Nazione Forges Davanzati Roberto

Grado Sottotenente di complemento

Mostrina  13° Artiglieria da Campagna

Ritratto

Nato il 23 febbraio 1880 a Napoli

Morto l'1 giugno 1936 a Roma

Decorazioni

Decorazione Medaglia di Bronzo

Rimasti uccisi tutti gli inservienti di un cannone colpito in pieno dall'artiglieria avversaria di medio calibro, sotto le raffiche intense del fuoco nemico che tutto sconvolgeva, con evidente sprezzo del pericolo si portava spontaneamente presso il pezzo tentando, con il concorso di taluni artiglieri, di liberarlo dai rottami causati dallo scoppio e di rimetterlo in immediata efficacia.
Val Popena Bassa, 21 ottobre 1915

Note biografiche (Archivio Danilo Morell e treccani.it)

Prima della guerra

Roberto nacque a Napoli il 23 febbraio 1880 da Domenico, la cui famiglia apparteneva da secoli al patriziato pugliese, e da Virginia Folinea. Ultimo di otto figli, di cui solo quattro viventi al momento della sua nascita. Frequentò a Napoli il liceo classico "Antonio Genovesi" e dopo aver conseguito la licenza liceale si iscrisse alla facoltà  di lettere dell'ateneo napoletano, dove si laureò nel 1901. Nel corso degli studi universitari maturò in lui una spiccata predilezione per la storia antica, l'archeologia e per la storia dell'arte; frequentò anche, per circa un biennio (1898-1899), l'Istituto di belle arti di Napoli.
In seguito si dedicò all'attività  artistica sporadicamente ma senza mai perdere il gusto del disegno e della pittura a olio. Negli anni universitari si dedicò con particolare cura allo studio dei classici greci e latini e contemporaneamente cominciò ad accostarsi ai classici del pensiero politico ed economico, sotto la spinta di quel vasto movimento di idee e di iniziative che facevano capo al Partito socialista italiano, la cui azione andava assumendo in quegli anni una spiccata fisionomia sindacalista, antiparlamentare e antiriformista.
L'11 settembre 1902 venne assunto con la qualifica di operaio presso il museo di Napoli e avrebbe conservato tale occupazione per poco meno di due anni. Il 3 agosto 1903 il settimanale napoletano d'ispirazione socialista "La Propaganda" annunciava l'ingresso di Roberto nella redazione, da cui, però, il 17 aprile 1904, per "ragioni personali", diede le dimissioni, pur continuando a collaborare con il giornale dall'esterno. Verso la fine dello stesso anno si trasferì con la famiglia a Firenze in seguito alla nomina del padre alla carica di direttore della locale sede del Banco di Napoli. Nella città  toscana il 28 dicembre 1904 iniziò il servizio militare nei ranghi del 19° Reggimento di Artiglieria da Campagna. Nel 1906 ebbe a Firenze i primi contatti con E. Corradini, che tanta influenza avrebbe esercitato sull'evoluzione del suo orientamento politico dalle posizioni sindacaliste e antiriformiste verso il sindacalismo nazionale. In occasione del IX Congresso del Partito socialista, che si tenne a Roma nell'agosto del 1906, Roberto fece parte del Comitato socialista sindacalista e ne sottoscrisse il manifesto che suonava di decisa opposizione alla linea ufficiale del partito. Dopo il congresso di Roma la sua polemica giornalistica contro la prassi politico-parlamentare dei socialisti, che sempre più gli appariva caratterizzata da tatticismi e atteggiamenti rinunciatari, si accentuò in linea con gli sviluppi assunti dalle correnti intransigenti e sindacalrivoluzionarie all'interno del partito socialista dal congresso di Imola in poi. La posizione critica di Roberto, indirizzatasi non solo verso la dirigenza riformista del Partito socialista, ma anche verso le correnti sindacalrivoluzionarie che si andavano affermando al suo interno, ne facilitò il progressivo spostamento verso i motivi culturali e ideologici del nascente nazionalismo.
Dopo un breve periodo di collaborazione al Corriere della sera in qualità  di corrispondente da Cettigne (allora capitale del Montenegro), nel novembre 1908 Roberto venne assunto nella redazione milanese del giornale ed il 7 giugno 1909 fu inviato a Roma in qualità  di redattore parlamentare e la circostanza favorirà più intensi e stabili contatti con il gruppo riunito intorno al Corradini, di cui presto divenne uno degli animatori e dei teorici più in vista. Del nucleo fondatore dell'Associazione Nazionalista Italiana (ANI), che avrebbe visto ufficialmente la luce pochi mesi più tardi, facevano parte, tra gli altri, M. Maraviglia, L. Federzoni, F. Coppola, P.L. Occhini, A. Rocco, G. Castellini, R. Fauro, A. Rosari, I. Minunni. Nel corso delle loro riunioni presso palazzo Sciarra, sede del Giornale d'Italia e della redazione romana del Corriere della Sera, e nel caffè Aragno si andavano precisando l'impianto ideologico e il programma politico del vero e proprio movimento nazionalista nonché il progetto di una rivista che della nuova formazione politica fosse coerente e combattiva espressione.
Nel biennio 1909-1910 insegnò lettere italiane nelle prime due classi di un istituto commerciale di Roma, ma i crescenti impegni politici e giornalistici lo indussero a rinunciare all'incarico. Il 20 giugno 1910 si unì in matrimonio con Virginia Cortese. Nei mesi che precedettero il Congresso di Firenze (3-5 dicembre 1910), nel corso del quale si sarebbe ufficialmente costituita l'ANI, il dibattito sul programma e sugli obiettivi politici del movimento investì con toni fortemente polemici anche il tema dei rapporti con le altre formazioni politiche. In merito alle aperture dimostrate dal Corradini e da Viana verso un'intesa tra sindacalisti rivoluzionari e nazionalisti, Roberto, in polemica con U. Ojetti, sostenne la logica di tale convergenza che avrebbe dimostrato come il nazionalismo non fosse un semplice stato d'animo patriotticamente orientato ma desiderio di concreta affermazione della nazione, concepita come "l'unità  più salda per accogliere in una comunione di interessi e attività  famiglie umane" (Corriere della sera, 22 novembre 1910). A distanza di pochi mesi, il 1° marzo 1911, usciva il primo numero dell'Idea Nazionale, il settimanale che sarebbe diventato presto punto di aggregazione di un gruppo ideologicamente omogeneo, sebbene composto da elementi di diversa provenienza e formazione culturale e politica, animato dall'impegno di dare al nazionalismo un preciso programma politico. Roberto entrò a far parte del comitato di redazione dell'Idea Nazionale insieme con Corradini, Coppola, Federzoni e Maraviglia e cofirmò l'articolo di presentazione del primo numero del settimanale. La sua collaborazione al periodico, divenuto quotidiano dal 2 ottobre 1914, sarebbe durata ininterrottamente fino all'ultimo numero della testata, uscito il 28 dicembre 1925. Nella sua attività  giornalistica sulle colonne dell'Idea Nazionale Roberto dimostrò un interesse e una competenza relativamente più spiccati in materia di politica estera e di espansione coloniale ovvero su temi che rivestivano un'assoluta centralità  nell'elaborazione teorica e negli indirizzi programmatici del nazionalismo italiano.

In particolare in occasione della guerra libica, come altri nazionalisti, non si limitò a esaltare il mito nazionalista della guerra imperialista condotta dalla nazione proletaria, ma collegò l'impresa coloniale alla necessità  ineludibile di affrontare in una prospettiva "nazionale" il problema del Mezzogiorno e il fenomeno dell'emigrazione. Durante la guerra di Libia tenne per qualche mese (20 ottobre 1911-10 febbraio 1912) un diario su cui annotò gli sviluppi del conflitto, le sue ripercussioni nei rapporti tra l'Italia e le altre potenze, i rapporti avuti in quella fase col Ministro degli Esteri A. di San Giuliano, con il più fedele collaboratore di questo in occasione dell'impresa libica, S. Contarini, e con l'ambasciatore russo in Italia. In alcuni articoli del periodo 1912-1913, in coincidenza con le crisi balcaniche, sostenne la necessità di potenziare l'esercito e la flotta e di destinare maggiori quote del bilancio statale agli armamenti. Intervenne ripetutamente anche su un altro tema caro ai nazionalisti, l'irredentismo, sostenendo, tra l'altro, l'italianità  della Corsica e di Malta. In politica interna all'antigiolittismo Roberto affiancò un costante impegno antisocialista e antimassonico. In occasione del congresso di Roma dell'ANI (20-22 dicembre 1911), che era stato preceduto da un vivace dibattito sulla trasformazione dell'Associazione in vero e proprio partito politico e sulla posizione che i nazionalisti avrebbero dovuto assumere nei confronti dei partiti democratici e dei cattolici, la polemica tra nazionalisti democratici e nazionalisti conservatori esplose con asprezza. In tale occasione Roberto aderirà all'ordine del giorno del gruppo conservatore, presentato da Corradini e sottoscritto dall'intero comitato di redazione dell'Idea Nazionale, che riaffermava la più completa chiusura nei confronti dei partiti democratici, ritenuti antinazionali per definizione, mostrando invece caute aperture verso "il partito cattolico".

La Grande Guerra

Allo scoppio del conflitto mondiale, in linea con le iniziali tendenze filotripliciste del nazionalismo, nel corso di un'assemblea del gruppo nazionalista romano (26 luglio 1914), sostenne la necessità che l'Italia partecipasse comunque alla guerra, vista come evento catalizzatore delle energie nazionali e occasione per riaffermare gli interessi "storici e politici" del paese. Nel vivo della campagna che precedette l'intervento, quando il nazionalismo si era ormai orientato verso l'entrata in guerra al fianco della Francia e dell'Inghilterra, purché si ottenessero in cambio precise garanzie sulla politica mediterranea dell'Italia, motivò tale scelta con il dovere nazionale di riscattare le terre irredente per portare finalmente a compimento il processo risorgimentale. Il 2 ottobre 1914 L'Idea Nazionale si trasformava da settimanale in quotidiano e a Roberto veniva affidato l'incarico di direttore, che avrebbe mantenuto fino al giorno del richiamo alle armi. Dopo aver svolto il servizio di prima nomina nell'esercito presso il 19° Reggimento di Artiglieria, il 28 febbraio 1915 diveniva sottotenente di complemento. Il 20 maggio partì per la zona di guerra con il 13° Reggimento Artiglieria da Campagna, nel gruppo di batterie comandato dal tenente colonnello Baistrocchi e prese posizione nella zona della Val Popena. In quella stessa data si dimetteva dalla redazione romana del Corriere della Sera. Il 17 novembre 1915 gli fu comunicato il richiamo dalla zona di guerra e rientrò a Roma. Nel frattempo, su proposta del Baistrocchi, gli venne assegnata una medaglia di bronzo al valor militare per l'azione svolta ad ottobre. Riprese l'attività  giornalistica, ma il 16 marzo 1916 venne richiamato alle armi e, dopo un breve periodo di servizio nella capitale, venne destinato al Comando Supremo in zona di guerra. Nel novembre dello stesso anno ricevette l'incarico di rappresentare il Comando Supremo presso il ministro senza portafoglio per la Propaganda, V. Scialoja. Nel gennaio 1917, mettendo a frutto l'esperienza politica, ma soprattutto giornalistica, maturata fino a quel momento, presentò un dettagliato progetto sull'uso dei mezzi di stampa, comunicazione e propaganda al fine di sostenere lo sforzo bellico della nazione anche sotto il profilo psicologico.

Il dopoguerra

Alla fine del conflitto seguì i lavori della delegazione italiana alla Conferenza di pace, in qualità  di inviato speciale dell'Idea Nazionale. Nelle sue corrispondenze sottolineò più volte i fatali errori delle altre potenze vincitrici nei confronti delle aspirazioni e dei diritti dell'Italia e il condizionamento politico e spirituale che il mito della "vittoria mutilata" avrebbe esercitato nel dopoguerra; sostenne, quindi, con entusiasmo l'impresa dannunziana, non senza aver cercato, in un colloquio del novembre 1919, di convincere il presidente del Consiglio F.S. Nitti ad appoggiare l'iniziativa. Durante la Reggenza del Carnaro si recò diverse volte a Fiume e svolse alcuni delicati incarichi che gli furono affidati dallo stesso D'Annunzio, impegnandosi affinché a Fiume fosse costituito un Ufficio per gli affari esteri (7 ottobre 1920). Nei mesi di agosto e settembre si era recato in Dalmazia con Federzoni e C. Nava e, dopo aver visitato Zara, Curzola, Arbe, Cittavecchia, Veglia e Fiume, aveva redatto un'ampia relazione politica per il presidente del Consiglio G. Giolitti e per il ministro degli Esteri C. Sforza. Tra l'ottobre e il novembre 1920 l'indirizzo politico del D'Annunzio mostrò crescenti aperture verso i nazionalisti; in quest'ottica si svolse a Fiume una serie di incontri tra Roberto, Rocco e Federzoni, per i nazionalisti, e C. Zoli, responsabile dell'Ufficio relazioni estere del governo della Reggenza. La sua febbrile attività  politica è testimoniata anche dalle numerose corrispondenze per l'Idea Nazionale dedicate quasi esclusivamente alla questione fiumana. Dopo la conclusione del trattato di Rapallo (12 novembre 1920) Roberto attaccò duramente la mortificazione delle aspirazioni nazionali implicita nelle scelte di politica estera del governo e, in linea con l'orientamento prevalente nel suo partito, stentò a rinunciare all'idea di una soluzione autoritaria e armata della questione adriatica, sotto la guida del "comandante". Dai primi mesi del 1921, anche in relazione alla preoccupante evoluzione della lotta politica e sociale nel Paese, agli incalzanti sintomi di crisi dello Stato liberale e al continuo aumento degli episodi di violenza squadrista, cominciò ad acquistare spessore politico il tema dei rapporti tra nazionalismo e fascismo. Nell'imminenza del Congresso del Partito nazionale fascista (PNF) che si tenne a Napoli dal 24 al 26 ottobre 1922, Roberto indicò il dovere del nazionalismo di sostenere, al di là  delle differenze e dei contrasti pur innegabili, l'opera di rinnovamento politico e morale perseguita dal fascismo. Identico orientamento egli espresse in altre occasioni, in qualità  di consigliere delegato e di membro del Comitato centrale dell'ANI, impegnandosi in particolare in due direzioni: sollecitare il fascismo a liberarsi delle residue componenti rivoluzionario-diciannoviste e individuare un comune piano d'azione che consentisse alle due formazioni di superare la fase della collaborazione occasionale. Quando il 13 gennaio 1923 il Gran Consiglio del fascismo affidò a Mussolini l'incarico di nominare una commissione mista di dirigenti del PNF e dell'ANI per affrontare il problema dei rapporti tra i due partiti "nazionali" in vista di una loro possibile fusione, Roberto, insieme con Maraviglia e Corradini, fu designato a rappresentare il Partito nazionalista in tale organo; il 23 febbraio 1923 fu firmato il patto di fusione. Poco tempo prima, il 20 gennaio 1923, si era dimesso dalla carica di consigliere delegato dell'ANI che aveva tenuto per circa tre anni. Con l'approvazione della legge elettorale maggioritaria (legge Acerbo del novembre 1923) e in vista delle elezioni politiche dell'aprile 1924 Roberto rinunciò alla candidatura che gli era stata offerta, sostenendo che il PNF non doveva tutto parlamentarizzarsi ma doveva preparare una "riserva di uomini per altri compiti". Dopo le elezioni il Gran Consiglio nominò alla guida del PNF un direttorio provvisorio di quattro membri, di cui fu chiamato a far parte anche Roberto. In conseguenza della crisi politica aperta dal delitto Matteotti, nell'agosto 1924, fu eletto un nuovo direttorio nazionale, composto di 15 membri, tra cui figurava ancora Roberto; il 12 febbraio 1925 veniva ripristinata la carica di segretario del PNF che fu affidata a R. Farinacci, di cui Roberto divenne uno dei più stretti collaboratori e da cui venne inserito nel direttorio di otto membri che avrebbe dovuto coadiuvarlo nella guida del partito. La linea politica del Farinacci era rivolta non solo a un rilancio organizzativo e numerico di esso ma anche all'affermazione dello stesso come elemento preminente e autenticamente propulsivo del fascismo; a questa linea Roberto fornì il proprio contributo sia coadiuvando il Farinacci nell'opera di rigoroso riassetto dei quadri, epurati dei dissidenti irriducibili, sia legittimando nei suoi articoli la centralità  che il partito rivestiva nella linea politica del segretario.
Il 27 dicembre 1925 L'Idea Nazionale annunciava la cessazione delle pubblicazioni; la decisione era già  stata preannunciata il 21 dello stesso mese da Mussolini in un messaggio indirizzato al direttore Roberto e ai redattori. La chiusura della storica testata nazionalista era presentata come una sorta di "fusione" di quella con il quotidiano La Tribuna, alla guida del quale fu designato lo stesso Roberto, carica che conservò fino alla morte. La nuova funzione direttiva nel giornale non lo distolse da un'intensa attività  giornalistica e pubblicistica con cui egli sottolineò, con toni ampiamente celebrativi e propagandistici, alcune fondamentali realizzazioni politiche, militari e culturali del regime. Nel quadro della graduale fascistizzazione degli enti culturali Roberto fu anche nominato membro del Comitato direttivo della Società Dante Alighieri. Dopo la Conciliazione tra Italia e S. Sede, sancita dalla firma dei Patti lateranensi (11 febbraio 1929), Roberto accolse positivamente il concordato sottolineandone non soltanto il significato storico-politico ma anche "il significato non contingente etico, religioso, universale"; ciò, tuttavia, non gli avrebbe impedito di assumere una posizione critica nei confronti dell'Azione Cattolica, accusandola di ostilità  verso il regime e di ambigue compromissioni con il popolarismo. Nel luglio 1929 fu nominato presidente della Società Italiana Autori ed Editori (SIAE). Tra il 1931 e il 1932 in qualità  di commissario straordinario avviò un'opera di riordino organizzativo e amministrativo-contabile della stessa, dedicando particolare attenzione all'accertamento della consistenza patrimoniale dell'ente, all'istituzione di una cassa di previdenza e alla sistemazione della biblioteca che venne a lui intitolata. Confermato nella carica di presidente nel luglio 1932, la conservò fino all'11 gennaio 1933.
Nel 1929 ricevette l'incarico di scrivere il libro di testo per la quinta classe elementare; il volume, pubblicato a Roma nel 1932 e quindi in numerose edizioni, fu intitolato Il balilla Vittorio. Racconto. Il libro della quinta classe elementare. Roberto svolse anche un'intensa attività di conferenziere, soprattutto su temi di politica estera, sia in Italia sia all'estero. Nel corso dei suoi frequenti viaggi fuori d'Italia si rivelò acuto osservatore della realtà  politica locale e delle attitudini dei rispettivi paesi nei confronti dell'Italia fascista: nel 1928 visitò l'Albania, nel 1930 e nel 1932 si recò in Germania, redigendo dopo ciascun viaggio un dettagliato rapporto politico. Nel novembre 1933, poco tempo prima della creazione del sottosegretariato per la stampa e propaganda, Galeazzo Ciano, addetto stampa della Presidenza del Consiglio, progettò di rinnovare e potenziare la propaganda radiofonica attraverso nuovi programmi che esprimessero gli orientamenti ufficiali del regime. Egli propose a Mussolini di affidare una serie di trasmissioni dal titolo "Cronache del regime" a Roberto. Ottenuto il consenso del duce, il nuovo programma andò in onda dal novembre 1933. L'obiettivo di illustrare le istituzioni più significative, gli uomini e i principali avvenimenti del regime e di stabilire un più stretto legame tra fascismo e ceti medi fu perseguito da Roberto attraverso una formula basata su un linguaggio semplice ma vivace, a tratti spregiudicato, e su toni confidenziali ed emotivamente coinvolgenti. Il programma rappresentò uno dei primi, significativi esempi di propaganda radiofonica fascista. In occasione del conflitto italo-etiopico (1935-1936) le "Cronache del regime" divennero un aggressivo strumento di propaganda e anche l'impegno giornalistico di Roberto dalle colonne della Tribuna si fece più intenso. Nel febbraio 1934 era stato nominato senatore e si spense a Roma l'1 giugno 1936.