Frontali Gino
Sottotenente medico
70° Brigata Ancona
Nato il 28 settembre 1889 ad Alessandria d'Egitto
Morto il il 28 settembre 1963 a Roma
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Prima della guerra
Gino Frontali nasce ad Alessandria d’Egitto il 28 settembre del 1889 da Facondo ed Ernesta Vissich.
Dopo aver compiuto gli studi liceali a Torino, si iscrive alla facoltà di medicina all'Università
di Firenze completando nel 1913 la sua formazione presso l’Ateneo bolognese. Dopo la laurea si dedica
alla professione di pediatra fin quando viene chiamato alle armi come sottotenente medico ed inquadrato
nel 70° Reggimento di fanteria della Brigata Ancona.
La Grande Guerra
Allo scoppiare delle ostilità Gino Frontali è al Passo di Monte Croce di Comelico dove presta servizio
in prima linea assistendo agli orrori, alle malattie ed alle mutilazioni provocate dalla guerra. Non gli
mancano comunque, fin dai primi giorni, anche le esperienze positive suscitate dal comportamento di chi,
nonostante la difficile situazione, sa dimostrarsi generoso ed altruista: “Un fante di statura colossale
attraversava la tempesta con un enorme fardello sulle spalle, scese di corsa il sentiero ed arrivò a noi
ansimante e sorridente. Recava sulla schiena poderosa un compagno ferito al torace, che lo teneva abbracciato
sotto il mento. Con lo stesso metodo in meno di un’ora il gigante buono (era un facchino della stazione di Ravenna)
portò al nostro posto di medicazione quattro feriti gravi: al capo, all'addome, ai lombi. Allontanava i
portaferiti incaricati d'aiutarlo, sdegnava le barelle, con delicata sicurezza abbrancava il ferito e se lo caricava
addosso, offrendogli l'appoggio d'un braccio, d'una mano, d'una spalla più o meno inarcata.”
Per contro, nell’esercizio delle sue funzioni, prende atto anche di un’altra realtà, dove la paura ha il sopravvento
sfiorando talvolta la codardia: “Ci sono soldati che si augurano di restare feriti. Difficile da credere eppure
è così: esistono delle ferite 'buone', invocate dai combattenti per scampare alla trincea nell’unico modo che sembra
possibile. Una ferita equivale a un ricovero in ospedale, magari al fronte interno, e se si è particolarmente
fortunati può persino significare assegnazione ai servizi sedentari, o congedo illimitato. Però in quel caso non è
detto che ti sia andata bene, perché il congedo illimitato te lo danno solo se sei menomato gravemente. Certo non
è facile trovare il giusto punto di equilibrio, deve essere una ferita che ti sottrae alla prima linea ma non ti
lascia offeso per tutta la vita. Quanta follia, quanta disperazione può esserci dietro a un calcolo del genere
fatto da un essere umano.”
Non distante dalla linea del fuoco, il sottotenente Frontali sfida la cruda realtà del servizio che è chiamato a
svolgere: “Feriti più leggieri arrivavano a piedi. Il lavoro di medicazione cominciò ad assorbirmi, distraendomi
in modo benefico dalle detonazioni minacciose e dalla ricaduta di frammenti metallici che davano un tintinnio di
vasellame in frantumi. L'occhio attento alle ferite, l'orecchio ai sibili delle spolette e allo sfarfallio delle
schegge, la mano pronta a spostare il ferito e me stesso e il materiale a seconda della direzione dei colpi: non
avevo mai lavorato in un'atmosfera così satura di rischio, d'odore di bruciato. Il frastuono era tale, che avevamo
cessato di gridare per intenderci e comunicavamo a gesti.”
Traendo frutto dalle sue esperienze di “Medico di Battaglione”, come egli stesso si definisce, nel 1916 pubblica un
manualetto pratico rivolto ai suoi futuri colleghi, dottori novizi, non per diffondere aride norme, ma per descrivere
la realtà che essi sono chiamati a vivere nelle estreme condizioni della guerra e condividere con i loro assistiti.
Il manuale contiene utili suggerimenti sul dove e come dev’essere installato un posto di medicazione che molto spesso
deve essere improvvisato, per lo più all’aperto, in posizione sicura ma non distante dalla linea occupata dai reparti
e facilmente accessibile: “ ... così i feriti ambulanti potranno giungervi a piedi senza troppa fatica ed i feriti
gravi senza troppi pericoli e senza forte perdita di sangue. [...] Ma, in occasione di bombardamenti prolungati e massicci
o di attacchi su larga scala, anche chi riesce a raggiungere in fretta il primo posto di medicazione è poi costretto
a lunghe e mortali attese. I feriti sono migliaia e i dottori sempre troppo pochi.”
Un altro capitolo è dedicato ai porta feriti, al come utilizzarli al meglio, istruirli ed equipaggiarli perché: “...
la difficoltà di muoversi fra le linee per recuperare i feriti durante i bombardamenti e quella ancor più grande
di trasportarli fuori dalla terra di nessuno dopo un’offensiva, influiscono negativamente sulla possibilità di
apportare le giuste cure in tempi utili anche a chi subisce lesioni lievi, soldati che potrebbero sopravvivere
solo se soccorsi immediatamente. Invece i feriti caduti nella terra di nessuno devono attendere molte ore o addirittura
giorni prima di essere raggiunti dai barellieri e degli aiutanti di sanità preposti al loro recupero, e che finiscono a
loro volta feriti quando vengono fatti oggetto di cecchinaggio da parte del nemico.”
Il manuale tratta quindi del materiale sanitario, dalle barelle alle coperte, dalla indispensabile provvista d’acqua
al materiale di medicazione ed agli strumenti chirurgici, indicando quali siano i più utili e quelli meno: “Anche perché
[...] le pallottole, le schegge di granata o dei calibri maggiori hanno un effetto lacerante sui corpi dei soldati:
pezzi di arti o interi arti vengono asportati con una facilità inaccettabile da chi non ha mai combattuto una guerra.
Anche quando non ne provocano l’immediato decesso, lasciano in eredità delle infezioni difficilmente guaribili dalla
medicina del 1915. Le conseguenze più frequenti sono le cancrene che, se localizzate su un arto amputabile, vengono
sanate in questo drammatico modo. Altrimenti sono destinate a propagarsi in maniera inarrestabile e a provocare lunghe
agonie e l’inevitabile morte del malato.”
Dopo aver assistito ai tentativi di sfondamento contro lo sbarramento di Sexten, il dottor Frontali segue il suo
battaglione al fronte dell’Isonzo di fronte ad Oslavia quindi, nel maggio del 1916, è in Val d’Astico, poi sul Pasubio.
Verso la metà del 1917 ritorna sul fronte orientale sull’altipiano carsico dove, negli eventi di Caporetto, il 70°
fanteria oppone una strenua resistenza al costo di gravissime perdite. Costretto in fine a ripiegare, ricostituitosi
a Padova, il Reggimento incorpora nuovi elementi e vene schierato sull’altipiano di Asiago, quindi in Val Brenta da
dove il 30 ottobre del 1918 inizia l’inseguimento delle truppe austriache in ritirata sino al sopraggiungere
dell’armistizio.
Il dopoguerra
Dopo la guerra il dottor Gino Frontali torna alla clinica pediatrica di Firenze dove venne nominato assistente
ordinario e poi aiuto. Conseguita la libera docenza in clinica pediatrica nel 1922, due anni più tardi si classifica
primo al concorso per la cattedra dell'università di Cagliari dove viene chiamato a dirigere Istituto pediatrico.
In seguito è all’Università di Pavia nel 1929, a quella di Padova nel 1930 e di Roma dal 1943 al 1959, quando
lascia l'insegnamento per raggiunti limiti d'età. Durante la sua carriera di cattedratico compie studi e ricerche
particolarmente interessanti ed innovative pubblicando numerosi trattati imponendosi all’attenzione del mondo scientifico
italiano e straniero.
Lasciato il mondo accademico, già membro di svariati sodalizi scientifici, nel 1960 Frontali viene eletto presidente
della Società italiana di pediatria, carica che detiene fino al 1963 quando, all’età di 74 anni, il 28 settembre muore
nella sua casa, a Roma, venendo quindi sepolto al cimitero di Campo Cestio.
All'opera
Il manuale scritto al fronte è consultabile per intero sul sito
14-18
La sua storia si trova anche in un libro.
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Nato il 28 settembre 1889 ad Alessandria d'Egitto
Morto il il 28 settembre 1963 a Roma
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Prima della guerra
Gino Frontali nasce ad Alessandria d’Egitto il 28 settembre del 1889 da Facondo ed Ernesta Vissich.Dopo aver compiuto gli studi liceali a Torino, si iscrive alla facoltà di medicina all'Università di Firenze completando nel 1913 la sua formazione presso l’Ateneo bolognese. Dopo la laurea si dedica alla professione di pediatra fin quando viene chiamato alle armi come sottotenente medico ed inquadrato nel 70° Reggimento di fanteria della Brigata Ancona.
La Grande Guerra
Allo scoppiare delle ostilità Gino Frontali è al Passo di Monte Croce di Comelico dove presta servizio in prima linea assistendo agli orrori, alle malattie ed alle mutilazioni provocate dalla guerra. Non gli mancano comunque, fin dai primi giorni, anche le esperienze positive suscitate dal comportamento di chi, nonostante la difficile situazione, sa dimostrarsi generoso ed altruista: “Un fante di statura colossale attraversava la tempesta con un enorme fardello sulle spalle, scese di corsa il sentiero ed arrivò a noi ansimante e sorridente. Recava sulla schiena poderosa un compagno ferito al torace, che lo teneva abbracciato sotto il mento. Con lo stesso metodo in meno di un’ora il gigante buono (era un facchino della stazione di Ravenna) portò al nostro posto di medicazione quattro feriti gravi: al capo, all'addome, ai lombi. Allontanava i portaferiti incaricati d'aiutarlo, sdegnava le barelle, con delicata sicurezza abbrancava il ferito e se lo caricava addosso, offrendogli l'appoggio d'un braccio, d'una mano, d'una spalla più o meno inarcata.”Per contro, nell’esercizio delle sue funzioni, prende atto anche di un’altra realtà, dove la paura ha il sopravvento sfiorando talvolta la codardia: “Ci sono soldati che si augurano di restare feriti. Difficile da credere eppure è così: esistono delle ferite 'buone', invocate dai combattenti per scampare alla trincea nell’unico modo che sembra possibile. Una ferita equivale a un ricovero in ospedale, magari al fronte interno, e se si è particolarmente fortunati può persino significare assegnazione ai servizi sedentari, o congedo illimitato. Però in quel caso non è detto che ti sia andata bene, perché il congedo illimitato te lo danno solo se sei menomato gravemente. Certo non è facile trovare il giusto punto di equilibrio, deve essere una ferita che ti sottrae alla prima linea ma non ti lascia offeso per tutta la vita. Quanta follia, quanta disperazione può esserci dietro a un calcolo del genere fatto da un essere umano.”
Non distante dalla linea del fuoco, il sottotenente Frontali sfida la cruda realtà del servizio che è chiamato a svolgere: “Feriti più leggieri arrivavano a piedi. Il lavoro di medicazione cominciò ad assorbirmi, distraendomi in modo benefico dalle detonazioni minacciose e dalla ricaduta di frammenti metallici che davano un tintinnio di vasellame in frantumi. L'occhio attento alle ferite, l'orecchio ai sibili delle spolette e allo sfarfallio delle schegge, la mano pronta a spostare il ferito e me stesso e il materiale a seconda della direzione dei colpi: non avevo mai lavorato in un'atmosfera così satura di rischio, d'odore di bruciato. Il frastuono era tale, che avevamo cessato di gridare per intenderci e comunicavamo a gesti.”
Traendo frutto dalle sue esperienze di “Medico di Battaglione”, come egli stesso si definisce, nel 1916 pubblica un manualetto pratico rivolto ai suoi futuri colleghi, dottori novizi, non per diffondere aride norme, ma per descrivere la realtà che essi sono chiamati a vivere nelle estreme condizioni della guerra e condividere con i loro assistiti. Il manuale contiene utili suggerimenti sul dove e come dev’essere installato un posto di medicazione che molto spesso deve essere improvvisato, per lo più all’aperto, in posizione sicura ma non distante dalla linea occupata dai reparti e facilmente accessibile: “ ... così i feriti ambulanti potranno giungervi a piedi senza troppa fatica ed i feriti gravi senza troppi pericoli e senza forte perdita di sangue. [...] Ma, in occasione di bombardamenti prolungati e massicci o di attacchi su larga scala, anche chi riesce a raggiungere in fretta il primo posto di medicazione è poi costretto a lunghe e mortali attese. I feriti sono migliaia e i dottori sempre troppo pochi.”
Un altro capitolo è dedicato ai porta feriti, al come utilizzarli al meglio, istruirli ed equipaggiarli perché: “... la difficoltà di muoversi fra le linee per recuperare i feriti durante i bombardamenti e quella ancor più grande di trasportarli fuori dalla terra di nessuno dopo un’offensiva, influiscono negativamente sulla possibilità di apportare le giuste cure in tempi utili anche a chi subisce lesioni lievi, soldati che potrebbero sopravvivere solo se soccorsi immediatamente. Invece i feriti caduti nella terra di nessuno devono attendere molte ore o addirittura giorni prima di essere raggiunti dai barellieri e degli aiutanti di sanità preposti al loro recupero, e che finiscono a loro volta feriti quando vengono fatti oggetto di cecchinaggio da parte del nemico.”
Il manuale tratta quindi del materiale sanitario, dalle barelle alle coperte, dalla indispensabile provvista d’acqua al materiale di medicazione ed agli strumenti chirurgici, indicando quali siano i più utili e quelli meno: “Anche perché [...] le pallottole, le schegge di granata o dei calibri maggiori hanno un effetto lacerante sui corpi dei soldati: pezzi di arti o interi arti vengono asportati con una facilità inaccettabile da chi non ha mai combattuto una guerra. Anche quando non ne provocano l’immediato decesso, lasciano in eredità delle infezioni difficilmente guaribili dalla medicina del 1915. Le conseguenze più frequenti sono le cancrene che, se localizzate su un arto amputabile, vengono sanate in questo drammatico modo. Altrimenti sono destinate a propagarsi in maniera inarrestabile e a provocare lunghe agonie e l’inevitabile morte del malato.”
Dopo aver assistito ai tentativi di sfondamento contro lo sbarramento di Sexten, il dottor Frontali segue il suo battaglione al fronte dell’Isonzo di fronte ad Oslavia quindi, nel maggio del 1916, è in Val d’Astico, poi sul Pasubio. Verso la metà del 1917 ritorna sul fronte orientale sull’altipiano carsico dove, negli eventi di Caporetto, il 70° fanteria oppone una strenua resistenza al costo di gravissime perdite. Costretto in fine a ripiegare, ricostituitosi a Padova, il Reggimento incorpora nuovi elementi e vene schierato sull’altipiano di Asiago, quindi in Val Brenta da dove il 30 ottobre del 1918 inizia l’inseguimento delle truppe austriache in ritirata sino al sopraggiungere dell’armistizio.
Il dopoguerra
Dopo la guerra il dottor Gino Frontali torna alla clinica pediatrica di Firenze dove venne nominato assistente ordinario e poi aiuto. Conseguita la libera docenza in clinica pediatrica nel 1922, due anni più tardi si classifica primo al concorso per la cattedra dell'università di Cagliari dove viene chiamato a dirigere Istituto pediatrico. In seguito è all’Università di Pavia nel 1929, a quella di Padova nel 1930 e di Roma dal 1943 al 1959, quando lascia l'insegnamento per raggiunti limiti d'età. Durante la sua carriera di cattedratico compie studi e ricerche particolarmente interessanti ed innovative pubblicando numerosi trattati imponendosi all’attenzione del mondo scientifico italiano e straniero. Lasciato il mondo accademico, già membro di svariati sodalizi scientifici, nel 1960 Frontali viene eletto presidente della Società italiana di pediatria, carica che detiene fino al 1963 quando, all’età di 74 anni, il 28 settembre muore nella sua casa, a Roma, venendo quindi sepolto al cimitero di Campo Cestio.
Il manuale scritto al fronte è consultabile per intero sul sito
14-18
La sua storia si trova anche in un libro.
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