Benedetti Libero
Capitano
52° Brigata Alpi
Nato il 30 settembre 1884 ad Ampezzo (UD)
Morto il 19 Luglio 1915 sul Costone di Agai - Col di Lana
Decorazioni
Medaglia d'Argento
Nobile esempio di singolare coraggio e fermezza di carattere, guidò la sua compagnia all’attacco
delle posizioni strenuamente difese dal nemico. Colpito al petto, con nobili ed elevate parole
incitava i suoi soldati a perseverare da valorosi; ma un secondo colpo gli toglieva la vita
quando già egli era giunto sui trinceramenti nemici.
Col di Lana - 15,17,19 luglio 1915
Note biografiche (Archivio Danilo Morell)
Prima della guerra
Libero nacque il 30 settembre 1884 ad Ampezzo da Pietro, medico, e da Maria De Pol. Maria rimase
vedova in giovane età e pensò subito all’educazione dei suoi sei figli. Fu così che si trasferì a
Padova dove, con la scarsa pensione e con pochi proventi, fece di tutto per veder coronate le sue
speranze di madre.
Le continue lotte della vita e lo strazio per la perdita dell’ultimogenito, Celso, affogato nel
fiume Bacchiglione, causarono a Maria una fulminea paralisi che la tenne inchiodata al letto per
parecchi anni.
Libero frequentò il Liceo “Tito Livio” di Padova dove ottenne la licenza e poi frequentò i primi
due anni della facoltà giuridica dell’Università di Padova. Venne poi chiamato al servizio
militare e si arruolò nel plotone allievi ufficiali uscendone ufficiale di complemento nel 79°
Reggimento Fanteria Brigata Roma. Decise così di intraprendere la carriera militare, sostenne gli
esami e venne promosso sottotenente effettivo nel 2° Reggimento Fanteria Brigata Re.
Durante questo periodo si segnalò per coraggio e sangue freddo ricevendo un encomio solenne per
essersi gettato alla testa di due cavalli in fuga e riuscendo a fermarli, mentre minacciavano di
travolgere i passanti per le frequentatissime vie cittadine.
Libero era anche uno scrittore elegante di varia e profonda cultura, scrisse vari articoli militari
e studi su diversi soggetti e pubblicò un apprezzatissimo volume dal titolo: "Calvi e il
Risorgimento”.
La guerra di Libia
Scoppiata la guerra di Libia chiese subito di farne parte e fu soddisfatto. Salutò la madre per
un’ultima volta e partì quale tenente nei ranghi del 79° reggimento Fanteria Brigata Roma. Il suo
reggimento si coprì di gloria alle Due Palme ed egli stesso si meritò una medaglia di bronzo al
valor militare: “Condusse il proprio reparto con intelligenza ed audacia all’attacco delle
posizioni occupate dal nemico, dando esempio di coraggio e sangue freddo. Due Palme (Bengasi),
12 marzo 1912”.
Mentre si trovava in Libia sua madre si spense definitivamente. Chiese, ed ottenne, una breve
licenza per poter rientrare a casa ed unirsi al dolore della famiglia. Così ricorderà un
conoscente: “... non scorderò mai il suo arrivo alla stazione di Tarcento, ove erano convenuti
ad attenderlo amici e conoscenti raccolti nel più eloquente silenzio: nella logora divisa di
guerra, col volto segnato dalle più intense fatiche e dal più acerbo dolore, scosso dal tremito
della più profonda commozione, seppe dominarsi, finchè giunto in famiglia, strettasi al petto la
sua diletta Erminia confuse con essa il pianto ed il dolore ...”.
Libero presentò poi domanda per il passaggio nei Granatieri e fu così assegnato al 1° Reggimento.
Nel giugno 1914 si sposò con la padovana Maria Vallini dalla quale ebbe un figlio.
Libero si trovava ad Avezzano quando ci fu il tremendo terremoto del 13 gennaio 1915 ed anche qui
si distinse per sublime ardimento, per opera civile di organizzazione e per l’elevata pietà umana.
Fu promosso capitano nell’aprile 1915 e venne destinato al 52° reggimento fanteria della Brigata
Alpi.
La Grande Guerra
Scoppiata la grande guerra partì subito per il fronte al comando della 16ª compagnia del 52°
Fanteria e così scrisse alla moglie quel 23 maggio 1915:
“Quello che era facilmente prevedibile in questi ultimi tempi è avvenuto: non perciò deve
diminuire quella serenità di spirito con la quale si deve attendere lo svolgimento degli
avvenimenti. Oggi siamo in guerra, guerra santa, guerra giusta, guerra vendicatrice di tutte le
umiliazioni, di tutti i soprusi, di tutte le crudeltà compiute a nostro danno, guerra che noi
soldati dobbiamo condurre con coraggio, che voi donne, umili eroiche donne, dovete sopportare
con abnegazione ... Io ti ripeto, mia Maria, in queste circostanze bisogna che tutti siamo forti,
perché dobbiamo vincere e la vittoria è data da noi che combattiamo e da voi che attendete. Bisogna
sentire quella forza inesauribile che è la volontà: è necessario volere essere forti”.
La Alpi prese posizione in alta Val Cordevole, sulle montagne intorno all’abitato di Caprile e da
qui Libero scrisse al fratello Guido: “Sono circa a 2000 metri in terra redenta. Il mio
reggimento garibaldino (gli antichi Cacciatori delle Alpi) vuol riprendere la marcia interrotta
nel 66. E ci riuscirà vittoriosamente. Ti assicuro, caro Guido, che è una grande soddisfazione
comandare una compagnia quassù nella guerra così lungamente sognata ed attesa”.
Intanto il suo reggimento si rafforzò sulle posizioni raggiunte ed eseguì molte ricognizioni per
saggiare le difese austroungariche.
Alla vigilia dell’azione Libero volle consegnare la bandiera, che gli aveva regalato sua moglie,
ai suoi soldati e ne fece cenno in una lettera che gli inviò il 26 giugno 1915: “Oggi sono
salito con la compagnia a 1600 metri su di un Colle che domina la valle ed è presso il confine.
Ho approfittato per consegnare solennemente la bandiera alla compagnia. Fu una cerimonia che ha
molto commosso i soldati. Ho detto loro le ragioni della guerra all’Austria, del nostro magnifico
dovere di soldati, ho parlato della Patria, quindi ho consegnato la bandiera ad uno dei più arditi
soldati della compagnia dicendo: ti affido questa bandiera sacra: tu la porterai e la farai
sventolare nei momenti più aspri del combattimento per essa sarai pronto a versare il tuo sangue.
E voi tutti, ho detto ai soldati, sarete pronti a dare la vostra giovane vita per essa. Questa
bandiera non è di seta, non ha argento né oro, ma ci è ugualmente preziosa, fu lavorata e mi fu
consegnata dalla persona che più amo nella vita, fu benedetta da Dio in una famosa basilica, al
Santo di Padova, essa dovrà condurci alla vittoria. Ho quindi aggiunto altre buone parole, tanto
che tutti avevano le lagrime agli occhi, per l’entusiasmo e la fede. E noi tutti ufficiali abbiamo
baciato i lembi sacri che son passati tra le tue mani care”.
A partire dal 7 luglio cominciarono i primi attacchi al Col di Lana che continuarono accaniti fino
al 20 luglio. Così Libero scrisse alla moglie il 18 luglio: “Sei stata un paio di giorni senza
mie nuove: ciò ha dipeso dal fatto che ho avuto la ... cresima del fuoco. Abbiamo combattuto per
tre giorni e come vedi per me è andata benissimo. Sono sano e salvo con qualche lieve scalfittura
alle mani, ma senza nessunissimo guaio. Durante questi tre giorni, pur trovandomi in momenti assai
difficili, ho avuto una tale serenità, una tale persuasione di uscire incolume dalla mischia, da
non credersi. Sentivo sopra di me la protezione celeste ottenuta mercè tutte le tue preghiere ed i
voti di chi mi vuol bene. Ho avuto in compagnia qualche perdita: i miei due ufficiali feriti, ma
tutto è andato benissimo e ti annuncio – con beneficio d’inventario – che sono stato proposto per
la medaglia d’argento”.
Il giorno dopo, il IV battaglione del 52° fanteria, ritornò all’assalto del Costone di Agai
riuscendo a travolgere le prime trincee austro-ungariche fino alla testata del vallone di Agai ma
una tempesta di fuochi incrociati e lancio di bombe da tutti i lati bloccarono l’azione e
costrinsero i fanti a ripiegare sulle posizioni di partenza. Le dure prove di questi giorni
costarono al 52° fanteria 107 morti (tra cui 6 ufficiali) e 431 feriti. Tra gli ufficiali caduti
ci sarà anche Libero, colpito al petto nei pressi dei trinceramenti austro-ungarici. Continuò ad
incitare i suoi soldati finchè un secondo colpo mise fine alle sue sofferenze.
Così scrisse il Colonnello Comandante il Reggimento nel notificare la triste notizia alla moglie:
“12 luglio Benedetti Libero il nostro valoroso capitano combattè da eroe. Il 15 ed 17 luglio
guidò con ammirevole coraggio la sua compagnia all’assalto di tante contrastate e formidabili
trincee nemiche: sopraffatto dal tiro, ma non scosso dal sentimento assaltò con rinnovato ardore
le stesse trincee il giorno 19 e su di esse un colpo di fucile lo arrestò ma non spense il suo
valore. Ferito al petto incitò i suoi soldati a perseverare da valorosi. Sono ferito – egli disse –
ma non è nulla. Avanti ragazzi! Viva l’Italia! – Un altro colpo di fucile tolse la vita al prode
capitano che morì da forte pronunciando sommesso cari nomi. Egli aveva una bandierina, caro regalo
di persona a Lui cara. Il 26 giugno all’accantonamento di La Mora la presentò alla compagnia:
questa bandiera, disse, mi è sacra. Essa mi seguirà ovunque – e con me dovrà essere sempre ed in
qualunque luogo tutta la compagnia. Baciò la bandiera che fu baciata dagli ufficiali della
compagnia. Quella bandiera fu con Lui alle trincee ove perdette la vita. Di questo prezioso
oggetto, caro ricordo del prode capitano, il Reggimento si priva con dolore, ma è generoso dovere
recapitarlo alla famiglia, quale sacro ricordo del valoroso che perdette la vita sul Campo di
battaglia, ammirato e lagrimato da tutti. Il Colonnello Comandante del Reggimento, firmato Trulla
Federico”.
Alla sua memoria venne concessa la medaglia d’argento al valor militare.
Anche il fratello Umberto, col grado di tenente, combatterà in Libia meritandosi una medaglia di
bronzo al valor militare. Combatterà anche nella prima guerra mondiale, col grado di capitano
degli alpini, meritandosi una medaglia d’argento sul Monte Cauriol, una di bronzo sul Monte
Cardinal e una croce di guerra al valor militare. Concluderà la sua esperienza militare col grado
di tenente colonnello.
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Nato il 30 settembre 1884 ad Ampezzo (UD)
Morto il 19 Luglio 1915 sul Costone di Agai - Col di Lana
Decorazioni
Medaglia d'Argento
Nobile esempio di singolare coraggio e fermezza di carattere, guidò la sua compagnia all’attacco delle posizioni strenuamente difese dal nemico. Colpito al petto, con nobili ed elevate parole incitava i suoi soldati a perseverare da valorosi; ma un secondo colpo gli toglieva la vita quando già egli era giunto sui trinceramenti nemici.Col di Lana - 15,17,19 luglio 1915
Note biografiche (Archivio Danilo Morell)
Prima della guerra
Libero nacque il 30 settembre 1884 ad Ampezzo da Pietro, medico, e da Maria De Pol. Maria rimase vedova in giovane età e pensò subito all’educazione dei suoi sei figli. Fu così che si trasferì a Padova dove, con la scarsa pensione e con pochi proventi, fece di tutto per veder coronate le sue speranze di madre. Le continue lotte della vita e lo strazio per la perdita dell’ultimogenito, Celso, affogato nel fiume Bacchiglione, causarono a Maria una fulminea paralisi che la tenne inchiodata al letto per parecchi anni.Libero frequentò il Liceo “Tito Livio” di Padova dove ottenne la licenza e poi frequentò i primi due anni della facoltà giuridica dell’Università di Padova. Venne poi chiamato al servizio militare e si arruolò nel plotone allievi ufficiali uscendone ufficiale di complemento nel 79° Reggimento Fanteria Brigata Roma. Decise così di intraprendere la carriera militare, sostenne gli esami e venne promosso sottotenente effettivo nel 2° Reggimento Fanteria Brigata Re.
Durante questo periodo si segnalò per coraggio e sangue freddo ricevendo un encomio solenne per essersi gettato alla testa di due cavalli in fuga e riuscendo a fermarli, mentre minacciavano di travolgere i passanti per le frequentatissime vie cittadine.
Libero era anche uno scrittore elegante di varia e profonda cultura, scrisse vari articoli militari e studi su diversi soggetti e pubblicò un apprezzatissimo volume dal titolo: "Calvi e il Risorgimento”.
La guerra di Libia
Scoppiata la guerra di Libia chiese subito di farne parte e fu soddisfatto. Salutò la madre per un’ultima volta e partì quale tenente nei ranghi del 79° reggimento Fanteria Brigata Roma. Il suo reggimento si coprì di gloria alle Due Palme ed egli stesso si meritò una medaglia di bronzo al valor militare: “Condusse il proprio reparto con intelligenza ed audacia all’attacco delle posizioni occupate dal nemico, dando esempio di coraggio e sangue freddo. Due Palme (Bengasi), 12 marzo 1912”. Mentre si trovava in Libia sua madre si spense definitivamente. Chiese, ed ottenne, una breve licenza per poter rientrare a casa ed unirsi al dolore della famiglia. Così ricorderà un conoscente: “... non scorderò mai il suo arrivo alla stazione di Tarcento, ove erano convenuti ad attenderlo amici e conoscenti raccolti nel più eloquente silenzio: nella logora divisa di guerra, col volto segnato dalle più intense fatiche e dal più acerbo dolore, scosso dal tremito della più profonda commozione, seppe dominarsi, finchè giunto in famiglia, strettasi al petto la sua diletta Erminia confuse con essa il pianto ed il dolore ...”.Libero presentò poi domanda per il passaggio nei Granatieri e fu così assegnato al 1° Reggimento.
Nel giugno 1914 si sposò con la padovana Maria Vallini dalla quale ebbe un figlio.
Libero si trovava ad Avezzano quando ci fu il tremendo terremoto del 13 gennaio 1915 ed anche qui si distinse per sublime ardimento, per opera civile di organizzazione e per l’elevata pietà umana. Fu promosso capitano nell’aprile 1915 e venne destinato al 52° reggimento fanteria della Brigata Alpi.
La Grande Guerra
Scoppiata la grande guerra partì subito per il fronte al comando della 16ª compagnia del 52° Fanteria e così scrisse alla moglie quel 23 maggio 1915: “Quello che era facilmente prevedibile in questi ultimi tempi è avvenuto: non perciò deve diminuire quella serenità di spirito con la quale si deve attendere lo svolgimento degli avvenimenti. Oggi siamo in guerra, guerra santa, guerra giusta, guerra vendicatrice di tutte le umiliazioni, di tutti i soprusi, di tutte le crudeltà compiute a nostro danno, guerra che noi soldati dobbiamo condurre con coraggio, che voi donne, umili eroiche donne, dovete sopportare con abnegazione ... Io ti ripeto, mia Maria, in queste circostanze bisogna che tutti siamo forti, perché dobbiamo vincere e la vittoria è data da noi che combattiamo e da voi che attendete. Bisogna sentire quella forza inesauribile che è la volontà: è necessario volere essere forti”.La Alpi prese posizione in alta Val Cordevole, sulle montagne intorno all’abitato di Caprile e da qui Libero scrisse al fratello Guido: “Sono circa a 2000 metri in terra redenta. Il mio reggimento garibaldino (gli antichi Cacciatori delle Alpi) vuol riprendere la marcia interrotta nel 66. E ci riuscirà vittoriosamente. Ti assicuro, caro Guido, che è una grande soddisfazione comandare una compagnia quassù nella guerra così lungamente sognata ed attesa”.
Intanto il suo reggimento si rafforzò sulle posizioni raggiunte ed eseguì molte ricognizioni per saggiare le difese austroungariche. Alla vigilia dell’azione Libero volle consegnare la bandiera, che gli aveva regalato sua moglie, ai suoi soldati e ne fece cenno in una lettera che gli inviò il 26 giugno 1915: “Oggi sono salito con la compagnia a 1600 metri su di un Colle che domina la valle ed è presso il confine. Ho approfittato per consegnare solennemente la bandiera alla compagnia. Fu una cerimonia che ha molto commosso i soldati. Ho detto loro le ragioni della guerra all’Austria, del nostro magnifico dovere di soldati, ho parlato della Patria, quindi ho consegnato la bandiera ad uno dei più arditi soldati della compagnia dicendo: ti affido questa bandiera sacra: tu la porterai e la farai sventolare nei momenti più aspri del combattimento per essa sarai pronto a versare il tuo sangue. E voi tutti, ho detto ai soldati, sarete pronti a dare la vostra giovane vita per essa. Questa bandiera non è di seta, non ha argento né oro, ma ci è ugualmente preziosa, fu lavorata e mi fu consegnata dalla persona che più amo nella vita, fu benedetta da Dio in una famosa basilica, al Santo di Padova, essa dovrà condurci alla vittoria. Ho quindi aggiunto altre buone parole, tanto che tutti avevano le lagrime agli occhi, per l’entusiasmo e la fede. E noi tutti ufficiali abbiamo baciato i lembi sacri che son passati tra le tue mani care”.
A partire dal 7 luglio cominciarono i primi attacchi al Col di Lana che continuarono accaniti fino al 20 luglio. Così Libero scrisse alla moglie il 18 luglio: “Sei stata un paio di giorni senza mie nuove: ciò ha dipeso dal fatto che ho avuto la ... cresima del fuoco. Abbiamo combattuto per tre giorni e come vedi per me è andata benissimo. Sono sano e salvo con qualche lieve scalfittura alle mani, ma senza nessunissimo guaio. Durante questi tre giorni, pur trovandomi in momenti assai difficili, ho avuto una tale serenità, una tale persuasione di uscire incolume dalla mischia, da non credersi. Sentivo sopra di me la protezione celeste ottenuta mercè tutte le tue preghiere ed i voti di chi mi vuol bene. Ho avuto in compagnia qualche perdita: i miei due ufficiali feriti, ma tutto è andato benissimo e ti annuncio – con beneficio d’inventario – che sono stato proposto per la medaglia d’argento”.
Il giorno dopo, il IV battaglione del 52° fanteria, ritornò all’assalto del Costone di Agai riuscendo a travolgere le prime trincee austro-ungariche fino alla testata del vallone di Agai ma una tempesta di fuochi incrociati e lancio di bombe da tutti i lati bloccarono l’azione e costrinsero i fanti a ripiegare sulle posizioni di partenza. Le dure prove di questi giorni costarono al 52° fanteria 107 morti (tra cui 6 ufficiali) e 431 feriti. Tra gli ufficiali caduti ci sarà anche Libero, colpito al petto nei pressi dei trinceramenti austro-ungarici. Continuò ad incitare i suoi soldati finchè un secondo colpo mise fine alle sue sofferenze.
Così scrisse il Colonnello Comandante il Reggimento nel notificare la triste notizia alla moglie: “12 luglio Benedetti Libero il nostro valoroso capitano combattè da eroe. Il 15 ed 17 luglio guidò con ammirevole coraggio la sua compagnia all’assalto di tante contrastate e formidabili trincee nemiche: sopraffatto dal tiro, ma non scosso dal sentimento assaltò con rinnovato ardore le stesse trincee il giorno 19 e su di esse un colpo di fucile lo arrestò ma non spense il suo valore. Ferito al petto incitò i suoi soldati a perseverare da valorosi. Sono ferito – egli disse – ma non è nulla. Avanti ragazzi! Viva l’Italia! – Un altro colpo di fucile tolse la vita al prode capitano che morì da forte pronunciando sommesso cari nomi. Egli aveva una bandierina, caro regalo di persona a Lui cara. Il 26 giugno all’accantonamento di La Mora la presentò alla compagnia: questa bandiera, disse, mi è sacra. Essa mi seguirà ovunque – e con me dovrà essere sempre ed in qualunque luogo tutta la compagnia. Baciò la bandiera che fu baciata dagli ufficiali della compagnia. Quella bandiera fu con Lui alle trincee ove perdette la vita. Di questo prezioso oggetto, caro ricordo del prode capitano, il Reggimento si priva con dolore, ma è generoso dovere recapitarlo alla famiglia, quale sacro ricordo del valoroso che perdette la vita sul Campo di battaglia, ammirato e lagrimato da tutti. Il Colonnello Comandante del Reggimento, firmato Trulla Federico”.
Alla sua memoria venne concessa la medaglia d’argento al valor militare.
Anche il fratello Umberto, col grado di tenente, combatterà in Libia meritandosi una medaglia di bronzo al valor militare. Combatterà anche nella prima guerra mondiale, col grado di capitano degli alpini, meritandosi una medaglia d’argento sul Monte Cauriol, una di bronzo sul Monte Cardinal e una croce di guerra al valor militare. Concluderà la sua esperienza militare col grado di tenente colonnello.
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