Pambianco Settimio
Tenente Cappellano Militare
60° Brigata Calabria
Nato il 24 aprile 1888 a Costacciaro (PG)
Morto il 26 luglio 1916 sul Colbricon
Decorazioni
Medaglia di Bronzo
Durante un combattimento, sprezzante del pericolo esplicò con fervore ed alacrità il suo ministero.
Fece poi bellissima prova di subalterno, radunando ed inviando uomini sulla posizione nemica e si
diè anche con zelo a raccogliere mezzi per rafforzarla.
Col di Lana, 21 aprile 1916
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Figlio di Giammaria, Settimo Pambianco nasce il 24 aprile del 1888 a Villa Col de' Canali, una
frazione di Costacciaro, in terra umbra, lungo la Via Flaminia.
Suo fratello Filippo, dieci anni più vecchio di lui, nel novembre del 1894 veste il saio
agostiniano[1]. Anche Settimio imbocca la via della Fede e divenuto anch’egli sacerdote dell’ordine
di Sant’Agostino, come cappellano militare partecipa alla Grande Guerra col grado di tenente nel
60° fanteria della brigata «Calabria». Inviato al fronte nella zona del Col di Lana, assiste ai
combattimenti successivi allo scoppio della grande mina e partecipa alle azioni che puntano alla
presa del “Montucolo austriaco” meritando una medaglia di bronzo al valor militare per il suo
eroico comportamento nella duplice veste di sacerdote e ufficiale combattente.
In seguito, dopo alcuni inutili tentativi di conquistare il Monte Sief, il 18 luglio la brigata
«Calabria» passa alle dipendenze della 17ª divisione e don Pambianco si trasferisce con essa in Val
Travignolo, tra i passi Valles e Rolle. Qui i fanti hanno il compito di attaccare le linee fra
Colbricòn Piccolo e Cima Stradon. «[...] Bisogna guardare in faccia la realtà e serenamente
accingersi all’adempimento del proprio dovere - scrive in quei giorni Settimio a suo fratello
Filippo - [...] l’unica soddisfazione che ho chiesto a Dio è la gioia pura e serena che proviene
dall’adempimento del proprio dovere. Le persone scompaiono, e rimangono nella loro purezza le
grandi idee di religione e di patria [...]». Completato l’ammassamento in Val Travignolo, la
sera del 19 luglio, sotto un violento temporale, i battaglioni della «Calabria» si avvicinano alle
linee nemiche. Don Settimio segue i fanti del 60° ed a notte inoltrata raggiunge anch’egli quota
1832 a nord-ovest di malga Juribello. Il giorno dopo, appena prima dell’attacco, Settimio si
raccomanda a sua madre: “[...] la mamma che tanto mi amava in terra, spero vorrà seguirmi colla
sua preghiera dall’alto dei cieli! [...]”. Il giorno 21 i fanti avanzano lungo la testata della
valle. L’obiettivo è la giogaia a nord del Piccolo Colbricon. Il terreno è impervio ed il fuoco di
interdizione ed i cecchini bloccano l’azione. A prezzo di gravi perdite, nei giorni successivi,
la «Calabria» resiste al contrattacco austriaco ed al mattino del 26 avanza nuovamente. Si
prospetta una giornata terribile: i fanti sfidano la morte lanciandosi contro il filo spinato, lo
squarciano con tubi di gelatina e proseguono scavalcando i corpi dei propri compagni falciati dalle
mitragliatrici ed irrompono sui difensori attestati fra le rocce. Il loro successo è però effimero
e, colpiti dagli shrapnel, i superstiti delle compagnie attaccanti devono ripiegare. Durante quel
drammatico giorno la brigata perde 631 uomini: 81 restano uccisi, 371 vengono feriti e 179 risultano
dispersi. Quel giorno perde la vita anche Don Settimio, annoverato tra i dispersi. Il suo valoroso
comportamento è celebrato con l’attribuzione di una medaglia d'argento al V.M.:
"Con mirabile slancio partecipava all'attacco di una forte e ben difesa posizione stabilita sull'alto di una parete rocciosa ed incurante del violento tiro nemico di fucileria e bombe a mano trascinava col proprio entusiasmo i compagni, raggiungendo fra i primi la linea contrastata. Sferratosi un impetuoso contrattacco avversario, accompagnato da improvviso e intenso bombardamento, fieramente rimaneva nella posizione conquistata, facendo ogni sforzo per trattenere le truppe che incominciavano ad indietreggiare, finché scomparve fra gli assalitori.
Cima Stradon Colbricon, 26 luglio 1916".
A Villa Col de’ Canali, nel Comune di Costacciaro (PG), sulla tomba Vivani-Pambianco gli è dedicata
una lapide: "Al tenente cappellano d. Settimio Pambianco, caduto eroicamente, nel compimento sereno
del proprio dovere, per l’onore d’Italia e del sacerdozio, il 26 luglio 1916. Il padre Giammaria,
lo zio Nazzareno, i fratelli Francesco, Ferdinando, Benedetto qui ricordo posero".
La comunità di Villa gli ha inoltre intitolato la via centrale del paese.
NOTE
[1] Durante la sua vita monastica Filippo Pambianco perfeziona i suoi studi tra Viterbo e Roma.
Diventa insegnante e in seguito parroco a Narni. Negli anni ’20 viene inviato in America
settentrionale, a Filadelfia e a St. Lawrence, dove può approfondire i propri studi, diventando un
erudito scrittore. Tra le sue opere: Il Giubileo. Significato, storia, beneficii del 1925;
Cattolicismo e Civiltà Italica del 1926; Monita Sancti Augustini Doctoris Ecclesiae usui
Sacerdotum, Clericorum ac Christifidelium per singulos anni dies distributa del 1931.
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Nato il 24 aprile 1888 a Costacciaro (PG)
Morto il 26 luglio 1916 sul Colbricon
Decorazioni
Medaglia di Bronzo
Durante un combattimento, sprezzante del pericolo esplicò con fervore ed alacrità il suo ministero. Fece poi bellissima prova di subalterno, radunando ed inviando uomini sulla posizione nemica e si diè anche con zelo a raccogliere mezzi per rafforzarla.Col di Lana, 21 aprile 1916
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Figlio di Giammaria, Settimo Pambianco nasce il 24 aprile del 1888 a Villa Col de' Canali, una
frazione di Costacciaro, in terra umbra, lungo la Via Flaminia.
Suo fratello Filippo, dieci anni più vecchio di lui, nel novembre del 1894 veste il saio
agostiniano[1]. Anche Settimio imbocca la via della Fede e divenuto anch’egli sacerdote dell’ordine
di Sant’Agostino, come cappellano militare partecipa alla Grande Guerra col grado di tenente nel
60° fanteria della brigata «Calabria». Inviato al fronte nella zona del Col di Lana, assiste ai
combattimenti successivi allo scoppio della grande mina e partecipa alle azioni che puntano alla
presa del “Montucolo austriaco” meritando una medaglia di bronzo al valor militare per il suo
eroico comportamento nella duplice veste di sacerdote e ufficiale combattente.
In seguito, dopo alcuni inutili tentativi di conquistare il Monte Sief, il 18 luglio la brigata
«Calabria» passa alle dipendenze della 17ª divisione e don Pambianco si trasferisce con essa in Val
Travignolo, tra i passi Valles e Rolle. Qui i fanti hanno il compito di attaccare le linee fra
Colbricòn Piccolo e Cima Stradon. «[...] Bisogna guardare in faccia la realtà e serenamente
accingersi all’adempimento del proprio dovere - scrive in quei giorni Settimio a suo fratello
Filippo - [...] l’unica soddisfazione che ho chiesto a Dio è la gioia pura e serena che proviene
dall’adempimento del proprio dovere. Le persone scompaiono, e rimangono nella loro purezza le
grandi idee di religione e di patria [...]». Completato l’ammassamento in Val Travignolo, la
sera del 19 luglio, sotto un violento temporale, i battaglioni della «Calabria» si avvicinano alle
linee nemiche. Don Settimio segue i fanti del 60° ed a notte inoltrata raggiunge anch’egli quota
1832 a nord-ovest di malga Juribello. Il giorno dopo, appena prima dell’attacco, Settimio si
raccomanda a sua madre: “[...] la mamma che tanto mi amava in terra, spero vorrà seguirmi colla
sua preghiera dall’alto dei cieli! [...]”. Il giorno 21 i fanti avanzano lungo la testata della
valle. L’obiettivo è la giogaia a nord del Piccolo Colbricon. Il terreno è impervio ed il fuoco di
interdizione ed i cecchini bloccano l’azione. A prezzo di gravi perdite, nei giorni successivi,
la «Calabria» resiste al contrattacco austriaco ed al mattino del 26 avanza nuovamente. Si
prospetta una giornata terribile: i fanti sfidano la morte lanciandosi contro il filo spinato, lo
squarciano con tubi di gelatina e proseguono scavalcando i corpi dei propri compagni falciati dalle
mitragliatrici ed irrompono sui difensori attestati fra le rocce. Il loro successo è però effimero
e, colpiti dagli shrapnel, i superstiti delle compagnie attaccanti devono ripiegare. Durante quel
drammatico giorno la brigata perde 631 uomini: 81 restano uccisi, 371 vengono feriti e 179 risultano
dispersi. Quel giorno perde la vita anche Don Settimio, annoverato tra i dispersi. Il suo valoroso
comportamento è celebrato con l’attribuzione di una medaglia d'argento al V.M.:
"Con mirabile slancio partecipava all'attacco di una forte e ben difesa posizione stabilita sull'alto di una parete rocciosa ed incurante del violento tiro nemico di fucileria e bombe a mano trascinava col proprio entusiasmo i compagni, raggiungendo fra i primi la linea contrastata. Sferratosi un impetuoso contrattacco avversario, accompagnato da improvviso e intenso bombardamento, fieramente rimaneva nella posizione conquistata, facendo ogni sforzo per trattenere le truppe che incominciavano ad indietreggiare, finché scomparve fra gli assalitori.
Cima Stradon Colbricon, 26 luglio 1916".
A Villa Col de’ Canali, nel Comune di Costacciaro (PG), sulla tomba Vivani-Pambianco gli è dedicata
una lapide: "Al tenente cappellano d. Settimio Pambianco, caduto eroicamente, nel compimento sereno
del proprio dovere, per l’onore d’Italia e del sacerdozio, il 26 luglio 1916. Il padre Giammaria,
lo zio Nazzareno, i fratelli Francesco, Ferdinando, Benedetto qui ricordo posero".
La comunità di Villa gli ha inoltre intitolato la via centrale del paese.