di difficoltà tecniche, esigente un fine senso tattico, e conoscenza perfetta dell'organizzazione nemica sulla cima esistente. Questo lavoro dovè essere condotto con tutta precauzione, affinchè il nemico non se ne accorgesse: - i trasporti dovettero esser fatti solo di notte, ed i brillamenti delle mine ad ore fisse, mascherati e soffocati da adeguati concentramenti di artiglieria. Ai primi di aprile le gallerie erano quasi al loro termine. Era in tutti fiducia che del nostro lavoro il nemico non si fosse avveduto. Ma il 7 di aprile avvenne lo scoppio di una contromina austriaca che fece franare parte della volta della galleria italiana. Il nemico cominciò immediatamente a contro minare. - Se esso avesse preceduto la nostra mina nel suo funzionamento, gli effetti della nostra opera sarebbero stati tutti annullati! Fu deciso allora di spingere i lavori in modo che essi avessero termine prima del tempo che al nemico avesse potuto occorrere per ultimare i propri. L'attività da intensa divenne febbrile. I fornelli furono in breve ultimati e caricati con gelatina esplosiva. Di questa ne occorsero 50 quintali che furono fatti tutti salire a spalla d'uomo. - Fu il Tenente Caetani stesso che li sistemò negli angusti fornelli, e che compì il lavoro di innescamento stabilendo fra i punti innescati un circuito metallico per modo da dare assoluta contemporaneità di esplosione. - I fornelli furono sbarrati ed intasati con blocchi di roccie e sacchi a terra. Il 17 aprile alla sera tutto era pronto. Truppe scelte erano state fatte salire per procedere, dopo l'esplosione alle occupazioni sopradette. Esse attendevano nelle caverne, avendo seco il materiale occorrente (fili spinosi - attrezzi da zappatore - sacchi a terra), per sistemarsi nelle posizioni che avrebbero conquistate. Alle ore 22 e 30 giunse l'ordine di attacco. Era del Maggiore Mezzetti, Comandante la posizione che ordinava al Tenente Caetani di far saltare la mina alle ore 23 e 35. Su tutta la fronte del corpo d'armata le truppe vigilavano nelle loro trincee, pronte a frastornare con raffiche di fucileria e di mitragliatrici l'attenzione del nemico. - Gli artiglieri, silenziosi, erano presso i loro pezzi carichi e puntati. - La notte serena, limpida, stellata, - qualche colpo qua e là, di tempo in tempo come nella consuetudine delle notti precedenti. L'ora si approssimava. Alle 23 e 35 precise, frullano i tre esploditori! - Un sordo, spaventoso boato fa traballare il suolo roccioso: - masse ingenti di materiale si sollevano in aria e ripiombano rotolando per le digradanti pendici: - non più una vetta ma un cratere vulcanico! - la difesa austriaca di Cima Lana era esistita! Un concentramento completo di tutte le nostre artiglierie dal Nuvolau - da Prapontin - dal Pian di Megon - da Malghe Laste - da Ciampovedil, incabbiò le riserve nemiche nelle caverne intanto che le nostre colonne si slanciarono all'attacco occupando la vetta ormai per sempre nostra e facendo numerosi prigionieri. Quanti assisterono e cooperarono alla grandiosa esplosione, si chiesero come mai, invece che tenerla fine a se stessa per uno scopo così limitato come quello dell'occupazione della Cima, non si fosse predisposto per un'azione generale su tutta la fronte su cui era già stata combattuta la battaglia dell'ottobre. Ed infatti, poiché questa era rimasta interrotta e poiché noi eravamo restati e ci eravamo rafforzati nelle posizioni allora raggiunte, la battaglia avrebbe potuto da queste essere vantaggiosamente ripresa. - E, potendo il fatto grandioso dello specchio consentirci di concentrare i nostri sforzi verso sinistra, noi avremmo potuto non solo scendere sul rovescio di Cima Lana e del Sief ma forzare i passi alla testata del Cordevole, donde, audacemente procedendo, avremmo potuto raggiungere gli scopi che erano prefissi alla battaglia dell'ottobre, e magari anche operare sulla sinistra per la regione del Gruppo Sella. Viceversa, per ritardata partenza del reparto designato, essendo ormai della sorpresa passati gli effetti, non si potè occupore neppure il Sief, onde è che l'esplosione di Cima Lana è da ritenere come fatto grandioso in se, cui per altro, essendo mancato l'inquadramento della adeguata, degna concezione offensiva, mancarono gli adeguati utili resultati di cui poteva essere fattore.
Capitolo V
Lunghe ore il nemico si accanì contro la sconvolta sommità del Lana, ma i nostri seppero tener fermo, e rimasero da quel giorno assoluti padroni della posizione, che consolidata opportunamente, vide sempre infranti tutti i successivi ritorni offensivi del nemico. Che anzi, contro la nostra attività, gli austriaci doverono poi concentrare ogni loro sforzo a difesa del massiccio del Sief. Epica fu la lotta per il possesso di questo: - col più alto valore da una parte e dall'altra gli avversari si fronteggiarono per lunghi mesi addivenendo anche ad una fiera e sapiente lotta di mine e di contromine, fino a che allargato il possesso sulle pendici sud occidentali e nord orientali, i nostri presidi costituiti dai fanti della Brigata Reggio, si spinsero fino al Dente del Sief, ed alla sottostante Sella, e ciò mentre la Brigata Torino progrediva sensibilmente verso la munitissima Cortina Sief - Settsass. Operazione esigenti alto valore ma di sola importanza locale, su tali posizioni la lotta venne poco a poco a stabilizzarsi, onde possiamo dire che dopo la riconquista del Lana ottenuta a mezzo della mina Caetani, operazioni importanti più non si ebbero, e ciò neppure quando, in seguito alle Strafe Expedition del maggio - giugno 1916, una nostra vigorosa offensiva dal Cadore e dalla Carnia avrebbe potuto esercitare una assai importante influenza strategica sull'andamento generale delle operazioni. E' la battaglia dal 18 ottobre al 10 novembre 1915 che è da riconoscere - come la più importante di quella fronte. - Essa fu una delle più sanguinose e tremende che la guerra ricordi. - Per gli sforzi che richiese, per i sacrifici che esigette, non è fuori di luogo dire che essa fu semplicemente titanica. Nel suo gran quadro il valore, la resistenza, la tenacia delle nostre truppe appaiono veramente sublimi. - Svoltasi in una stagione già inoltrata, in terreni aspri e difficili di alta montagna, - dai 1500 ai 2700 m, le difficoltà che essa obbligò a superare non furono soltanto quelle create da un nemico valoroso, abile, tenace, fornito di mezzi maggiori che noi, di gran lunga alla guerra più preparato, ma anche quella delle difficoltà dei luoghi e dell'asprezza del clima montano. Quale la terribilità di certe situazioni si può desumere dalla descrizione di quella, che i nostri avevano sotto il Fortino austriaco del Costone di Castello. Essa è descritta in una sua lettera al padre, di un nostro ufficiale italiano: Gli uomini nostri, di notte, si erano avanzati con grande bravura fino a trenta metri dai reticolati, tenendosi a riparo sul lato defilato di una scogliera, ed attendevano il momento propizio per attaccare. Pur troppo il nemico riuscì ad aggiustare su questi uomini un tiro micidiale di Shrapnels, che essi dovettero subire a ridosso di quelle rupi, senza potersi muovere: - appena se ne distaccavano venivano colpiti dal tiro delle mitragliatrici e della fucileria. Solo i feriti cercavano di allontanarsi dalla scogliera e si buttavano giù di corsa per il ripidissimo pendio erboso sottostante. Inseguiti dal fuoco nemico, strisciavano e ruzzolavano come pietre, facendo tremende cadute, fino a che precipitavano in un couloir, ove venivano a trovarsi più o meno defilati. Ieri perdemmo lì un gran numero di uomini. Ma i superstiti rimasero eroicamente al loro posto .... E finalmente oggi (22 ottobre), dopo un terribile e magnifico bombardamento con i nostri 210 è stato preso il Fortino, con alcuni prigionieri di cui sei italiani di sangue, che ci hanno dato molte informazioni preziose. Dal Col di Lana - Col di Sangue Pag. 49 - 50.Una narrazione episodica della lotta gigantesca sarebbe quanto mai interessante, e vivamente documenterebbe l'anima del nostro popolo. Ma sarebbe del pari ugualmente difficile, perché chi ebbe a combattere realmente, tale narrazione, per quanto viva, la troverebbe inferiore alla reale grandezza delle figure e dei fatti, - mentre chi in linea non ci fu, o ci fu per poco, alla narrazione, per quanto modesta, non potrebbe portare che incredulità e scetticismo. Alto omaggio va pure reso al valore grandissimo dell'esercito austriaco. Quale spirito animasse i valorosi camerati dell'esercito avversario, che avemmo l'onore di avere di fronte, è dimostrato dalle memorie del Capitano Austriaco Ebner, che il 29 ottobre, difendendo contro di noi la importantissima trincea del Panettone preferì la morte alla resa. A lui il ricordo di ammirazione di tutti gli italiani valorosi. Come i nostri avversari avessero saputo organizzarsi, e con quale fermezza di propositi si battessero, è attestato dal seguente semplice periodo del suddetto Capitano Ebner, che è nello stesso tempo l'elogio più alto alla pertinacia ed al valore dei nostri Fanti oltre che alla bravura dei nostri Artiglieri: "se l'artiglieria (Italiana) non fosse così meravigliosa i nemici non concluderebbero nulla, perché le fanterie non potrebbero avanzare". (Pubblicazione citata Pag. 31 ...) Il nome che le narrazioni relative alla battaglia fecero resultare legato al Col di Lana è quello di Peppino Garibaldi. Accanto ad esso ricordiamo quello dei suoi due fratelli Ezio e Sante, ed in modo speciale quello del terzo fratello Menotti Garibaldi. L'arrivo alla Brigata Alpi di questi giovani nepoti dell'immortale Eroe Nazionale nostro, Giuseppe Garibaldi, i quali già avevano conosciuto la rude guerra nelle Argonne, aveva richiamato su questa Brigata tutta la poesia della gloriosa epopea Garibaldina. A questa Brigata erano accorsi molti volontari di guerra, fra cui alcuni di età assai avanzata, che, memori e forse testimoni delle gesta del Nonno, sotto la grigia giubba portavano la camicia rossa, facendo ripensare alle gesta di quegli epici cacciatori delle Alpi, da cui la gloriosa Brigata direttamente deriva. Al lato ai nomi dei fratelli Garibaldi, oltre a tutti i nomi degli ufficiali via via ricordati, è giusto unire quelli del Capitano Raimondo, che conquistò il Fortino austriaco del Costone di Castello, - del Capitano Carosi, l'eroe del Costone di Salesei; - del Capitano Mezzetti, che nell'ottobre fu il condottiero valoroso di fanti contro le opere di Lasta, nell'aprile il Comandante intrepido delle truppe la sera dell'esplosione di Cima Lana. Ed onore altissimo va reso alla memoria del tenente Mario Fusetti, il cui alto valore, è l'orgoglio dell'81° Regg. Fanteria. Esso fu l'eroico giovinetto la cui anima superiore, soggiogando quelle radiosamente forze inconsapevoli di un pugno di eroi, seppe scalare e conquistare lo Stria. Prima di accingersi all'ardua opera, in una lettera al padre egli lasciò un poema di amor patrio di saldezza d'animo e di cosciente ardire! Dopo la battaglia il nome che si impone indiscusso e indiscutibile, al di sopra di ogni altro, è certamente quello del Tenente del Genio Duca Gelasio Caetani di Sermoneta, che per competenza tecnica, per pronta decisione e per grande energia ed intrepidezza compeggia nel magnifico episodio dell'esplosione del Lana. Ma, accanto a questi nomi, mille altri, tanto più grandiosi, quanto maggiormente modesti, - attorniano le figure e concretano i fatti che via via siamo rievenuti rievocando. - Ad ogni arma appartenenti, essi risuonarono sul Lana simbolo di virtù, di sacrificio, e di valore. E per tutti, doveroso è rendere omaggio alla nobile figura del Generale Segato, il condottiero valoroso della battaglia dell'ottobre, forse la più grande che, in zona di montagna si alta, siasi mai combattuta. E' a lui da riconoscere il grande merito che, pur dovendosi combattere per scopi puramente diversivi, egli seppe impedire che le forze venissero logorate in operazioni di esclusivi scopi locali per concentrare invece forze e sforzi in atti bellici coordinati e subordinati ad un'unico fine grandioso, - atti bellici che se fossero stati seguiti dal favore del tempo (dopo pochi giorni decisamente avverso), e da una minore scarsezza di mezzi - nel modo che egli ebbe a concepirli, impostarli e condurli, sarebbero senza dubbio stati seguiti da resultati che notevolmente avrebbero influito anche nella economia generale della guerra.
Castelplanio, maggio 1922
Maggiore Ing. ERNESTO GALEAZZI