De Rocco Domenico
Cappellano Militare
7° Alpini, battaglione Monte Antelao
Nato il 31 gennaio 1889 a Forno di Canale (BL)
Morto di vecchiaia il 5 aprile 1958 a Rancio di Lecco
Decorazioni
Medaglia di Bronzo
Di continuo e prezioso aiuto nell'incitare nello spirito combattivo degli alpini del battaglione,
infaticabile ardito e sprezzante del pericolo sotto il tiro della fucileria ed artiglieria nemiche
prestava con slancio ed amore la sua pietosa opera ed era di valido aiuto ai medici, esponendosi
più volte fin sulla prima linea per ritirare feriti e morti.
Masarè Tre Dita, 11 luglio 1916
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Domenico De Rocco nasce a Forno di Canale, in provincia di Belluno, il 31 gennaio del 1889 da
Giovan-Battista e Angela Deola[1].
Ancora adolescente lascia la Val del Biois per entrare nel Seminario minore di Feltre dove
frequenta con profitto la scuola fino alla seconda liceale. Prosegue quindi gli studi presso il
Seminario dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di Roma fino al conseguimento della laurea in Teologia.
Nel 1909 entra a far parte del Pontificio Istituto delle Missioni Estere (PIME) ed il 25 luglio del
1914 viene ordinato sacerdote.
Nel frattempo, l'8 aprile del 1909, Domenico De Rocco viene iscritto alle liste di leva nel
distretto di Belluno ed il 6 agosto del 1910, chiamato alle armi per istruzione, si reca a Piacenza
presso il 25° reggimento di fanteria. Lo stesso giorno, per motivi di studio, è rinviato alla
successiva chiamata e ammesso al ritardo del servizio militare. Nel foglio matricolare viene
registrato come studente, capelli neri e lisci, occhi castani, colorito roseo, dentatura sana, alto
1 metro e 66 centimetri.
Per mobilitazione, il 1° giugno del 1915 è richiamato alle armi e due giorni più tardi si presenta
alla 9ª compagnia di Sanità. Il 14 ottobre passa quindi alla 20ª sezione della 10ª compagnia di
Sanità mobilitata in territorio dichiarato in stato di guerra, a San Pietro d'Isonzo, poco lontano
da Redipuglia.
Col grado di tenente, il 5 febbraio del 1916 viene trasferito al 7° Alpini come Cappellano militare
del neo costituito battaglione «Monte Antelao». Si presenta al comando di Belluno per il disbrigo
degli incartamenti burocratici e al magazzino, oltre ad alcuni capi di vestiario, gli vengono
consegnati due giri di cordone grigio verde e il fregio degli alpini coi quali guarnire il suo
cappello pastorale. Prosegue quindi per Mel dov'è acquartierato il battaglione che lì è impegnato
nell'addestramento delle reclute. Il 10 aprile, in piazza Umberto I[2], Don Domenico assiste al
giuramento della 150ª e della 151ª compagnia e due giorni più tardi parte anch'egli alla volta del
fronte dolomitico.
A Campo di Sotto, vicino a Cortina, l'«Antelao» completa i ranghi includendo la 96ª compagnia[3] ed
il 1° maggio, dopo un breve periodo di istruzione, entrato a far parte del V Gruppo Alpini alle
dipendenze del colonnello
Giuseppe Tarditi, raggiunge la Val Costeana.
Al canalone Falzarego gli alpini costruiscono una chiesetta in legno dove padre De Rocco può
celebrare la Messa; oltre a quella, viene realizzata anche una cappella smontabile, con l'altare
adornato da un'immagine della Madonna col Bambino, che gli alpini non mancano mai di sistemare fra
le tende nei loro accampamenti. Oltre all'assistenza delle anime, don Domenico si dedica al
sostegno e alla cura dei feriti e, troppo spesso, è chiamato alla più triste delle cerimonie:
l'estremo saluto ai morti in battaglia. Annota i loro nomi ed il luogo di sepoltura e non di rado,
s'incarica di scrivere il mesto annuncio alle famiglie.
Da buon montanaro non disdegna di indossare gli scarponi e quando serve, sa usare anche gli sci.
Accompagna fino in prima linea i suoi alpini in combattimento e così fa anche nella notte dell'8
luglio mentre, fra le guglie delle Tofane, echeggia la musica della fanfara della 96ª compagnia
magistralmente diretta da Bepi Sacchet, l'alpino di Castellavazzo che, con il suo estro, sa farsi
apprezzare perfino dagli austriaci. Le note escono squillanti dagli ottoni, anche se gli strumenti
sono ammaccati e perfino un po' ossidai, ma quella notte la musica non serve solo a risollevare lo
spirito degli uomini isolati lassù fra le rocce, fa da preludio all'attacco, e come ha escogitato
il capitano Rossi, serve a mascherare il movimento degli alpini
mentre si avvicinano, nel buio della notte, alle postazioni avversarie. Gli austriaci ci cascano e
sul Masarè, sul far del giorno, quelli dell'«Antelao» hanno la miglior sorte: conquistano la
Nemesis e sloggiano gli austriaci dalle Tre Dita. La lotta è stata violenta e i Kaiserjäger, prima
di cedere, si sono difesi fino all'ultimo ingaggiando una cruenta mischia corpo a corpo.
"... Sottotenente Canciani Sig. Roberto, 13ª sezione
mitragliatrici, morto per ferita di bomba a mano all'addome e di mitragliatrice al fianco. Caduto
alle Tre Dita la mattina del 9-7-1916, sepolto a Fontananegra.
Sottotenente
Burlot Sig. Giuseppe, comandante una sezione mitragliatrici del Batt. «Albergian»
aggregato all'«Antelao» per l'azione di Masarè, durante la quale morì la mattina del 9-7-1916,
precisamente davanti al Sasso Cubico, colpito da tre pallottole di mitragliatrice al petto ..."
La guerra continua sulle Dolomiti e Don De Rocco prosegue nella sua opera di sostegno morale e
materiale, scrivendo a casa per chi scrivere non sa, leggendo le lettere a quelli che non sanno
farlo da soli, celebrando la messa, perfino in prima linea, nella sua chiesetta mobile, oppure, se
serve, servendosi di una roccia come altare. Ha la passione della fotografia Don Domenico e
raccoglie immagini che forse, pensa, un giorno serviranno a dare una rinfrescata alla memoria[5].
Così annota nel suo taccuino don Domenico, e continua coi nomi di altri 24 alpini, tutti caduti
durante l'attacco. Altri 70 uomini sono rimasti feriti e il loro cappellano, assieme a medici e
infermieri, è accorso in loro aiuto mettendo a buon frutto la sua esperienza di sanitario. Fa il
suo dovere Don Domenico, come sacerdote e come soldato e forse, pensa, non era neppure il caso che
per questo gli venisse data una medaglia, ma infine l'accetta, anche a nome di tutti quelli che
lassù, fra le rocce, si son dati da fare. E' solo un "bronzino" infondo, e la motivazione rende
onore a lui e all'abito che porta[4].
Il 21 giugno del 1917 il battaglione riceve l'ordine di lasciare la Val Costeana: passato al XIII
Gruppo Alpini è stato destinato al fronte dell'Isonzo. Il 24 mattina Don Domenico si reca con gli
ufficiali ed un plotone di alpini al cimitero di Pocol per dare un ultimo saluto alle "penne mozze"
che sono passate agli ordini del General Cantore, caduto
anch'egli due anni prima tra le Tofane.
A piedi, per San Vito, Venas e Perarolo, in tre giorni il battaglione «Antelao» arriva a Longarone
da dove, in treno, l'8 luglio raggiunge Nimis. Tra istruzioni, sfilate e rassegne, gli alpini si
preparano a un'altra battaglia: l'XI del fronte isontino volta alla conquista dell'altipiano della
Bainsizza.
Il 20 agosto le compagnie attraversano l'Isonzo a Doblar. In cinque giorni di combattimento, in
luoghi che rimarranno indelebili nella memoria degli alpini come Mesnjak, Siroka Nijva e Testen,
Don Domenico è costretto ad annotare sul suo taccuino i nomi di altri, troppi giovani che non
potranno più rivedere la loro casa. Il battaglione sarà successivamente chiamato a combattere
ancora dalle parti di Podsabotino, ed a Salcano attraverserà di nuovo l'Isonzo per versare ancora
il proprio copioso tributo di sangue.
L'1 ottobre del 1917 le tre compagnie vengono spostate a un nuovo fronte e partendo da Peternel, in
ferrovia, raggiungono ad Ala le rive dell'Adige.
Don Domenico si è nel frattempo ammalato e due giorni più tardi viene ricoverato, ad Avio,
all'ospedale da campo n° 51. Da lì il 17 ottobre è trasferito all'ospedale principale di Verona e
il 19 ottobre al "Valduce" di Como, una casa di cura religiosa retta dalla Congregazione delle
Suore Infermiere dell'Addolorata. L'1 febbraio del 1918 gli viene concessa la licenza di
convalescenza ed il 13 aprile, ancora in forza al 7° Alpini, si presenta a Milano dove gli viene
concesso un altro periodo di riposo dal quale rientrerà solo a guerra finita. A Don Domenico De
Rocco è concessa la dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver servito la Patria con
fedeltà ed onore; ora è chiamato a servire con altrettanta fedeltà la "Patria Celeste".
Il 15 novembre del 1919 parte per la Cina e, dopo essere passato per Tiensin[6], raggiunge
Xing'an[7] e successivamente Han-Chung[8] nella regione dello Shaanxi. Nel 1931 è a Chenggu dove ha
modo di scrivere:
"La carestia, che da due anni fa strage nel Henan, nel Gansu e nella parte settentrionale dello
Shaanxi, in forma più benigna ha colpito anche l'area meridionale (Han-Chung). Donne vendute e
bambini gettati non si contano. Allo scorso agosto i bambini raccolti durante l'anno raggiungono i
1.539. Nel periodo più acuto i raccolti alla porta della Missione raggiungevano una ventina al
giorno ..."
Nel febbraio del 1934 la Terza Assemblea generale del PIME, svoltasi ad Hong Kong, elegge Monsignor
Balconi a superiore generale ed il 14 maggio Padre Domenico De Rocco è chiamato a sostituirlo in
veste di pro-vicario apostolico di Han-Chung. Nella regione i disordini e le tragedie continuano e
Padre De Rocco, il 17 febbraio 1935, riferisce al suo superiore:
"Le avevo scritto come a Guluba cominciarono i torbidi. Pochi giorni fa i briganti svaligiarono
il mercato di Tianmingsi e col bottino si ritirarono nelle loro tane. Il Seminario fu sciolto lo
stesso giorno e rimandati tutti gli alunni. Credemmo da principio che non si trattasse che di una
piccola banda isolata, non era invece che uno dei primi effetti dell'invasione comunista. L'ultimo
giorno dell'anno cinese (3 febbraio) un bel numero di comunisti camuffati da mendicanti e fuggitivi
penetrarono nella città di Ningqiang. A mezzanotte, mentre i soldati si divertivano e giocavano,
estrassero le armi e cominciarono a sparare. Così i rossi rimasero padroni del campo. Pochi giorni
prima, una compagnia della Prima Divisione nelle vicinanze di Yanzibian era venuta alle prese coi
comunisti ... un'intera divisione comandata da un generale russo... così l'esercito comunista,
avuta la via libera, si buttò verso Da'an e Mianxian ..."
Nonostante tutte le difficoltà, nel 1939, il personale della Missione conta 19 padri e 2 fratelli
italiani, 8 preti cinesi, 19 Suore Canossiane e 27 Suore-maestre locali con 51 aspiranti e 50
seminaristi. In città si contano 18.167 fedeli con 964 catecumeni. I luoghi di culto sono
costituiti da 36 chiese, 59 cappelle e 36 centri di preghiera. Nel settore educativo, operano 32
scuole elementari con 880 ragazzi e 716 ragazze, 4 case per l'infanzia con 860 bambini; 5
dispensari, 4 orfanotrofi, 2 ricoveri per vecchi e un piccolo lebbrosario.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale i missionari italiani sono sottoposti a
maltrattamenti, soprattutto dopo il riconoscimento da parte dell'Italia del governo pro-giapponese
di Nanchino (5 luglio 1941). Nel frattempo i giapponesi prendono il controllo della regione e la
vita della Missione può continuare, in quel periodo, con una certa tranquillità, ma nell'autunno
del 1943, dopo la firma dell'armistizio da parte dell'Italia, i giapponesi decidono di concentrare
tutto il personale italiano a Lueyang e a Zhuangyuan. Venti Padri e dieci Suore vengono ammassati
in una pagoda abbandonata:
"... considerati come spie, eravamo agli arresti con proibizione assoluta di lasciare la pagoda.
Avremmo dovuto morire di fame su quei monti isolati, ma il Mandarino, che aveva ricevuto l'ordine
di sorvegliare 'le trenta spie', ben presto si convinse che non di 'spie' si trattava ma di buona
gente. Venne allora a farci visita e i Padri venerandi, con perfetta padronanza della lingua e dei
costumi cinesi, lo accolsero con grande rispetto; s'inchinarono profondamente e lo salutarono, così
com'era in uso con i magnati del luogo. Pure fra tanta povertà (non avevamo né sedie né panche, ma
semplicemente tronchi d'albero e anche quelli non sufficienti!) abbondarono in cortesia e
affabilità. Ciò conquistò il cuore del Mandarino che divenne amico. Concesse alle suore il permesso
di uscire, attraversare il ponte sul grosso torrente e visitare gli ammalati e la gente del vicino
villaggio di Lueyang. La gente cominciò a frequentare la pagoda ricompensando con viveri i servizi
che le suore infermiere rendevano loro. In quei luoghi montagnosi, con abbondanza di greggi di
pecore e capre, la lana abbondava e le Madri sferruzzavano di lena a fare maglie, guanti e
calze ..."
Nel giugno del 1944 Monsignor Civelli e Padre De Rocco vengono liberati e possono tornare ad
Han-Chung; tutti gli altri li raggiungeranno nel febbraio del 1945 all'arrivo delle truppe
americane nella regione dello Shaanxi. Nel 1947 Padre De Rocco ritorna in Italia in veste di
delegato all'Assemblea generale dell'Istituto. Eletto rappresentante presso il Consiglio generale,
non farà più ritorno alla sua missione in Cina.
Assume quindi l'incarico di rettore del noviziato PIME al Sant'Ilario di Genova e nel 1950 del
Liceo della casa di Monza, carica che mantiene fino al 1957 quando, aumentando i suoi acciacchi,
è costretto a ritirarsi a riposo, prima al Rosetum di Besozzo e successivamente a Rancio di Lecco
dove, nel giorno di sabato Santo, il 5 aprile del 1958, "Sorella Morte" lo accoglie tra le sue
braccia.
Ai funerali, officiati da S.E. Monsignor Maggi è presente il Superiore Generale dei Somaschi e suo
fratello, Padre Saba De Rocco. Quattro alpini trasportano la bara alla Grugana di Calco dove padre
Domenico tutt'ora riposa.
"... figlio delle Dolomiti accoppiò nell'animo le virtù della sua terra: gentilezza e
delicatezza d'animo, prudenza congiunta a cavalleresco ardimento; il tutto nobilitato dalla
grazia ..."[9]
Note
[1] Suo fratello Saba del 1910, anch'egli sacerdote dei padri Somaschi, educatore e maestro dei Novizi, diverrà Generale dell'Ordine tra il 1954 e il 1963 e quindi Padre Conciliare al Concilio Ecumenico Vaticano II. Sarà quindi vice-provinciale del Centro America e Messico tra il '63 e il '66 per fare quindi ritorno in Italia come parroco della Madonna Grande di Treviso fino al 1974. Morirà a Treviso nel 1984.
[2] Oggi Piazza Papa Luciani a Mel (BL)
[3] La 96ª compagnia viene ceduta al battaglione Antelao dal Pieve di Cadore.
[4] Bollettino ufficiale anno 1917 dispensa 444 pagina 3894.
[5] Nel ricostruire l'epopea del battaglione "Antelao" Dario Fontanive si servirà di quelle foto per l'illustrazione del volume "Figli delle Rupi" (Ed. Grafica Sanvitese - Feltre, 2004).
[6] Dal 1901 a Tianjin (a sud di Pechino) l'Italia, così come altre potenze quali l'Impero Britannico, la Francia, il Giappone, la Russia, l'Impero Austro-Ungarico e il Belgio, ebbe una concessione territoriale nella città come riconoscimento del governo cinese per l'intervento contro i ribelli Boxer. La concessione venne utilizzata principalmente come sede diplomatica per l'Oriente.
[7] Quando, nel 1919, Domenico De Rocco giunge in missione Xing'an (l'attuale Ankang), Padre Ruggiero Perotti, il missionario in carica del distretto, è reduce dall'aver salvato 4.000 persone, tra le quali il prefetto della città, che si erano rifugiate nel complesso della chiesa a seguito dell'occupazione di una truppa di 2.000 briganti che avevano saccheggiato la città e derubato tutto il possibile.
[8] L'attuale Hagzhong.
[9] Tratto dal necrologio pubblicato su "Il Vincolo", rivista interna del PIME, n. 67 - maggio 1958.
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Nato il 31 gennaio 1889 a Forno di Canale (BL)
Morto di vecchiaia il 5 aprile 1958 a Rancio di Lecco
Decorazioni
Medaglia di Bronzo
Di continuo e prezioso aiuto nell'incitare nello spirito combattivo degli alpini del battaglione, infaticabile ardito e sprezzante del pericolo sotto il tiro della fucileria ed artiglieria nemiche prestava con slancio ed amore la sua pietosa opera ed era di valido aiuto ai medici, esponendosi più volte fin sulla prima linea per ritirare feriti e morti.Masarè Tre Dita, 11 luglio 1916
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Domenico De Rocco nasce a Forno di Canale, in provincia di Belluno, il 31 gennaio del 1889 da
Giovan-Battista e Angela Deola[1].
Ancora adolescente lascia la Val del Biois per entrare nel Seminario minore di Feltre dove
frequenta con profitto la scuola fino alla seconda liceale. Prosegue quindi gli studi presso il
Seminario dei Santi Apostoli Pietro e Paolo di Roma fino al conseguimento della laurea in Teologia.
Nel 1909 entra a far parte del Pontificio Istituto delle Missioni Estere (PIME) ed il 25 luglio del
1914 viene ordinato sacerdote.
Nel frattempo, l'8 aprile del 1909, Domenico De Rocco viene iscritto alle liste di leva nel
distretto di Belluno ed il 6 agosto del 1910, chiamato alle armi per istruzione, si reca a Piacenza
presso il 25° reggimento di fanteria. Lo stesso giorno, per motivi di studio, è rinviato alla
successiva chiamata e ammesso al ritardo del servizio militare. Nel foglio matricolare viene
registrato come studente, capelli neri e lisci, occhi castani, colorito roseo, dentatura sana, alto
1 metro e 66 centimetri.
Per mobilitazione, il 1° giugno del 1915 è richiamato alle armi e due giorni più tardi si presenta
alla 9ª compagnia di Sanità. Il 14 ottobre passa quindi alla 20ª sezione della 10ª compagnia di
Sanità mobilitata in territorio dichiarato in stato di guerra, a San Pietro d'Isonzo, poco lontano
da Redipuglia.
Col grado di tenente, il 5 febbraio del 1916 viene trasferito al 7° Alpini come Cappellano militare
del neo costituito battaglione «Monte Antelao». Si presenta al comando di Belluno per il disbrigo
degli incartamenti burocratici e al magazzino, oltre ad alcuni capi di vestiario, gli vengono
consegnati due giri di cordone grigio verde e il fregio degli alpini coi quali guarnire il suo
cappello pastorale. Prosegue quindi per Mel dov'è acquartierato il battaglione che lì è impegnato
nell'addestramento delle reclute. Il 10 aprile, in piazza Umberto I[2], Don Domenico assiste al
giuramento della 150ª e della 151ª compagnia e due giorni più tardi parte anch'egli alla volta del
fronte dolomitico.
A Campo di Sotto, vicino a Cortina, l'«Antelao» completa i ranghi includendo la 96ª compagnia[3] ed
il 1° maggio, dopo un breve periodo di istruzione, entrato a far parte del V Gruppo Alpini alle
dipendenze del colonnello
Giuseppe Tarditi, raggiunge la Val Costeana.
Al canalone Falzarego gli alpini costruiscono una chiesetta in legno dove padre De Rocco può
celebrare la Messa; oltre a quella, viene realizzata anche una cappella smontabile, con l'altare
adornato da un'immagine della Madonna col Bambino, che gli alpini non mancano mai di sistemare fra
le tende nei loro accampamenti. Oltre all'assistenza delle anime, don Domenico si dedica al
sostegno e alla cura dei feriti e, troppo spesso, è chiamato alla più triste delle cerimonie:
l'estremo saluto ai morti in battaglia. Annota i loro nomi ed il luogo di sepoltura e non di rado,
s'incarica di scrivere il mesto annuncio alle famiglie.
Da buon montanaro non disdegna di indossare gli scarponi e quando serve, sa usare anche gli sci.
Accompagna fino in prima linea i suoi alpini in combattimento e così fa anche nella notte dell'8
luglio mentre, fra le guglie delle Tofane, echeggia la musica della fanfara della 96ª compagnia
magistralmente diretta da Bepi Sacchet, l'alpino di Castellavazzo che, con il suo estro, sa farsi
apprezzare perfino dagli austriaci. Le note escono squillanti dagli ottoni, anche se gli strumenti
sono ammaccati e perfino un po' ossidai, ma quella notte la musica non serve solo a risollevare lo
spirito degli uomini isolati lassù fra le rocce, fa da preludio all'attacco, e come ha escogitato
il capitano Rossi, serve a mascherare il movimento degli alpini
mentre si avvicinano, nel buio della notte, alle postazioni avversarie. Gli austriaci ci cascano e
sul Masarè, sul far del giorno, quelli dell'«Antelao» hanno la miglior sorte: conquistano la
Nemesis e sloggiano gli austriaci dalle Tre Dita. La lotta è stata violenta e i Kaiserjäger, prima
di cedere, si sono difesi fino all'ultimo ingaggiando una cruenta mischia corpo a corpo.
"... Sottotenente Canciani Sig. Roberto, 13ª sezione
mitragliatrici, morto per ferita di bomba a mano all'addome e di mitragliatrice al fianco. Caduto
alle Tre Dita la mattina del 9-7-1916, sepolto a Fontananegra.
Sottotenente
Burlot Sig. Giuseppe, comandante una sezione mitragliatrici del Batt. «Albergian»
aggregato all'«Antelao» per l'azione di Masarè, durante la quale morì la mattina del 9-7-1916,
precisamente davanti al Sasso Cubico, colpito da tre pallottole di mitragliatrice al petto ..."
La guerra continua sulle Dolomiti e Don De Rocco prosegue nella sua opera di sostegno morale e
materiale, scrivendo a casa per chi scrivere non sa, leggendo le lettere a quelli che non sanno
farlo da soli, celebrando la messa, perfino in prima linea, nella sua chiesetta mobile, oppure, se
serve, servendosi di una roccia come altare. Ha la passione della fotografia Don Domenico e
raccoglie immagini che forse, pensa, un giorno serviranno a dare una rinfrescata alla memoria[5].
Così annota nel suo taccuino don Domenico, e continua coi nomi di altri 24 alpini, tutti caduti
durante l'attacco. Altri 70 uomini sono rimasti feriti e il loro cappellano, assieme a medici e
infermieri, è accorso in loro aiuto mettendo a buon frutto la sua esperienza di sanitario. Fa il
suo dovere Don Domenico, come sacerdote e come soldato e forse, pensa, non era neppure il caso che
per questo gli venisse data una medaglia, ma infine l'accetta, anche a nome di tutti quelli che
lassù, fra le rocce, si son dati da fare. E' solo un "bronzino" infondo, e la motivazione rende
onore a lui e all'abito che porta[4].
Il 21 giugno del 1917 il battaglione riceve l'ordine di lasciare la Val Costeana: passato al XIII
Gruppo Alpini è stato destinato al fronte dell'Isonzo. Il 24 mattina Don Domenico si reca con gli
ufficiali ed un plotone di alpini al cimitero di Pocol per dare un ultimo saluto alle "penne mozze"
che sono passate agli ordini del General Cantore, caduto
anch'egli due anni prima tra le Tofane.
A piedi, per San Vito, Venas e Perarolo, in tre giorni il battaglione «Antelao» arriva a Longarone
da dove, in treno, l'8 luglio raggiunge Nimis. Tra istruzioni, sfilate e rassegne, gli alpini si
preparano a un'altra battaglia: l'XI del fronte isontino volta alla conquista dell'altipiano della
Bainsizza.
Il 20 agosto le compagnie attraversano l'Isonzo a Doblar. In cinque giorni di combattimento, in
luoghi che rimarranno indelebili nella memoria degli alpini come Mesnjak, Siroka Nijva e Testen,
Don Domenico è costretto ad annotare sul suo taccuino i nomi di altri, troppi giovani che non
potranno più rivedere la loro casa. Il battaglione sarà successivamente chiamato a combattere
ancora dalle parti di Podsabotino, ed a Salcano attraverserà di nuovo l'Isonzo per versare ancora
il proprio copioso tributo di sangue.
L'1 ottobre del 1917 le tre compagnie vengono spostate a un nuovo fronte e partendo da Peternel, in
ferrovia, raggiungono ad Ala le rive dell'Adige.
Don Domenico si è nel frattempo ammalato e due giorni più tardi viene ricoverato, ad Avio,
all'ospedale da campo n° 51. Da lì il 17 ottobre è trasferito all'ospedale principale di Verona e
il 19 ottobre al "Valduce" di Como, una casa di cura religiosa retta dalla Congregazione delle
Suore Infermiere dell'Addolorata. L'1 febbraio del 1918 gli viene concessa la licenza di
convalescenza ed il 13 aprile, ancora in forza al 7° Alpini, si presenta a Milano dove gli viene
concesso un altro periodo di riposo dal quale rientrerà solo a guerra finita. A Don Domenico De
Rocco è concessa la dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver servito la Patria con
fedeltà ed onore; ora è chiamato a servire con altrettanta fedeltà la "Patria Celeste".
Il 15 novembre del 1919 parte per la Cina e, dopo essere passato per Tiensin[6], raggiunge
Xing'an[7] e successivamente Han-Chung[8] nella regione dello Shaanxi. Nel 1931 è a Chenggu dove ha
modo di scrivere:
"La carestia, che da due anni fa strage nel Henan, nel Gansu e nella parte settentrionale dello
Shaanxi, in forma più benigna ha colpito anche l'area meridionale (Han-Chung). Donne vendute e
bambini gettati non si contano. Allo scorso agosto i bambini raccolti durante l'anno raggiungono i
1.539. Nel periodo più acuto i raccolti alla porta della Missione raggiungevano una ventina al
giorno ..."
Nel febbraio del 1934 la Terza Assemblea generale del PIME, svoltasi ad Hong Kong, elegge Monsignor
Balconi a superiore generale ed il 14 maggio Padre Domenico De Rocco è chiamato a sostituirlo in
veste di pro-vicario apostolico di Han-Chung. Nella regione i disordini e le tragedie continuano e
Padre De Rocco, il 17 febbraio 1935, riferisce al suo superiore:
"Le avevo scritto come a Guluba cominciarono i torbidi. Pochi giorni fa i briganti svaligiarono
il mercato di Tianmingsi e col bottino si ritirarono nelle loro tane. Il Seminario fu sciolto lo
stesso giorno e rimandati tutti gli alunni. Credemmo da principio che non si trattasse che di una
piccola banda isolata, non era invece che uno dei primi effetti dell'invasione comunista. L'ultimo
giorno dell'anno cinese (3 febbraio) un bel numero di comunisti camuffati da mendicanti e fuggitivi
penetrarono nella città di Ningqiang. A mezzanotte, mentre i soldati si divertivano e giocavano,
estrassero le armi e cominciarono a sparare. Così i rossi rimasero padroni del campo. Pochi giorni
prima, una compagnia della Prima Divisione nelle vicinanze di Yanzibian era venuta alle prese coi
comunisti ... un'intera divisione comandata da un generale russo... così l'esercito comunista,
avuta la via libera, si buttò verso Da'an e Mianxian ..."
Nonostante tutte le difficoltà, nel 1939, il personale della Missione conta 19 padri e 2 fratelli
italiani, 8 preti cinesi, 19 Suore Canossiane e 27 Suore-maestre locali con 51 aspiranti e 50
seminaristi. In città si contano 18.167 fedeli con 964 catecumeni. I luoghi di culto sono
costituiti da 36 chiese, 59 cappelle e 36 centri di preghiera. Nel settore educativo, operano 32
scuole elementari con 880 ragazzi e 716 ragazze, 4 case per l'infanzia con 860 bambini; 5
dispensari, 4 orfanotrofi, 2 ricoveri per vecchi e un piccolo lebbrosario.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale i missionari italiani sono sottoposti a
maltrattamenti, soprattutto dopo il riconoscimento da parte dell'Italia del governo pro-giapponese
di Nanchino (5 luglio 1941). Nel frattempo i giapponesi prendono il controllo della regione e la
vita della Missione può continuare, in quel periodo, con una certa tranquillità, ma nell'autunno
del 1943, dopo la firma dell'armistizio da parte dell'Italia, i giapponesi decidono di concentrare
tutto il personale italiano a Lueyang e a Zhuangyuan. Venti Padri e dieci Suore vengono ammassati
in una pagoda abbandonata:
"... considerati come spie, eravamo agli arresti con proibizione assoluta di lasciare la pagoda.
Avremmo dovuto morire di fame su quei monti isolati, ma il Mandarino, che aveva ricevuto l'ordine
di sorvegliare 'le trenta spie', ben presto si convinse che non di 'spie' si trattava ma di buona
gente. Venne allora a farci visita e i Padri venerandi, con perfetta padronanza della lingua e dei
costumi cinesi, lo accolsero con grande rispetto; s'inchinarono profondamente e lo salutarono, così
com'era in uso con i magnati del luogo. Pure fra tanta povertà (non avevamo né sedie né panche, ma
semplicemente tronchi d'albero e anche quelli non sufficienti!) abbondarono in cortesia e
affabilità. Ciò conquistò il cuore del Mandarino che divenne amico. Concesse alle suore il permesso
di uscire, attraversare il ponte sul grosso torrente e visitare gli ammalati e la gente del vicino
villaggio di Lueyang. La gente cominciò a frequentare la pagoda ricompensando con viveri i servizi
che le suore infermiere rendevano loro. In quei luoghi montagnosi, con abbondanza di greggi di
pecore e capre, la lana abbondava e le Madri sferruzzavano di lena a fare maglie, guanti e
calze ..."
Nel giugno del 1944 Monsignor Civelli e Padre De Rocco vengono liberati e possono tornare ad
Han-Chung; tutti gli altri li raggiungeranno nel febbraio del 1945 all'arrivo delle truppe
americane nella regione dello Shaanxi. Nel 1947 Padre De Rocco ritorna in Italia in veste di
delegato all'Assemblea generale dell'Istituto. Eletto rappresentante presso il Consiglio generale,
non farà più ritorno alla sua missione in Cina.
Assume quindi l'incarico di rettore del noviziato PIME al Sant'Ilario di Genova e nel 1950 del
Liceo della casa di Monza, carica che mantiene fino al 1957 quando, aumentando i suoi acciacchi,
è costretto a ritirarsi a riposo, prima al Rosetum di Besozzo e successivamente a Rancio di Lecco
dove, nel giorno di sabato Santo, il 5 aprile del 1958, "Sorella Morte" lo accoglie tra le sue
braccia.
Ai funerali, officiati da S.E. Monsignor Maggi è presente il Superiore Generale dei Somaschi e suo
fratello, Padre Saba De Rocco. Quattro alpini trasportano la bara alla Grugana di Calco dove padre
Domenico tutt'ora riposa.
"... figlio delle Dolomiti accoppiò nell'animo le virtù della sua terra: gentilezza e
delicatezza d'animo, prudenza congiunta a cavalleresco ardimento; il tutto nobilitato dalla
grazia ..."[9]
Note
[1] Suo fratello Saba del 1910, anch'egli sacerdote dei padri Somaschi, educatore e maestro dei Novizi, diverrà Generale dell'Ordine tra il 1954 e il 1963 e quindi Padre Conciliare al Concilio Ecumenico Vaticano II. Sarà quindi vice-provinciale del Centro America e Messico tra il '63 e il '66 per fare quindi ritorno in Italia come parroco della Madonna Grande di Treviso fino al 1974. Morirà a Treviso nel 1984.[2] Oggi Piazza Papa Luciani a Mel (BL)
[3] La 96ª compagnia viene ceduta al battaglione Antelao dal Pieve di Cadore.
[4] Bollettino ufficiale anno 1917 dispensa 444 pagina 3894.
[5] Nel ricostruire l'epopea del battaglione "Antelao" Dario Fontanive si servirà di quelle foto per l'illustrazione del volume "Figli delle Rupi" (Ed. Grafica Sanvitese - Feltre, 2004).
[6] Dal 1901 a Tianjin (a sud di Pechino) l'Italia, così come altre potenze quali l'Impero Britannico, la Francia, il Giappone, la Russia, l'Impero Austro-Ungarico e il Belgio, ebbe una concessione territoriale nella città come riconoscimento del governo cinese per l'intervento contro i ribelli Boxer. La concessione venne utilizzata principalmente come sede diplomatica per l'Oriente.
[7] Quando, nel 1919, Domenico De Rocco giunge in missione Xing'an (l'attuale Ankang), Padre Ruggiero Perotti, il missionario in carica del distretto, è reduce dall'aver salvato 4.000 persone, tra le quali il prefetto della città, che si erano rifugiate nel complesso della chiesa a seguito dell'occupazione di una truppa di 2.000 briganti che avevano saccheggiato la città e derubato tutto il possibile.
[8] L'attuale Hagzhong.
[9] Tratto dal necrologio pubblicato su "Il Vincolo", rivista interna del PIME, n. 67 - maggio 1958.