De Zardo Raffaele
Soldato
7° Alpini, 96ª cp. battaglione Pieve di Cadore
Nato nel 1895 a Calalzo (BL)
Morto nel 1963
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Prima della guerra
A vent’anni Raffaele De Zardo è già un abile artigiano che affianca suo padre al lavoro,
specialmente quando ci sono da costruire finestre, porte e arredi, lavorando il legno come ha ben
imparato a fare. È fiero del suo mestiere, ed è altrettanto orgoglioso della divisa da alpino che
gli fanno indossare il 22 gennaio del 1915 allorché lo chiamato alle armi inquadrandolo nella 96ª
compagnia del battaglione Pieve di Cadore. A Belluno trascorre qualche tempo alla caserma di Mussoi
per l’istruzione ed a Cavarzano si addestra all’uso delle armi. Sulle pendici del Monte Serva o
lungo la valle dell’Ardo, inerpicandosi poi verso il massiccio dolomitico della Schiara, si
addestra con gli alpini del suo reparto alle lunghe marce ed alle arrampicate in roccia, proseguono
la quindi la preparazione, in primavera, ad Auronzo.
Usufruendo di un permesso speciale, Raffaele si reca a Calalzo per qualche giorno per salutare, in
primo luogo sua madre ma anche sua sorella Amelia alla quale, lui, è particolarmente affezionato.
Ad Auronzo gli alpini del Cadore si spingono con lunghe scarpinate fin sù quasi al confine con
l’Austria, perché ormai corre voce che anche il Regno d’Italia potrebbe da lì a poco unirsi alla
guerra contro l’Impero Austro-Ungarico. Ai primi di aprile Raffaele raggiunge Misurina dove la sua
compagnia viene impiegata per scavare trincee e trasportare ogni sorta di materiale sul Monte Piana
e in Val Popena.
La Grande Guerra
Quelli che si sentono verso le nove di mattina del 24 maggio sono i primi colpi di cannone sparati
dagli austriaci: l’annuncio della guerra. “Si credeva che fossero le mine per fare la strada”
scrive Raffaele nel suo diario “ma poco dopo si sentì che la 67ª Compagnia aveva avuto due
morti, senza sapere se fosse dichiarata la guerra perché noi non si aveva ordine di sparare.”
“In fondo la Val Rinbianco”, il 2 giugno, Raffaele trascorre la prima notte di sentinella e
la settimana successiva, a Forcella Passaporto, viene sorpreso dal freddo e da una nevicata
tardiva. Dai piani di Lavaredo la sua compagnia si sposta poi al Monte Piana dove, per il 15
luglio, è previsto l’assalto alle trincee austriache. “In quel giorno si incominciò ad avanzare,
ma siccome il bombardamento non aveva fatto molto effetto dovemmo ritirarsi”, commenta
Raffaele. “In quel mentre che si avanzava i shrapnels e granate cadevano da tutte le parti. Uno
della mia squadra è rimasto ucciso sul colpo da una granata al petto e uno ferito. Io ero un metro
distante e non ho sentito. Era tutto un colpo dietro l’altro”. L’attacco viene ripetuto due
giorni più tardi con gli stessi risultati, anche per colpa dell’mprecisione del cannoneggiamento
amico: “Abbiamo dovuto ritirarsi per non restar ammazzati dai nostri pezzi d’artiglieria.
Restarono morti 3 della Compagnia dai nostri”. Gli alpini del Cadore si uniscono quindi ai
fanti della Brigata Marche ed il 20 luglio l’assalto è
replicato. Viene occupata la prima linea di trincee ed una trentina di austriaci sono catturati,
il resto arretra. I due opposti schieramenti sono a pochi metri gli uni dagli altri e gli austriaci
sono in procinto di arrendersi buttando le armi. Gli alpini, convinti di avere la situazione in
pugno, escono dai ripari, ma dalle trincee avversarie le mitragliatrici e le artiglierie aprono
inaspettatamente il fuoco facendo strage tra gli attaccanti. Anche Raffaele, con quello che rimane
della sua compagnia, è costretto a retrocedere: “Passando per forcella Alta dove si aveva le
tende, abbiamo ricevuto l’ordine di portar via tutto quello che si poteva per non lasciar nulla in
mano al nemico. Io presi una cassa sulle spalle e m’incamminavo verso il posto dove si aveva i
zaini. Fu quasi a metà strada che uno shrapnels, scoppiato pochi metri sopra di me, mi colpì con
una pallottola al braccio sinistro. Fortunatamente avevo la cassa sulle spalle. Del resto avrei
preso qualche altra ferita perché andarono diverse schegge a battere sulla cassa. Erano le ore
8,30”. Dal posto di medicazione dove si è recato per suo conto, Raffaele viene trasferito prima
a Misurina, quindi ad Auronzo dove gli estraggono la palletta dal braccio, ed in fine, dopo un
lungo viaggio in treno, è ricoverato all’ospedale di Varallo Sesia, in Piemonte, per un periodo di
cure intensive.
Verso la fine di ottobre De Zardo rientra quindi nei ranghi della sua compagnia che, nel frattempo,
è stata decimata in battaglia e colpita, in aggiunta, da alcuni episodi di tifo. Subito
reimpiegato, scrive nel suo diario: “il 6 [novembre] da Longere io e il mio plotone siamo andati
al Paterno di guardia; a me tocca alla forcella Camoscio”. Nei giorni seguenti è di corvée per
trasportare materiale tra la forcella Lavaredo e la torre di Toblin ed ai primi di dicembre è messo
a disposizione del Comando di zona per effettuare servizi di staffetta con gli sci.
Ai primi di gennaio del 1916, dopo una breve licenza, raggiunge di nuovo il suo reparto ad Auronzo
dove rimane, in posizione arretrata, fino alla metà di aprile quando la 96ª compagnia si unisce
alla 150ª ed alla 151ª per formare il nuovo battaglione
Monte Antelao. Nel mese di maggio viene impiegato tra la
forcella di Fontana Negra e la Tofana I partecipando, il 9 luglio, agli assalti al Masaré. Il
giorno 19 Raffaele scrive nel suo diario: “Andati sul Castelletto, forte posizione nemica che
fu presa dai nostri il 13 luglio dopo averlo fatto saltare da una grandiosa mina di 32 tonnellate
di gelatina” e, qualche giorno più tardi commenta, con molta sobrietà, il sanguinoso tentativo
degli alpini di avanzare lungo la Val Travenanzes: “Il 29 di sera tutto il battaglione Antelao
ed il Belluno siamo avanzati dal Castelletto fino in Valle Travenanzes. Il 30 – 31 consegnata la
posizione alle truppe che erano di rincalzo e la 96ª tornò alle baracche del Castelletto”.
Dalla metà di settembre fino ai primi di novembre Raffaele, coi suoi compagni d’arme, lavora alla
strada che conduce alla forcella Bois fin quando le abbondanti nevicate ed il distacco di
pericolose valanghe consentono di proseguire il lavoro solo in galleria.
L’anno 1917 vede De Zardo impegnato in Val Costeana fin quando, il 7 luglio, da Longarone, tutto
il battaglione Antelao viene trasferito al fronte dell’Isonzo. Il fiume viene varcato il giorno
20 impegnando gli alpini, reduci dalle Dolomiti, negli assalti all’altipiano Baisizza.
Successivamente è sull’altipiano carsico e sul San Gabriele per spostarsi poi, ai primi di ottobre
su un altro fronte, in Val Lagarina, a sud di Trento. Qui rimane fino al 6 marzo del 1918 quando
ottiene una licenza che trascorre in Liguria, finita la quale si ricongiunge col battaglione al
Monte Altissimo. Dopo un lungo periodo di lavori per il rafforzamento della linea affacciata sul
basso Trentino, il 24 ottobre la 96ª compagnia viene trasferita sul Monte Grappa dove, il 26
ottobre, dalle parti del Col dell’Orso, Raffaele viene ferito una seconda volta. Colpito alla gamba
sinistra, viene portato all’ospedale di Lucca dove rimane fino al gennaio del 1919, a guerra già
finita, facendo in fine ritorno al paese ed al suo lavoro, lasciando ai nipoti le sue testimonianze
di ragazzo che, come molti altri, ha sacrificato la propria gioventù nella speranza di un futuro
migliore.
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Nato nel 1895 a Calalzo (BL)
Morto nel 1963
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Prima della guerra
A vent’anni Raffaele De Zardo è già un abile artigiano che affianca suo padre al lavoro, specialmente quando ci sono da costruire finestre, porte e arredi, lavorando il legno come ha ben imparato a fare. È fiero del suo mestiere, ed è altrettanto orgoglioso della divisa da alpino che gli fanno indossare il 22 gennaio del 1915 allorché lo chiamato alle armi inquadrandolo nella 96ª compagnia del battaglione Pieve di Cadore. A Belluno trascorre qualche tempo alla caserma di Mussoi per l’istruzione ed a Cavarzano si addestra all’uso delle armi. Sulle pendici del Monte Serva o lungo la valle dell’Ardo, inerpicandosi poi verso il massiccio dolomitico della Schiara, si addestra con gli alpini del suo reparto alle lunghe marce ed alle arrampicate in roccia, proseguono la quindi la preparazione, in primavera, ad Auronzo.Usufruendo di un permesso speciale, Raffaele si reca a Calalzo per qualche giorno per salutare, in primo luogo sua madre ma anche sua sorella Amelia alla quale, lui, è particolarmente affezionato. Ad Auronzo gli alpini del Cadore si spingono con lunghe scarpinate fin sù quasi al confine con l’Austria, perché ormai corre voce che anche il Regno d’Italia potrebbe da lì a poco unirsi alla guerra contro l’Impero Austro-Ungarico. Ai primi di aprile Raffaele raggiunge Misurina dove la sua compagnia viene impiegata per scavare trincee e trasportare ogni sorta di materiale sul Monte Piana e in Val Popena.
La Grande Guerra
Quelli che si sentono verso le nove di mattina del 24 maggio sono i primi colpi di cannone sparati dagli austriaci: l’annuncio della guerra. “Si credeva che fossero le mine per fare la strada” scrive Raffaele nel suo diario “ma poco dopo si sentì che la 67ª Compagnia aveva avuto due morti, senza sapere se fosse dichiarata la guerra perché noi non si aveva ordine di sparare.” “In fondo la Val Rinbianco”, il 2 giugno, Raffaele trascorre la prima notte di sentinella e la settimana successiva, a Forcella Passaporto, viene sorpreso dal freddo e da una nevicata tardiva. Dai piani di Lavaredo la sua compagnia si sposta poi al Monte Piana dove, per il 15 luglio, è previsto l’assalto alle trincee austriache. “In quel giorno si incominciò ad avanzare, ma siccome il bombardamento non aveva fatto molto effetto dovemmo ritirarsi”, commenta Raffaele. “In quel mentre che si avanzava i shrapnels e granate cadevano da tutte le parti. Uno della mia squadra è rimasto ucciso sul colpo da una granata al petto e uno ferito. Io ero un metro distante e non ho sentito. Era tutto un colpo dietro l’altro”. L’attacco viene ripetuto due giorni più tardi con gli stessi risultati, anche per colpa dell’mprecisione del cannoneggiamento amico: “Abbiamo dovuto ritirarsi per non restar ammazzati dai nostri pezzi d’artiglieria. Restarono morti 3 della Compagnia dai nostri”. Gli alpini del Cadore si uniscono quindi ai fanti della Brigata Marche ed il 20 luglio l’assalto è replicato. Viene occupata la prima linea di trincee ed una trentina di austriaci sono catturati, il resto arretra. I due opposti schieramenti sono a pochi metri gli uni dagli altri e gli austriaci sono in procinto di arrendersi buttando le armi. Gli alpini, convinti di avere la situazione in pugno, escono dai ripari, ma dalle trincee avversarie le mitragliatrici e le artiglierie aprono inaspettatamente il fuoco facendo strage tra gli attaccanti. Anche Raffaele, con quello che rimane della sua compagnia, è costretto a retrocedere: “Passando per forcella Alta dove si aveva le tende, abbiamo ricevuto l’ordine di portar via tutto quello che si poteva per non lasciar nulla in mano al nemico. Io presi una cassa sulle spalle e m’incamminavo verso il posto dove si aveva i zaini. Fu quasi a metà strada che uno shrapnels, scoppiato pochi metri sopra di me, mi colpì con una pallottola al braccio sinistro. Fortunatamente avevo la cassa sulle spalle. Del resto avrei preso qualche altra ferita perché andarono diverse schegge a battere sulla cassa. Erano le ore 8,30”. Dal posto di medicazione dove si è recato per suo conto, Raffaele viene trasferito prima a Misurina, quindi ad Auronzo dove gli estraggono la palletta dal braccio, ed in fine, dopo un lungo viaggio in treno, è ricoverato all’ospedale di Varallo Sesia, in Piemonte, per un periodo di cure intensive.Verso la fine di ottobre De Zardo rientra quindi nei ranghi della sua compagnia che, nel frattempo, è stata decimata in battaglia e colpita, in aggiunta, da alcuni episodi di tifo. Subito reimpiegato, scrive nel suo diario: “il 6 [novembre] da Longere io e il mio plotone siamo andati al Paterno di guardia; a me tocca alla forcella Camoscio”. Nei giorni seguenti è di corvée per trasportare materiale tra la forcella Lavaredo e la torre di Toblin ed ai primi di dicembre è messo a disposizione del Comando di zona per effettuare servizi di staffetta con gli sci.
Ai primi di gennaio del 1916, dopo una breve licenza, raggiunge di nuovo il suo reparto ad Auronzo dove rimane, in posizione arretrata, fino alla metà di aprile quando la 96ª compagnia si unisce alla 150ª ed alla 151ª per formare il nuovo battaglione Monte Antelao. Nel mese di maggio viene impiegato tra la forcella di Fontana Negra e la Tofana I partecipando, il 9 luglio, agli assalti al Masaré. Il giorno 19 Raffaele scrive nel suo diario: “Andati sul Castelletto, forte posizione nemica che fu presa dai nostri il 13 luglio dopo averlo fatto saltare da una grandiosa mina di 32 tonnellate di gelatina” e, qualche giorno più tardi commenta, con molta sobrietà, il sanguinoso tentativo degli alpini di avanzare lungo la Val Travenanzes: “Il 29 di sera tutto il battaglione Antelao ed il Belluno siamo avanzati dal Castelletto fino in Valle Travenanzes. Il 30 – 31 consegnata la posizione alle truppe che erano di rincalzo e la 96ª tornò alle baracche del Castelletto”.
Dalla metà di settembre fino ai primi di novembre Raffaele, coi suoi compagni d’arme, lavora alla strada che conduce alla forcella Bois fin quando le abbondanti nevicate ed il distacco di pericolose valanghe consentono di proseguire il lavoro solo in galleria.
L’anno 1917 vede De Zardo impegnato in Val Costeana fin quando, il 7 luglio, da Longarone, tutto il battaglione Antelao viene trasferito al fronte dell’Isonzo. Il fiume viene varcato il giorno 20 impegnando gli alpini, reduci dalle Dolomiti, negli assalti all’altipiano Baisizza. Successivamente è sull’altipiano carsico e sul San Gabriele per spostarsi poi, ai primi di ottobre su un altro fronte, in Val Lagarina, a sud di Trento. Qui rimane fino al 6 marzo del 1918 quando ottiene una licenza che trascorre in Liguria, finita la quale si ricongiunge col battaglione al Monte Altissimo. Dopo un lungo periodo di lavori per il rafforzamento della linea affacciata sul basso Trentino, il 24 ottobre la 96ª compagnia viene trasferita sul Monte Grappa dove, il 26 ottobre, dalle parti del Col dell’Orso, Raffaele viene ferito una seconda volta. Colpito alla gamba sinistra, viene portato all’ospedale di Lucca dove rimane fino al gennaio del 1919, a guerra già finita, facendo in fine ritorno al paese ed al suo lavoro, lasciando ai nipoti le sue testimonianze di ragazzo che, come molti altri, ha sacrificato la propria gioventù nella speranza di un futuro migliore.
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