Curti Stefanino
Capitano
2° Regg. Alpini, 221ª cp. battaglione Val Varaita
Nato il 12 novembre 1895 ad Imola (BO)
Morto il 10 novembre 1917 al ponte di Vidor (TV)
Decorazioni
Medaglia d'Oro
Preposto con la sua compagnia di alpini alla difesa di una testa di ponte di vitale interesse
per le nostre truppe ripieganti, si votava con indomito ardimento e strenua, accanita lotta,
riuscendo ad arrestare temporaneamente l’avversario soverchiante. Con un piccolo numero di
generosi superstiti, contrattaccava per ben tre volte un nemico grandemente superiore di forze, e
nell’impari lotta trovava morte gloriosa. Fulgido esempio di eroismo e di sentimento del dovere,
spinto al consapevole sacrificio di se stesso.
Vidor, 10 novembre 1917
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Prima della guerra
Il trentaseienne professor Francesco Curti, fin dagli inizi della sua carriera aveva accettato di
buon grado i diversi incarichi che il Ministero dell’Istruzione gli proponeva. Come insegnante di
lettere aveva quindi lasciato il suo Piemonte per trasferirsi, prima in Sicilia, poi in Romagna e
successivamente in Liguria. Fra un trasferimento e l’altro, reggendo a quel tempo una cattedra
presso il Ginnasio "Benvenuto Rambaldi" di Imola, sua moglie, Giuseppina Briolo, aveva messo al
mondo Stefano, il loro quartogenito. Dopo tre figlie femmine, il maschietto era stato accolto in
famiglia con vera gioia, specialmente da suo padre che già lo immaginava degno erede anche della
sua professione. Così, terminati gli studi inferiori, Stefanino – Nino, come lo chiamavano in
famiglia – era stato iscritto presso il Regio Istituto Ginnasiale e nel 1914, dopo l’ennesimo
trasferimento del padre al Liceo "Andrea D'Oria" di Genova, aveva ottenuto la licenza a pieni
voti.
Come spesso succede, i figli non seguono alla lettera le aspirazioni dei padri e così, appena
diplomato, alla carriera scolastica Stefanino preferisce quella militare. Il 5 novembre dello
stesso anno ottiene di entrare come allievo ufficiale alla Scuola Militare di Modena e per
consolare, almeno in parte il genitore, chiede di essere assegnato al corpo degli alpini, lo stesso
nel quale suo padre aveva prestato il servizio militare. Col grado di sottotenente, il 30 maggio
1915 Stefanino viene quindi designato al Battaglione “Val d'Arroscia” che, una quindicina di giorni
più tardi raggiunge in Carnia, zona di guerra al confine austriaco.
La Grande Guerra
Qui gli alpini sono impegnati nella costruzione delle imponenti opere di difesa che da Sella Nevea
proseguono nel bosco del Camet con una strada a tornanti dotata di muri di sostegno e ponticelli,
tutti realizzati a secco. Più in alto, verso il monte Poviz, si stanno realizzando caserme e
ricoveri ed ancora oltre, da Punta Medon alla cresta del Golovec, si scavano scavate caverne e
postazioni d’artiglieria. Da quelle parti, sulle creste del Cregnedul, Stefanino merita un encomio
solenne da parte del comandante del settore perché: “[...] vigila con intelligente
interessamento e con diligente costanza i lavori e i movimenti del nemico. Apprezzo tutto il valore
delle informazioni precise e importanti, ch'ella suole dare settimanalmente a questo comando e
apprezzo i lavori che fa eseguire su queste posizioni. Gliene faccio l'encomio più vivo, la
ringrazio e mando copia di questa lettera al Comando di Valle, perché anche al Colonnello Cav.
Savarani sia noto il servizio che Ella compie”.
Baraccamenti italiani sulle creste del Cregnedul (Alpi Carniche, zona Montasio)
Durante il rigido inverno di quell’anno particolarmente nevoso il lavoro degli alpini si fa
difficile, ma nonostante le micidiali valanghe non s’interrompe.
Nei primi tre mesi del nuovo anno Stefanino viene inviato a Caserta per frequentare un corso per
l’uso delle mitragliatrici ed al suo ritorno, col grado di tenente, segue il battaglione alla sua
nuova destinazione sull’altipiano di Asiago. Anche qui, sul monte Lozze, gli alpini si danno alla
costruzione di numerose opere di difesa per opporre un’adeguata resistenza all’offensiva che gli
austriaci hanno chiamato “Strafexpedition”, la spedizione punitiva. Ai primi di luglio il
battaglione viene spostato verso Cima delle Saette per procedere all’assalto del Monte Cucco,
impresa che si rivela estremamente ardua per le difficoltà del terreno e per l’intrico della
vegetazione. Durante quell’azione Stefanino si distingue nuovamente meritando una medaglia di
bronzo perché: “Si offriva volontariamente di comandare una pattuglia incaricata di prendere
contatto col nemico e tagliare i reticolati, e assolveva il suo compito con fermezza e coraggio.
Sprezzante del pericolo, più volte attraversava una zona battuta da fucileria e mitragliatrici per
dare importanti informazioni sulle difese avversarie, finché, ferito alla gamba destra, doveva
abbandnare il posto”. Cucco di Pozzo, 7-8 luglio 1916.
Soccorso dai suoi uomini Serafino viene portato al posto di medicazione, ma la ferita non è leggera
ed è quindi costretto a trascorrere un anno di degenza tra gli ospedali di Brescia e di Genova.
Ristabilitosi, nel giugno del 1917 viene reinviato in zona di guerra presso il XII Gruppo Alpini
in Val Costeana, ai piedi delle Dolomiti d’Ampezzo. Ancora convalescente, un po’ amareggiato per
non essere stato assegnato fin da subito a qualche unità operativa, Stefanino si deve accontentare
di un incarico defilato presso gli uffici del comando tra le sedi di Vervei e di Pocol dove ha il
tempo di scrivere a casa. “Da queste parti non vi è che profumo di pini che crescono
inverosimilmente sulla nuda roccia ed ombreggiano il fondo delle valli sino a metà delle montagne,
poiché al di sopra dei boschi odorosi s’innalzano i picchi ignudi e sublimi che rinchiudono nelle
loro insenature, nelle loro pieghe, nei loro valloni la bianca neve ed i scintillanti
ghiacciai”. Finalmente, il primo di novembre, ricevuta la nomina a capitano, gli viene affidato
il comando di una compagnia, la 221ª del Val Varaita che in quel momento sta operando nelle trincee
di Col dei Bos, ma due giorni più tardi, in seguito agli eventi di Caporetto, anche la sua unità è
costretta a ripiegare.
La ritirata
Discesi a piedi a Tai di Cadore e poi per ferrovia e con autocarri, gli alpini del capitano Curti
si attestano in fine sulla riva destra del Piave. Tutti i ponti che lo attraversano vengono
distrutti, escluso quello di Vidor che viene tenuto aperto per permettere il completamento della
ritirata e l’evacuazione dei civili. Si rende comunque necessario trattenere il più a lungo
possibile il nemico al di là del Piave ed assieme ai battaglioni Val Pellice e Monte Granero, ed
ai Volontari alpini Feltre, il Val Varaita forma una testa di ponte per resistere alle ripetute
incursioni ed ai tentativi d’assalto. Il 10 novembre, durante un attacco in forze del nemico, il
ventiduenne capitano Curti, nonostante le gravi perdite subite dalla sua compagnia, si lancia per
tre volte con i suoi alpini al contrattacco sin quando, centrato da una raffica di proiettili,
cade colpito a morte. Sul luogo stesso dov’è caduto il nemico lo onora seppellendolo avvolto nel
suo mantello, ponendogli accanto la rivoltella ed il cappello alpino. Sulla fossa viene piantata
una croce dove qualcuno scrive: "Hier ruht ein tapferer Italiener !" (Qui giace un valoroso
italiano).
Nel settembre del 1922 la salma del capitano Curti sarà trasferita da Vidor a Vicoforte Mondovì,
nella tomba di famiglia eretta presso il cimitero di Fiamenga. Nel corso della cerimonia il
comandante del 2° Alpini, Celestino Bes, gli conferirà la medaglia d'oro al valore militare. [In
commutazione della MAVM di cui al D.L. del 22 dicembre 1918, la MOVM viene concessa con R.D.
dell’1 settembre 1920].
Stefanino Curti
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Nato il 12 novembre 1895 ad Imola (BO)
Morto il 10 novembre 1917 al ponte di Vidor (TV)
Decorazioni
Medaglia d'Oro
Preposto con la sua compagnia di alpini alla difesa di una testa di ponte di vitale interesse per le nostre truppe ripieganti, si votava con indomito ardimento e strenua, accanita lotta, riuscendo ad arrestare temporaneamente l’avversario soverchiante. Con un piccolo numero di generosi superstiti, contrattaccava per ben tre volte un nemico grandemente superiore di forze, e nell’impari lotta trovava morte gloriosa. Fulgido esempio di eroismo e di sentimento del dovere, spinto al consapevole sacrificio di se stesso.Vidor, 10 novembre 1917
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Prima della guerra
Il trentaseienne professor Francesco Curti, fin dagli inizi della sua carriera aveva accettato di buon grado i diversi incarichi che il Ministero dell’Istruzione gli proponeva. Come insegnante di lettere aveva quindi lasciato il suo Piemonte per trasferirsi, prima in Sicilia, poi in Romagna e successivamente in Liguria. Fra un trasferimento e l’altro, reggendo a quel tempo una cattedra presso il Ginnasio "Benvenuto Rambaldi" di Imola, sua moglie, Giuseppina Briolo, aveva messo al mondo Stefano, il loro quartogenito. Dopo tre figlie femmine, il maschietto era stato accolto in famiglia con vera gioia, specialmente da suo padre che già lo immaginava degno erede anche della sua professione. Così, terminati gli studi inferiori, Stefanino – Nino, come lo chiamavano in famiglia – era stato iscritto presso il Regio Istituto Ginnasiale e nel 1914, dopo l’ennesimo trasferimento del padre al Liceo "Andrea D'Oria" di Genova, aveva ottenuto la licenza a pieni voti.Come spesso succede, i figli non seguono alla lettera le aspirazioni dei padri e così, appena diplomato, alla carriera scolastica Stefanino preferisce quella militare. Il 5 novembre dello stesso anno ottiene di entrare come allievo ufficiale alla Scuola Militare di Modena e per consolare, almeno in parte il genitore, chiede di essere assegnato al corpo degli alpini, lo stesso nel quale suo padre aveva prestato il servizio militare. Col grado di sottotenente, il 30 maggio 1915 Stefanino viene quindi designato al Battaglione “Val d'Arroscia” che, una quindicina di giorni più tardi raggiunge in Carnia, zona di guerra al confine austriaco.
La Grande Guerra
Qui gli alpini sono impegnati nella costruzione delle imponenti opere di difesa che da Sella Nevea proseguono nel bosco del Camet con una strada a tornanti dotata di muri di sostegno e ponticelli, tutti realizzati a secco. Più in alto, verso il monte Poviz, si stanno realizzando caserme e ricoveri ed ancora oltre, da Punta Medon alla cresta del Golovec, si scavano scavate caverne e postazioni d’artiglieria. Da quelle parti, sulle creste del Cregnedul, Stefanino merita un encomio solenne da parte del comandante del settore perché: “[...] vigila con intelligente interessamento e con diligente costanza i lavori e i movimenti del nemico. Apprezzo tutto il valore delle informazioni precise e importanti, ch'ella suole dare settimanalmente a questo comando e apprezzo i lavori che fa eseguire su queste posizioni. Gliene faccio l'encomio più vivo, la ringrazio e mando copia di questa lettera al Comando di Valle, perché anche al Colonnello Cav. Savarani sia noto il servizio che Ella compie”.Durante il rigido inverno di quell’anno particolarmente nevoso il lavoro degli alpini si fa difficile, ma nonostante le micidiali valanghe non s’interrompe. Nei primi tre mesi del nuovo anno Stefanino viene inviato a Caserta per frequentare un corso per l’uso delle mitragliatrici ed al suo ritorno, col grado di tenente, segue il battaglione alla sua nuova destinazione sull’altipiano di Asiago. Anche qui, sul monte Lozze, gli alpini si danno alla costruzione di numerose opere di difesa per opporre un’adeguata resistenza all’offensiva che gli austriaci hanno chiamato “Strafexpedition”, la spedizione punitiva. Ai primi di luglio il battaglione viene spostato verso Cima delle Saette per procedere all’assalto del Monte Cucco, impresa che si rivela estremamente ardua per le difficoltà del terreno e per l’intrico della vegetazione. Durante quell’azione Stefanino si distingue nuovamente meritando una medaglia di bronzo perché: “Si offriva volontariamente di comandare una pattuglia incaricata di prendere contatto col nemico e tagliare i reticolati, e assolveva il suo compito con fermezza e coraggio. Sprezzante del pericolo, più volte attraversava una zona battuta da fucileria e mitragliatrici per dare importanti informazioni sulle difese avversarie, finché, ferito alla gamba destra, doveva abbandnare il posto”. Cucco di Pozzo, 7-8 luglio 1916.
Soccorso dai suoi uomini Serafino viene portato al posto di medicazione, ma la ferita non è leggera ed è quindi costretto a trascorrere un anno di degenza tra gli ospedali di Brescia e di Genova. Ristabilitosi, nel giugno del 1917 viene reinviato in zona di guerra presso il XII Gruppo Alpini in Val Costeana, ai piedi delle Dolomiti d’Ampezzo. Ancora convalescente, un po’ amareggiato per non essere stato assegnato fin da subito a qualche unità operativa, Stefanino si deve accontentare di un incarico defilato presso gli uffici del comando tra le sedi di Vervei e di Pocol dove ha il tempo di scrivere a casa. “Da queste parti non vi è che profumo di pini che crescono inverosimilmente sulla nuda roccia ed ombreggiano il fondo delle valli sino a metà delle montagne, poiché al di sopra dei boschi odorosi s’innalzano i picchi ignudi e sublimi che rinchiudono nelle loro insenature, nelle loro pieghe, nei loro valloni la bianca neve ed i scintillanti ghiacciai”. Finalmente, il primo di novembre, ricevuta la nomina a capitano, gli viene affidato il comando di una compagnia, la 221ª del Val Varaita che in quel momento sta operando nelle trincee di Col dei Bos, ma due giorni più tardi, in seguito agli eventi di Caporetto, anche la sua unità è costretta a ripiegare.
La ritirata
Discesi a piedi a Tai di Cadore e poi per ferrovia e con autocarri, gli alpini del capitano Curti si attestano in fine sulla riva destra del Piave. Tutti i ponti che lo attraversano vengono distrutti, escluso quello di Vidor che viene tenuto aperto per permettere il completamento della ritirata e l’evacuazione dei civili. Si rende comunque necessario trattenere il più a lungo possibile il nemico al di là del Piave ed assieme ai battaglioni Val Pellice e Monte Granero, ed ai Volontari alpini Feltre, il Val Varaita forma una testa di ponte per resistere alle ripetute incursioni ed ai tentativi d’assalto. Il 10 novembre, durante un attacco in forze del nemico, il ventiduenne capitano Curti, nonostante le gravi perdite subite dalla sua compagnia, si lancia per tre volte con i suoi alpini al contrattacco sin quando, centrato da una raffica di proiettili, cade colpito a morte. Sul luogo stesso dov’è caduto il nemico lo onora seppellendolo avvolto nel suo mantello, ponendogli accanto la rivoltella ed il cappello alpino. Sulla fossa viene piantata una croce dove qualcuno scrive: "Hier ruht ein tapferer Italiener !" (Qui giace un valoroso italiano).Nel settembre del 1922 la salma del capitano Curti sarà trasferita da Vidor a Vicoforte Mondovì, nella tomba di famiglia eretta presso il cimitero di Fiamenga. Nel corso della cerimonia il comandante del 2° Alpini, Celestino Bes, gli conferirà la medaglia d'oro al valore militare. [In commutazione della MAVM di cui al D.L. del 22 dicembre 1918, la MOVM viene concessa con R.D. dell’1 settembre 1920].
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