L'attacco a Lorto

di Guido Burtscher

L'attacco ebbe inizio con un'azione di sorpresa contro la suaccennata vedetta italiana sulla cengia. Il sottotenente Otto Ammannshauser si arrampicò su quest'ultima, aggirando il nemico; il sottufficiale Giara si trovava sul nostro posto di vedetta, pronto per un assalto frontale; l'alfiere Karl Winsauer doveva calarsi con una fune sopra una parete rocciosa alta 40 m e di lassù lanciare bombe a mano sugl'Italiani. Il dott. Winsauer, che a quel tempo era alfiere nel plotone Guide alpine del tenente Tropschuh, ha messo a disposizione dell'autore la seguente descrizione della sua ardita impresa.
La mattina del 28 agosto 1917, il cappellano militare Treitner, del Bregenzer Standschützenbataillon, celebrò una messa al campo e impartì l'assoluzione generale. Verso sera scese una pioggia sottile, foriera di una notte cupa. Alle 8 le pattuglie agli ordini del sottotenente Amannshauser, dell'alfiere Winsauer e del sottufficiale Giara si misero in marcia. A metà altezza circa, il sottufficiale Giara deviò verso il ripido sentiero di Lorto, per raggiungere la nostra guardia sulla cengia, mentre il sottotenente Amannshauser e l'alfiere Winsauer si dirigevano verso il nostro posto situato più in alto. Colà giunti, cambiarono le scarpe da montagna con quelle munite di ramponi e presero le ultime cautele. Frattanto erano già le 10.30, ossia il momento di passare all'attacco. Si procedette agilmente in direzione est incontro al nemico, prima lungo le piante striscianti, poi, carponi, attraverso massi e frantumi di roccia. Poco dopo le 11 le pattuglie Amannshauser e Winsauer si separarono: la prima proseguì nella medesima direzione di levante, la seconda si volse a settentrione, verso la parete a picco. Di lì a un quarto d'ora all'incirca fu raggiunto il larice sovrastante il posto di guardia italiano. Ben presto fu a questo assicurata una fune lunga una cinquantina di metri e con la massima precauzione ne furono fatti scorrere nell'abisso 40 metri circa. Il nemico, che di sotto lavorava a consolidarsi, non si accorse di nulla. Allora fu saldata al larice un'altra corda da valanghe, quale funicella da segnalazione; dopo di che l'alfiere Winsauer, legato alla prima fune, si lanciò nel vuoto. A circa 10 metri sopra il nemico vi era una piccola sporgenza rocciosa, quanto mai atta a poggiarvi comodamente il piede. Qui l'alfiere si fermò e con la funicella fece segno a uno Jäger di raggiungerlo. Questi, senza far rumore, si calò per mezzo della corda con il sacchetto delle munizioni. Si prepararono le bombe a mano; nello stesso istante rintronò il primo colpo della nostra artiglieria sulla Furcia Rossa. Si poteva dunque attaccare! La prima bomba a mano fallì il bersaglio; la seconda al contrario raggiunse le munizioni del posto nemico, facendole esplodere. In pari tempo anche il sottufficiale Giara si precipitò all'attacco dalla nostra posizione sulla cengia; ma venne respinto dagli alpini sopraggiunti. Entrò allora in azione il lanciafiamme, sì che il nemico arretrò alquanto; mentre sulla cengia sottostante all'alfiere Winsauer si pigiava un folto gruppo di Italiani. Le bombe a mano scagliate dall'alto produssero un terribile effetto in quel fitto assembramento di uomini; nondimeno i prodi alpini retrocessero solamente quando anche il tenente Amannshauser si accinse ad assalirli alle spalle. Il nemico si ritrasse nella caverna, ma neppur qui si arrese, anzi difese con le unghie e coi denti ambedue le imboccature, fino a che si riuscì a travolgerne le prime file e a penetrare nella caverna. La sorte del presidio fu segnata. Chi non era rimasto ucciso o ferito venne fatto portar via dal tenente Amannshauser. L'alfiere Winsauer occupò la posizione conquistata e vi collocò dei posti di vedetta. Si passò allora al secondo compito: ossia all'appoggio dell'attacco frontale contro il saliente della trincea di Lorto. Il combattimento nella conca della valle era in pieno corso; il fragore delle granate si confondeva con i colpi dei fucili e delle mitragliatrici. L'alfiere Winsauer tentò di infiltrarsi con alcuni uomini nel camminamento di Lorto e di batterlo di infilata nella direzione nord. Egli pervenne bensì nella trincea nemica, ma con suo grande sgomento dovette presto constatare che l'attacco frontale non era riuscito, sicché egli pure, in tali circostanze, fu costretto a retrocedere. Frattanto l'artiglieria italiana incominciò a battere con tutti i suoi calibri le nostre posizioni ed il suo furioso fuoco durò sino al mezzogiorno del 29. All'alba, l'attacco dovette cessare, non essendo la compagnia d'assalto riuscita a superare le solidissime barriere nemiche. Dopo ciò, il compito più scabroso fu lo sgombero dei feriti dalla parete di Lorto.
In questo attacco furono fatti prigionieri un ufficiale e 26 uomini di truppa italiani; ma l'impresa era andata a vuoto; né le nostre perdite furono irrilevanti (7 morti, 60 feriti). Si dovette nuovamente rinunziare alla cengia di Lorto. L'esito negativo di quest'azione pur così accuratamente predisposta dimostra quanto sia arduo sopraffare in montagna il nemico, e chi giudica serenamente dovrà altresì pervenire, partendo da tali considerazioni, alla conclusione che i numerosi insuccessi italiani sono stati ritenuti tali da una opinione pubblica male informata.