Sic transit gloria mundi

di Marte Zeni

Altrove, le mine austriache non avevano mancato del tutto al loro scopo e ne era prova il Dente del Sief che si vedeva così bene dalla Cengia. In quei giorni il costone del Sief pareva in continua ebollizione e la notte il rombo era permanente come il borbottìo di una pentola di fagioli. Quello che avveniva sul Sief aveva per alcuni di noi un particolare interesse, perché lassù si trovava da qualche giorno l'amico Tassinari, il quale poco tempo prima si era rammaricato nel timore di dover lasciare le "fiamme Verdi" in quanto passava al comando d'una sezione di mitragliatrici. Di lassù ci aveva mandati a salutare, con la notizia che aveva mantenuto la sua uniforme di alpino e questa corrispondenza fra "scarponi" ci aveva ancor più avvicinati al Sief, malgrado fosse separato da quel maledetto cuneo del Sasso di Stria.
Ricordo che durante una notte di fitta nebbia, i fragori delle esplosioni provenienti dal Sief si fecero più frequenti, mentre i bagliori giungevano fino a noi attraverso lo spesso strato di caligine. Quella notte sognai l'amico Tassinari e rammento bene quello strano caso di telepatia, perché il mattino seguente fui attratto dalle grida di sorpresa dei soldati che additavano il Sief squarciato. Che cosa sarà mai capitato a Tassinari? Il costone, quasi diritto il giorno prima, presentava ora un largo solco fatto a "V". Seppi più tardi che il tenente Tassinari era scomparso proprio la notte dello scoppio. Il tenente colonnello Martini, venuto egli pure a osservare, sembrava rallegrarsi che un simile disastro non fosse capitato alla sua Cengia; ma i suoi giorni sereni dovevano durare poco, perché qualche tempo dopo avemmo la certezza che sarebbe toccato anche a noi saltare in aria. Un giorno che gli alpini del "Val Chisone" si trovavano a riposo nel vallone di Falzarego, vollero suonar la fanfara in barba al Sasso di Stria che, dalla selletta, tirava con il cannone e la mitragliatrice in direzione della teleferica di Col dei Bus. I proiettili fischiavano pochi metri sopra i baraccamenti e gli alpini, divertiti, gonfiavano le guance per strombettare certe pernacchie che, ostrega, facevano concorrenza alle cannonate. Quel giorno il colonnello Martini ebbe un'idea luminosa: per la sua Cengia era capace anche di questo. Mandò tutti i trombettieri in prima linea, in modo da festeggiare a suon di musica il probabile scoppio della mina austriaca. Malvezzi venne a visitare la Cengia, decidendo di tenerla sotto attenta osservazione. Martini, nel frattempo, non dormiva più: andava e veniva dalla sua Cengia tutto solo e sempre assorto, senza la più lontana idea che gli austriaci potessero pizzicare anche lui...
Venne il maggio 1917 e Martini sentiva che quei diavoli stavano con il moccolo in mano per accendere la miccia: non respirava quasi più e non la abbandonava neanche un minuto. Il 22 mattina, il telegeofono che captava ogni minimo rumore sotto terra sembrò annunciare un ultimatum: "Heute nochts gehet's los!". Dalle posizioni avanzate erano già stati ritirati quasi tutti gli uomini e quella sera si tolsero anche le guardie, per quanto alcune nostre trincee fossero ritenute fuori perìcolo. Appena fu notte, la fanfara fu fatta uscire all'imbocco della gallerìa dove il rimbombo doveva essere più forte ... e la Cengia saltò! Sul serio questa volta! La fanfara si mise a suonare la Marcia degli Alpini (il famoso "33"), destando tutti gli echi di Val Costeana e di Valparola, sovrastando il fracasso della frana, il cui rovinìo durò diversi giorni. Chissà come rimasero gli austrìaci, sicuri d'aver fatto strage di alpini e pronti a completare l'effetto della mina con un attacco. Fatto sta che capirono l'antifona e se ne stettero cheti. Gli alpini invece soffiarono tanto nelle trombe che, poveretti, si ritrovarono gola e polmoni a pezzi. Il mattino seguente, alle prime luci dell'alba, vedemmo il tenente colonnello Martini affacciato alla sua ex Cengia, al limite non franato del sentiero. I sassi continuavano a precipitare rumorosamente giù per la china, ma egli, senza dar retta ai suoi ufficiali che lo sconsigliavano, andò avanti col cuore in tumulto: venne fotografato così, mentre attraversava imperterrito, e fortunatamente incolume, l'impressionante ruina. Tornò indietro disperato. La trovata della fanfara era andata bene, è vero, ma la Cengia Martini (o per lo meno la sua parte più avanzata) non c'era proprio più. Trincee, camminamenti, postazioni di mitragliatrici, anche quelle ritenute più sicure, erano finite infondovalle. "Sic transit gloria mundi" fu sentito biascicare da don Traunero, nostro cappellano militare, che se ne rallegrò credendo si trattasse di orazioni.