Monti Fabio
Soldato
7° Alpini, Volontari del Cadore
Nato il 2 aprile 1883 ad Auronzo (BL)
Morto l'8 agosto 1915 sul Monte Peralba
Decorazioni
Medaglia d'Argento
Spontaneamente offertosi, scalava insieme ad altri animosi, un monte, contribuiva a conquistare le
prime trincee, e, fra i primi, affrontava i soverchianti rinforzi nemici, cadendo mortalmente
ferito.
Monte Peralba, 8 agosto 1915
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Figlio di Alessandro Monti[1] e di Annetta Fontana, Fabio nasce ad Auronzo di Cadore il 2 aprile
del 1883.
Dopo le scuole dell'obbligo frequenta il Liceo Classico a Torino e quindi la facoltà di economia a
Roma. Trascorso un periodo di praticantato presso alcuni hotel, durante il quale si reca a New
York, a Monaco di Baviera, a Parigi ed in Inghilterra, torna ad Auronzo dove la sua famiglia, nel
1913 ha acquistato e fatto restaurare l'albergo "Alle Grazie"[2]. Nello stesso hotel aveva
soggiornato anche Giosuè Carducci che, in seguito, avrebbe dedicato alle Dolomiti e alle loro valli
la celeberrima "Ode al Cadore". Di quel paese, adagiato lungo la riva sinistra dell'Ansiei[3], il
poeta avrebbe scritto: "Auronzo bella al piano stendesi lunga tra l'acque sotto la fosca
Ajàrnola ...".
Fabio è orgoglioso di accogliere i turisti, più o meno illustri[4], che amano frequentare la sua
valle e talvolta li accompagna nelle facili passeggiate tra i boschi o nelle escursioni, ben più
impegnative, in vetta alle splendide cime dolomitiche che da buon conoscitore sa far apprezzare
anche ai meno esperti.
Con l'approssimarsi della guerra, nonostante i suoi 32 anni d'età, Fabio si offre come volontario
e l'1 giugno del 1915, a Pieve di Cadore, si presenta a Celso Coletti, il comandante del neo
costituito Corpo dei Volontari del Cadore. «Da oggi non posso promettervi che fatica, stenti e
privazioni ... e morte, oltre all'onore» dice il capitano agli aspiranti Volontari, e
l'indomani mattina, al momento della firma che li legherà per tutta la guerra alle sorti del
battaglione, molti rinunciano; altri restano. Fabio è tra quelli che, fedeli al loro ideale
s'impegnano, ed il 4 giugno indossa la divisa ed il cappello alpino con la nappina rossa.
«In principio i Volontari dovevano pensare essi stessi al proprio vitto e alla spesa, avendo per
ciò una diaria. - racconta nel suo diario il volontario Edgardo Rossaro[5]- Si creò quindi
"dittatore" di mensa, il dottor Fabio Monti, che possedeva un albergo in Auronzo e ne aveva
pratica. Egli era un cuoco meraviglioso. Certe maccheronate al ragù, forse perché condite con un
sanissimo appetito, mi parvero le più straordinarie che avessi mai gustato. L'autorità di Monti
impediva scene di disordine alla distribuzione, sebbene ognuno cercasse di ottenere una porzione
maggiore.»
I giorni di preparazione del nuovo battaglione alpino sono ridotti all'indispensabile, giusto
quelli che occorrono per prendere familiarità con le armi e fare un po' di fiato con le marce.
L'8 giugno il reparto riceve già l'ordine di partire per il fronte. Il giorno dopo sveglia alle 3,
ed alle 4 di mattina adunata sulla strada fra Tai e Calalzo. Il paese è tutto sveglio, la gente è
in strada a far ala alla fila di penne nere; le madri a salutare i loro figli, le morose a mandare
un bacio agli innamorati. La colonna s'incammina; ogni cinque o sei chilometri una breve sosta per
rifiatare; passa per Cima Gogna e in giornata raggiunge Santo Stefano. Giovedì 10 la sveglia è alle
4; caffè; partenza per Campolongo e sempre a passo di strada, su verso Ponte Codevole, Sappada,
Villa Grande. Il giorno dopo, a Cima Sappada, i Volontari del Cadore piantano le tende.
Alla fine di giugno la squadra di Monti viene impegnata nel presidio del Passo dei Cacciatori
occupato qualche giorno prima da un reparto di Volontari del Cadore, ed il comandante Celso
Coletti, in data 1 luglio 1915, annota che: «... del 1° plotone si distinse in modo speciale
durante la permanenza al Passo dei Cacciatori, il Volontario Monti Fabio, per l'arditezza,
l'intelligenza e le speciali attitudini dimostrate nel guidare le pattuglie ...»
Nelle seguenti settimane Fabio partecipa ai servizi di collegamento tra il Col di Caneva, non
distante dalle sorgenti del Piave, e Passo Sesis che, accostato al Monte Peralba, è in vista del
confine. Il Passo è stato conquistato il 28 maggio, senza colpo ferire, da una pattuglia di
alpini.
Ai primi di agosto, oltre ad essere impegnato in alcuni incarichi di pattuglia verso il monte Cadin
e a Cima Chiadènis, Monti viene scelto per far parte di un reparto che dovrà conquistare di
sorpresa la vetta del Peralba. Su quel massiccio roccioso gli austriaci hanno insediato i loro
posti di guardia. Il maggiore Abele Piva, comandante del battaglione Dronero[6], é incaricato di
dirigere l'operazione e Fabio, assieme al capitano Coletti, dà il suo contributo per studiare
l'azione alla quale parteciperanno quattro volontari del Cadore[7], alpini del Dronero, alcuni
bersaglieri, due fanti e due guide alpine[8], tutti provetti scalatori.
Il 6 agosto esprime, in una lettera ad un amico, il presentimento di quanto gli ... potrebbe
accadere:
"... Oggi parto per una spedizione pericolosissima; l'avanzata sul nostro fronte è decisa e
probabilmente il mio viaggio sarà senza ritorno ... io sono felicissimo dell'onore che mi concedono
di essere della partita. Se morirò, giammai avrei potuto sognare una tomba più bella, tra uno
spettacolo di eccelse bellezze. Addio ... Viva l'Italia!".
Quella notte il reparto inizia la scalata lungo il costone sud-ovest del Peralba. Per non far
rumore gli uomini salgono con le pezze che avvolgono gli scarponi ferrati. Il primo tratto di
salita è erboso, quindi la via prosegue inerpicandosi tra le rocce. Tutti fanno molta attenzione a
non far rotolare qualche pietra che potrebbe mettere in allarme gli austriaci; i sassi più
instabili sono collocati delicatamente ai bordi del passaggio. La colonna esce alla fine in vista
della cima e con un'azione a sorpresa la "terza guardia" austriaca, posta a una cinquantina di
metri sotto la vetta, è conquistata. Sette dei suoi occupanti restano uccisi, l'ottavo viene fatto
prigioniero. Gli alpini ed i bersaglieri avanzano ancora e proseguono lungo la cresta che continua
in lieve discesa. Sono consapevoli del fatto che si stanno avvicinando ad un altro presidio nemico
che, dietro a un costone, è al riparo di una grotta. L'artiglieria italiana dovrebbe coprire
l'avanzata ma nulla succede. Nei pressi di una forcelletta si apre il fuoco da entrambe le parti e
quindi il combattimento si trasforma in un corpo a corpo.
Scrive ancora Rossaro: «Quella notte ero di servizio al telefono, per mancanza di uno
specialista, e devo confessare che non ho mai sofferto tanto. L'assalto era perfettamente riuscito,
la cima conquistata, dai venti, anzi ventidue volontari, perché due di essi, non scelti per
l'azione erano scappati per unirsi alla pattuglia d'assalto; ma forze ingentissime sferrarono un
contrattacco e la nostra artiglieria, che doveva impedirlo con fuoco di sbarramento, non sparò un
colpo. Pare che non vi fossero munizioni o, peggio, che le granate fossero di calibro diverse e non
entrassero nel cannone. Io registravo al telefono i moccoli di Piva, le sue epiche imprecazioni e
più tardi trascrissi il suo secco fonogramma che con tanta amarezza descriveva il nostro scacco,
annunciando la morte del prode Fabio Monti e del maresciallo[9], così inutilmente sacrificati.
Quando si poté tornare sul Peralba, una lapide, incastrata nella roccia, dove era la linea
difensiva portava scritto in tedesco: "Fin qui - ma non oltre - è giunta l'audacia e l'eroismo
del nemico - validamente respinto - la notte dell'8 agosto 1915". E a Fabio Monti e al
maresciallo il nemico dette degna sepoltura[10]».
Fabio è stato colpito in piena fronte da una palla di fucile: " ... sulla nuca aveva un foro
grosso come un pugno ... ", riferirà più tari un suo compagno. Tredici giorni più tardi gli
verrà concessa la medaglia d'argento alla memoria che sarà consegnata a suo padre Alessandro
durante una cerimonia solenne tenutasi ad Auronzo alla presenza del Generale Luigi Segato.
In calce al suo foglio matricolare si legge: «Morto in combattimento in sulla vetta del monte
Peralba (Cadore) come da atto di morte inscritto al N. 1 del registro degli atti di morte della
Compagnia Volontari Alpini "Cadore"».
Per volontà di suo padre e dei compagni d'arme, nell'agosto del 1922, sul luogo che vide la sua
morte, sarà posta una targa con impresse le seguenti parole: «Qui giunse l'8 agosto 1915 -
audacemente sfidando per l'Italia - la notte l'abisso e le armi - Fabio Monti d'Auronzo -
Volontario alpino del Cadore - qui rimase il corpo ferito nella fronte - oltre andando lo spirito e
le sorti».
NOTE
[1] Arruolatosi nei garibaldini "Cacciatori delle Alpi", nel 1866 il padre di Fabio Monti aveva combattuto nella battaglia di Bezzecca, nella terza guerra d'indipendenza, durante l'invasione italiana del Trentino.
[2] Dopo essere stata acquistata dalla famiglia Monti la struttura, che in via Roma prendeva il nome dalla vicina chiesetta Delle Grazie, assumerà il nome di "Hotel Auronzo". La famiglia Monti era già proprietaria, sempre ad Auronzo, dell'Albergo Centrale.
[3] Il lago di Auronzo, noto come Lago di Santa Caterina, ai tempi di Fabio Monti non esisteva ancora. I lavori di sbarramento dell'Ansiei iniziarono nel 1930 dando origine all'attuale bacino artificiale.
[4] Tra gli illustri ospiti del suo albergo, Fabio Monti aveva ospitato in quel periodo anche Ugo Cerletti, l'inventore dell'elettroshock.
[5] Edgardo Rossaro, pittore vercellese, arruolatosi nel 1915 nel Corpo Volontari Alpini del Cadore, autore del diario intitolato "La mia guerra gioconda" (Edizioni 10° Reggimento Alpini) da cui sono tratte alcune citazioni riportate in questo testo.
[6] Fin dall'inizio delle ostilità, il battaglione Dronero del 2° Alpini si era trasferito in zona Carnia a guardia del confine. Il 2 giugno la 18ª compagnia si era portata a Cima Sappada minacciata da nuclei nemici ed il 4 giugno, assieme alla 17ª e alla 101ª aveva occupato passo Sesis. Il 3 agosto il comandante del battaglione aveva assunto il comando di un gruppo di cui faceva parte la 19ª compagnia, destinato ad operare contro i trinceramenti del Monte Peralba.
[7] Oltre a Monti, i Volontari Cadore scelti per l'azione sono: Luigi Da Col, il diciassettenne Osvaldo Corona e Pietro Passuello. Saranno proposti per una medaglia di bronzo ottenendo, in fine, solo un encomio solenne.
[8] Oberthaler di Sappada e Giuseppe Salassa di Forni Avoltri.
[9] Si tratta di Fedele Berardengo di Casale Monferrato, maresciallo del battaglione Dronero. Mentre dirige l'azione viene colpito al braccio, alla spalla e alla gamba sinistra; ciò nonostante, non si dà per vinto e continua ad avanzare. Viene quindi colpito di striscio alla testa e in fine è fermato da una quinta pallottola che lo colpisce in pieno petto.
[10] Non è noto dove le salme dei due caduti, Monti e Berardengo, siano state sepolte.
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Nato il 2 aprile 1883 ad Auronzo (BL)
Morto l'8 agosto 1915 sul Monte Peralba
Decorazioni
Medaglia d'Argento
Spontaneamente offertosi, scalava insieme ad altri animosi, un monte, contribuiva a conquistare le prime trincee, e, fra i primi, affrontava i soverchianti rinforzi nemici, cadendo mortalmente ferito.Monte Peralba, 8 agosto 1915
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Figlio di Alessandro Monti[1] e di Annetta Fontana, Fabio nasce ad Auronzo di Cadore il 2 aprile
del 1883.
Dopo le scuole dell'obbligo frequenta il Liceo Classico a Torino e quindi la facoltà di economia a
Roma. Trascorso un periodo di praticantato presso alcuni hotel, durante il quale si reca a New
York, a Monaco di Baviera, a Parigi ed in Inghilterra, torna ad Auronzo dove la sua famiglia, nel
1913 ha acquistato e fatto restaurare l'albergo "Alle Grazie"[2]. Nello stesso hotel aveva
soggiornato anche Giosuè Carducci che, in seguito, avrebbe dedicato alle Dolomiti e alle loro valli
la celeberrima "Ode al Cadore". Di quel paese, adagiato lungo la riva sinistra dell'Ansiei[3], il
poeta avrebbe scritto: "Auronzo bella al piano stendesi lunga tra l'acque sotto la fosca
Ajàrnola ...".
Fabio è orgoglioso di accogliere i turisti, più o meno illustri[4], che amano frequentare la sua
valle e talvolta li accompagna nelle facili passeggiate tra i boschi o nelle escursioni, ben più
impegnative, in vetta alle splendide cime dolomitiche che da buon conoscitore sa far apprezzare
anche ai meno esperti.
Con l'approssimarsi della guerra, nonostante i suoi 32 anni d'età, Fabio si offre come volontario
e l'1 giugno del 1915, a Pieve di Cadore, si presenta a Celso Coletti, il comandante del neo
costituito Corpo dei Volontari del Cadore. «Da oggi non posso promettervi che fatica, stenti e
privazioni ... e morte, oltre all'onore» dice il capitano agli aspiranti Volontari, e
l'indomani mattina, al momento della firma che li legherà per tutta la guerra alle sorti del
battaglione, molti rinunciano; altri restano. Fabio è tra quelli che, fedeli al loro ideale
s'impegnano, ed il 4 giugno indossa la divisa ed il cappello alpino con la nappina rossa.
«In principio i Volontari dovevano pensare essi stessi al proprio vitto e alla spesa, avendo per
ciò una diaria. - racconta nel suo diario il volontario Edgardo Rossaro[5]- Si creò quindi
"dittatore" di mensa, il dottor Fabio Monti, che possedeva un albergo in Auronzo e ne aveva
pratica. Egli era un cuoco meraviglioso. Certe maccheronate al ragù, forse perché condite con un
sanissimo appetito, mi parvero le più straordinarie che avessi mai gustato. L'autorità di Monti
impediva scene di disordine alla distribuzione, sebbene ognuno cercasse di ottenere una porzione
maggiore.»
I giorni di preparazione del nuovo battaglione alpino sono ridotti all'indispensabile, giusto
quelli che occorrono per prendere familiarità con le armi e fare un po' di fiato con le marce.
L'8 giugno il reparto riceve già l'ordine di partire per il fronte. Il giorno dopo sveglia alle 3,
ed alle 4 di mattina adunata sulla strada fra Tai e Calalzo. Il paese è tutto sveglio, la gente è
in strada a far ala alla fila di penne nere; le madri a salutare i loro figli, le morose a mandare
un bacio agli innamorati. La colonna s'incammina; ogni cinque o sei chilometri una breve sosta per
rifiatare; passa per Cima Gogna e in giornata raggiunge Santo Stefano. Giovedì 10 la sveglia è alle
4; caffè; partenza per Campolongo e sempre a passo di strada, su verso Ponte Codevole, Sappada,
Villa Grande. Il giorno dopo, a Cima Sappada, i Volontari del Cadore piantano le tende.
Alla fine di giugno la squadra di Monti viene impegnata nel presidio del Passo dei Cacciatori
occupato qualche giorno prima da un reparto di Volontari del Cadore, ed il comandante Celso
Coletti, in data 1 luglio 1915, annota che: «... del 1° plotone si distinse in modo speciale
durante la permanenza al Passo dei Cacciatori, il Volontario Monti Fabio, per l'arditezza,
l'intelligenza e le speciali attitudini dimostrate nel guidare le pattuglie ...»
Nelle seguenti settimane Fabio partecipa ai servizi di collegamento tra il Col di Caneva, non
distante dalle sorgenti del Piave, e Passo Sesis che, accostato al Monte Peralba, è in vista del
confine. Il Passo è stato conquistato il 28 maggio, senza colpo ferire, da una pattuglia di
alpini.
Ai primi di agosto, oltre ad essere impegnato in alcuni incarichi di pattuglia verso il monte Cadin
e a Cima Chiadènis, Monti viene scelto per far parte di un reparto che dovrà conquistare di
sorpresa la vetta del Peralba. Su quel massiccio roccioso gli austriaci hanno insediato i loro
posti di guardia. Il maggiore Abele Piva, comandante del battaglione Dronero[6], é incaricato di
dirigere l'operazione e Fabio, assieme al capitano Coletti, dà il suo contributo per studiare
l'azione alla quale parteciperanno quattro volontari del Cadore[7], alpini del Dronero, alcuni
bersaglieri, due fanti e due guide alpine[8], tutti provetti scalatori.
Il 6 agosto esprime, in una lettera ad un amico, il presentimento di quanto gli ... potrebbe
accadere:
"... Oggi parto per una spedizione pericolosissima; l'avanzata sul nostro fronte è decisa e
probabilmente il mio viaggio sarà senza ritorno ... io sono felicissimo dell'onore che mi concedono
di essere della partita. Se morirò, giammai avrei potuto sognare una tomba più bella, tra uno
spettacolo di eccelse bellezze. Addio ... Viva l'Italia!".
Quella notte il reparto inizia la scalata lungo il costone sud-ovest del Peralba. Per non far
rumore gli uomini salgono con le pezze che avvolgono gli scarponi ferrati. Il primo tratto di
salita è erboso, quindi la via prosegue inerpicandosi tra le rocce. Tutti fanno molta attenzione a
non far rotolare qualche pietra che potrebbe mettere in allarme gli austriaci; i sassi più
instabili sono collocati delicatamente ai bordi del passaggio. La colonna esce alla fine in vista
della cima e con un'azione a sorpresa la "terza guardia" austriaca, posta a una cinquantina di
metri sotto la vetta, è conquistata. Sette dei suoi occupanti restano uccisi, l'ottavo viene fatto
prigioniero. Gli alpini ed i bersaglieri avanzano ancora e proseguono lungo la cresta che continua
in lieve discesa. Sono consapevoli del fatto che si stanno avvicinando ad un altro presidio nemico
che, dietro a un costone, è al riparo di una grotta. L'artiglieria italiana dovrebbe coprire
l'avanzata ma nulla succede. Nei pressi di una forcelletta si apre il fuoco da entrambe le parti e
quindi il combattimento si trasforma in un corpo a corpo.
Scrive ancora Rossaro: «Quella notte ero di servizio al telefono, per mancanza di uno
specialista, e devo confessare che non ho mai sofferto tanto. L'assalto era perfettamente riuscito,
la cima conquistata, dai venti, anzi ventidue volontari, perché due di essi, non scelti per
l'azione erano scappati per unirsi alla pattuglia d'assalto; ma forze ingentissime sferrarono un
contrattacco e la nostra artiglieria, che doveva impedirlo con fuoco di sbarramento, non sparò un
colpo. Pare che non vi fossero munizioni o, peggio, che le granate fossero di calibro diverse e non
entrassero nel cannone. Io registravo al telefono i moccoli di Piva, le sue epiche imprecazioni e
più tardi trascrissi il suo secco fonogramma che con tanta amarezza descriveva il nostro scacco,
annunciando la morte del prode Fabio Monti e del maresciallo[9], così inutilmente sacrificati.
Quando si poté tornare sul Peralba, una lapide, incastrata nella roccia, dove era la linea
difensiva portava scritto in tedesco: "Fin qui - ma non oltre - è giunta l'audacia e l'eroismo
del nemico - validamente respinto - la notte dell'8 agosto 1915". E a Fabio Monti e al
maresciallo il nemico dette degna sepoltura[10]».
Fabio è stato colpito in piena fronte da una palla di fucile: " ... sulla nuca aveva un foro
grosso come un pugno ... ", riferirà più tari un suo compagno. Tredici giorni più tardi gli
verrà concessa la medaglia d'argento alla memoria che sarà consegnata a suo padre Alessandro
durante una cerimonia solenne tenutasi ad Auronzo alla presenza del Generale Luigi Segato.
In calce al suo foglio matricolare si legge: «Morto in combattimento in sulla vetta del monte
Peralba (Cadore) come da atto di morte inscritto al N. 1 del registro degli atti di morte della
Compagnia Volontari Alpini "Cadore"».
Per volontà di suo padre e dei compagni d'arme, nell'agosto del 1922, sul luogo che vide la sua
morte, sarà posta una targa con impresse le seguenti parole: «Qui giunse l'8 agosto 1915 -
audacemente sfidando per l'Italia - la notte l'abisso e le armi - Fabio Monti d'Auronzo -
Volontario alpino del Cadore - qui rimase il corpo ferito nella fronte - oltre andando lo spirito e
le sorti».
NOTE
[1] Arruolatosi nei garibaldini "Cacciatori delle Alpi", nel 1866 il padre di Fabio Monti aveva combattuto nella battaglia di Bezzecca, nella terza guerra d'indipendenza, durante l'invasione italiana del Trentino.[2] Dopo essere stata acquistata dalla famiglia Monti la struttura, che in via Roma prendeva il nome dalla vicina chiesetta Delle Grazie, assumerà il nome di "Hotel Auronzo". La famiglia Monti era già proprietaria, sempre ad Auronzo, dell'Albergo Centrale.
[3] Il lago di Auronzo, noto come Lago di Santa Caterina, ai tempi di Fabio Monti non esisteva ancora. I lavori di sbarramento dell'Ansiei iniziarono nel 1930 dando origine all'attuale bacino artificiale.
[4] Tra gli illustri ospiti del suo albergo, Fabio Monti aveva ospitato in quel periodo anche Ugo Cerletti, l'inventore dell'elettroshock.
[5] Edgardo Rossaro, pittore vercellese, arruolatosi nel 1915 nel Corpo Volontari Alpini del Cadore, autore del diario intitolato "La mia guerra gioconda" (Edizioni 10° Reggimento Alpini) da cui sono tratte alcune citazioni riportate in questo testo.
[6] Fin dall'inizio delle ostilità, il battaglione Dronero del 2° Alpini si era trasferito in zona Carnia a guardia del confine. Il 2 giugno la 18ª compagnia si era portata a Cima Sappada minacciata da nuclei nemici ed il 4 giugno, assieme alla 17ª e alla 101ª aveva occupato passo Sesis. Il 3 agosto il comandante del battaglione aveva assunto il comando di un gruppo di cui faceva parte la 19ª compagnia, destinato ad operare contro i trinceramenti del Monte Peralba.
[7] Oltre a Monti, i Volontari Cadore scelti per l'azione sono: Luigi Da Col, il diciassettenne Osvaldo Corona e Pietro Passuello. Saranno proposti per una medaglia di bronzo ottenendo, in fine, solo un encomio solenne.
[8] Oberthaler di Sappada e Giuseppe Salassa di Forni Avoltri.
[9] Si tratta di Fedele Berardengo di Casale Monferrato, maresciallo del battaglione Dronero. Mentre dirige l'azione viene colpito al braccio, alla spalla e alla gamba sinistra; ciò nonostante, non si dà per vinto e continua ad avanzare. Viene quindi colpito di striscio alla testa e in fine è fermato da una quinta pallottola che lo colpisce in pieno petto.
[10] Non è noto dove le salme dei due caduti, Monti e Berardengo, siano state sepolte.