Piazza Apollonio
Cappellano Militare
7° Alpini, battaglione Belluno
Nato il 9 aprile 1885 a Vigo di Cadore (BL)
Morto per malattia il 24 settembre 1947 a Belluno
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Apollonio nasce a Vigo di Cadore il 9 aprile del 1885 da Francesco Piazza e Luigia Del Favero.
Entra ben presto in Seminario ed appena dopo l’ordinazione a sacerdote viene mandato a Lozzo di
Cadore, non lontano da casa sua, come cooperatore parrocchiale. Bada specialmente ai giovani,
tenendoli impegnati nell’oratorio di San Lorenzo col catechismo ed un po’ di ricreazione, ma quello
che a lui e ai suoi ragazzi piace maggiormente, sono le camminate lungo i tanti sentieri che portano
a qualche casera vicina o anche più in alto, fino a Soracrode da dove si domina lo splendido
panorama dominato dalle crode del Tudaio, del Miaron e della Cridola. Per don Apollonio l’importante
è che i ragazzi imparino a star bene insieme, ad apprezzare le bellezze del Creato e quando serve, a
darsi reciprocamente una mano.
Con lo stesso spirito di solidarietà ed altruismo, all’età di trent’anni don Apollonio accetta
volentieri la nomina a cappellano militare del battaglione “Belluno”. Con gli alpini don Apollonio
si trova davvero a proprio agio e la sua sollecitudine viene ricambiata da tutti con affetto. E’ un
montanaro come loro, anche se esile di costituzione, e lo dimostra quando si sforza di star dietro
agli altri inerpicandosi lungo i ripidi sentieri dolomitici o quando, pur di dire Messa, si
accontenta di un sasso in bilico nel bel mezzo di un ghiaione o di un altare improvvisato con un po’
di neve compressa. Con quelli del “Belluno” resta in Val Costeana fino all’inizio di giugno del
1917, quando sulla Cengia del Lagazuoi fervono i lavori per l’ultimazione di una mina che, dopo
quella del Castelletto, è destinata a frantumare un altro pezzo di montagna nel tentativo di
impossessarsi di una contesa posizione che è già costata la vita di tanti, troppi poveri ragazzi,
italiani ed austriaci.
Don Apollonio Piazza con la divisa da alpino
A sostituire don Apollonio è arrivato un prete piemontese,
Michele Calosso, che per le sue doti umane e morali fa subito una
buona impressione a tutti, anche a don Piazza che si conforta nel sapere che i suoi alpini saranno
in buone mani. Lui è stato destinato ai Bersaglieri dell’11° reggimento, ma prima di prendere
servizio, può godere di una licenza di due mesi che trascorre a Selva di Cadore per dare una mano in
parrocchia dove ci sono alcune noiose faccende economiche da sbrogliare. Alla fine di agosto parte
quindi in treno per Pieris, nella pianura friulana, dove il suo nuovo reggimento si sta ricomponendo
dopo i sanguinosi combattimenti che lo hanno portato fin sotto alla cima di una brulla montagna che
i bersaglieri, a loro spese, hanno ben imparato a conoscere: l’Hermada. Da quelle parti don
Apollonio incontra il colonnello Rodolfo Graziani che nel suo memoriale si ricorderà di lui
descrivendolo come: “[...] basso di statura, esile nella persona, non avrei mai supposto che quel
corpo gracilissimo racchiudesse un’anima aperta ai più generosi impulsi di carità cristiana e di
amor patrio. Solo negli occhi neri, profondi, che avevano vivissimi lampi, brillava talvolta la
fiamma del suo grande amore, della sua fede purissima” (Dal memoriale del Gen. Graziani, allora
colonnello, pubblicato dal giornale “Caffaro” di Genova nel 1925).
E purtroppo, quel gracile corpo risente presto delle inclementi condizioni a cui è sottoposto e
viene colpito da una grave affezione polmonare che lo obbliga ben presto ad entrare in ospedale.
Dopo le cure, dimesso dal sanatorio, don Piazza ottiene di essere mandato a Belluno, ma la città
cade poco dopo in mano all’esercito austro-germanico che sta velocemente avanzando dopo i fatti di
Caporetto. Il 20 novembre del 1917 viene catturato e con altri 500 prigionieri è trasferito, a
piedi, fino a Vittorio. La sua salute è ancora cagionevole ed il canonico della Cattedrale di
Ceneda intercede perché dalla cella dov’é rinchiuso, don Apollonio venga trasferito all’ospedale.
Grazie al personale interessamento del Sindaco Troyer, riesce inoltre ad evitare la deportazione
assumendo invece la curazia della chiesa di Santa Giustina di Serravalle. Durante l’invasione si
dedica all’assistenza della popolazione istituendo uno spaccio alimentare e contattando, per vie
traverse, addirittura l’Arciduca Giuseppe al quale denuncia le prepotenze a cui viene sottoposta la
povera gente, implorando per essa pane ed un po’ di giustizia. Ottiene, dopo varie insistenze, gli
scarti del macello militare con i quali fa preparare razioni di brodo e carne per sfamare i bambini.
Stanchi delle sue continue ingerenze, il 27 luglio del 1918 i tedeschi lo arrestano, ma ancora una
volta il Vescovo di Cerneda ottiene la sua liberazione con la promessa di distogliere lo “scomodo
prete” dalle sue intromissioni. Don Apollonio non intende comunque darsi per vinto ed all’insaputa
di tutti, intraprende un’impresa ancor più rischiosa. Ha appena incontrato un coraggioso tenente
che, sceso in segreto col paracadute da qualche parte tra il Tagliamento ed il Piave, svolge ora
un’intensa attività di spionaggio. Alessandro Tandura[1], così si chiama l’ufficiale che
chiede a don Apollonio di dargli una mano per inviare oltre le linee le preziose informazioni che
riesce a raccogliere. Don Piazza non si nega, ma fa presente di essere tenuto d'occhio dalla
gendarmeria che più di una volta ha già perquisito la sua canonica. Il tenente Tandura gli propone
allora di coinvolgere sua sorella Emma[2] che abita a Vittorio, e che frequentando
abitualmente la Chiesa come devota parrocchiana non desterà, si spera, alcun sospetto. Ha così
inizio un’assidua collaborazione per trasmettere informazioni alle truppe italiane con l’invio di
piccioni viaggiatori. Vengono comunicate le manovre austriache, l’entità delle forze che
confluiscono verso il fronte ed ogni altra notizia utile agli italiani che sono attestati oltre il
Piave. Per la sua attività, che sarà testimoniata in un'opera celebrativa uscita nel ventennale
della liberazione, "Preti d'oltre Piave - pagine eroiche del Veneto invaso", sarà premiato con il
conferimento di un'alta onorificenza e due Croci al merito.
Finita la guerra don Apollonio Piazza si reca come parroco a La Valle Agordina dov’é animatore
dell'Azione Cattolica e nel 1923, con l’aiuto di un bravo educatore di origini padovane, da vita ad
un reparto di Esploratori “Boy Scout”. Sostiene inoltre, forse troppo apertamente, il Partito
Popolare, anche nelle elezioni del 1924, scontentando i fascisti locali che lo fanno dapprima
arrestare e poi, all’inizio degli anni Trenta, lo allontanano da La Valle inviandolo dapprima a San
Pietro di Cadore e poi a Pieve d'Alpago dove don Apollonio assume l’incarico di Arciprete Vicario
Foraneo (Gli archivi della Prefettura di Belluno raccolgono numerose segnalazioni fasciste che
accusano don Piazza delle più impensabili manovre politiche ed, anche se appare difficile
discernere le accuse mosse per ragioni personali da quelle realmente politiche, non v’é dubbio che
don Piazza sia stato un prete antifascista).
Durante gli eventi della seconda Guerra Mondiale Don Piazza tiene un diario sul quale annota gli
eventi di quei tempi, diario che sarà pubblicato, a puntate, nel Bollettino parrocchiale di Pieve
d’Alpago. Dopo l’armistizio la violenza nazifascista non tarda a manifestarsi e nell'agosto del 1944
vengono incendiati i paesi di Pieve d’Alpago e Mistran. La Resistenza, forte in tutta la provincia
bellunese, trova in Alpago e nel bosco del Cansiglio un naturale terreno di lotta, reso sicuro dai
mille ripari naturali, dalle innumerevoli baite e dalla spontanea disponibilità della popolazione.
Il 17 agosto del 1944 don Apollonio scrive nel suo diario: “I Patrioti mi consegnano copia di una
lettera, firmata da certo [...] che dice di abitare a Longarone. In essa l’ignobile delatore informa
la Federazione fascista repubblicana di Belluno ed il Comando delle Gendarmerie tedesche che in
tutto l’Alpago i partigiani spadroneggiano, requisiscono bestiame e generi alimentari, ed hanno
fatto saltare ponti. Aggiunge che esistono dei comandi comunali dipendenti da quello di Belluno per
dare aiuto ai partigiani. Fa poi dei nomi di persone che ne fanno parte: ... a Belluno, a Pieve “il
prete Piazza”, il pittore Conversano, il segretario comunale Arturo da Re, Armando Meazza. Termina
con “Viva la Germania”. Non par vero che esistano al mondo simili canaglie. Le notizie fornite ai
nemici sono tutte cervellotiche e non hanno alcun fondamento. Quel disgraziato, non essendo a
conoscenza dei veri aderenti al Comitato di liberazione, denunzia tutti coloro che coprono qualche
carica pubblica”.
Comunque è vero, Don Piazza non nasconde il suo appoggio ai gruppi partigiani ed anzi, sollecita il
vescovo di Belluno a dar loro anche un cappellano militare. Contro la Resistenza si muove però la
rappresaglia dei tedeschi che rastrellano le case di Pieve ed incendiano il palazzo municipale. Poi,
nel 1945, le dure lotte terminano. Il nazifascismo, sconfitto, si mostra come una tragica pagina
nera nel libro degli eventi e don Piazza annota: "Non possiamo distruggere la storia. Se la
guerra s'è voluta, imposta alla Nazione lo fu perché troppo essa si era prosternata a quell'idolo
mostruoso, troppi consensi esso ebbe in alto e in basso, troppo comodo faceva per molti, un po'
dappertutto, nascondere dietro il fascio littorio le loro malefatte, i loro loschi guadagni ed
interessi ...".
Da qualche tempo don Apollonio soffre di diabete ed a sessantadue anni d’età, con l’acutizzarsi
della malattia, deve essere ricoverato d’urgenza all’ospedale di Belluno. Nonostante le assidue cure
dei medici e le continue attenzioni dei suoi parrocchiani, il 24 settembre del 1947 muore per
setticemia. Di don Apollonio Piazza la storiografia si occuperà in modo solo marginale, ma la sua
opera pastorale e le vicende umane che hanno contrassegnato la sua vita, troveranno l’unanime
consenso di chi ebbe modo di conoscerlo. Ora riposa nel Cimitero della Parrocchia nativa a Vigo di
Cadore.
Per la preziosa ed appassionata collaborazione, si ringrazia il sig. Dino Torres di Pieve d’Alpago
che si onora di aver conosciuto personalmente don Apollonio Piazza assistendolo anche negli ultimi
giorni della sua vita.
Don Apollonio Piazza
NOTE
[1] Tandura Alessandro di Luigi e Maria De Negri, nato a Vittorio (Treviso) il 17 settembre 1893. Tenente di complemento del II battaglione d’assalto. Medaglia d’Oro al Valor Militare: “Animato dal più ardente amore di Patria, si offriva per compiere una missione estremamente rischiosa: da un aeroplano in volo, si faceva lanciare con paracadute al di là delle linee nemiche nel Veneto invaso, dove, con alacre intelligenza ed indomito sprezzo di ogni pericolo, raccoglieva nuclei di ufficiali e soldati nostri dispersi, e, animandoli col proprio coraggio e con la propria fede, costituiva con essi un servizio di informazioni che riuscì di preziosissimo ausilio alle operazioni. Due volte arrestato e due volte sfuggito, dopo tre mesi di audacie leggendarie, integrava l’avveduta e feconda opera sua, ponendosi arditamente alla testa delle sue schiere di ribelli e con esse insorgendo nel momento in cui si delineava la ritirata nemica, ed agevolando così l’avanzata vittoriosa delle nostre truppe. Fulgido esempio di abnegazione, di cosciente coraggio e di generosa, intera dedizione di tutto se stesso alla Patria”. Piave, Vittorio Veneto, agosto-ottobre 1918.
[2] Tandura Emma da Vittorio Veneto. Medaglia d’Argento al V.M. “Con elevatissimo sentimento patriottico, rafforzatosi durante la occupazione nemica, sfidando il pericolo gravissimo di essere scoperta e quindi esposta a gravi sanzioni, collaborava con un suo congiunto ufficiale nel Regio Esercito, calatosi nottetempo con un paracadute oltre le linee nemiche, ad un’audace impresa di guerra, fornendogli assistenza ed aiuto con fede mai doma, fino al ritorno nella sua terra redenta delle truppe liberatrici”. Vittorio Veneto, agosto – novembre 1918.
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Nato il 9 aprile 1885 a Vigo di Cadore (BL)
Morto per malattia il 24 settembre 1947 a Belluno
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Apollonio nasce a Vigo di Cadore il 9 aprile del 1885 da Francesco Piazza e Luigia Del Favero. Entra ben presto in Seminario ed appena dopo l’ordinazione a sacerdote viene mandato a Lozzo di Cadore, non lontano da casa sua, come cooperatore parrocchiale. Bada specialmente ai giovani, tenendoli impegnati nell’oratorio di San Lorenzo col catechismo ed un po’ di ricreazione, ma quello che a lui e ai suoi ragazzi piace maggiormente, sono le camminate lungo i tanti sentieri che portano a qualche casera vicina o anche più in alto, fino a Soracrode da dove si domina lo splendido panorama dominato dalle crode del Tudaio, del Miaron e della Cridola. Per don Apollonio l’importante è che i ragazzi imparino a star bene insieme, ad apprezzare le bellezze del Creato e quando serve, a darsi reciprocamente una mano. Con lo stesso spirito di solidarietà ed altruismo, all’età di trent’anni don Apollonio accetta volentieri la nomina a cappellano militare del battaglione “Belluno”. Con gli alpini don Apollonio si trova davvero a proprio agio e la sua sollecitudine viene ricambiata da tutti con affetto. E’ un montanaro come loro, anche se esile di costituzione, e lo dimostra quando si sforza di star dietro agli altri inerpicandosi lungo i ripidi sentieri dolomitici o quando, pur di dire Messa, si accontenta di un sasso in bilico nel bel mezzo di un ghiaione o di un altare improvvisato con un po’ di neve compressa. Con quelli del “Belluno” resta in Val Costeana fino all’inizio di giugno del 1917, quando sulla Cengia del Lagazuoi fervono i lavori per l’ultimazione di una mina che, dopo quella del Castelletto, è destinata a frantumare un altro pezzo di montagna nel tentativo di impossessarsi di una contesa posizione che è già costata la vita di tanti, troppi poveri ragazzi, italiani ed austriaci.
Don Apollonio Piazza con la divisa da alpino
A sostituire don Apollonio è arrivato un prete piemontese,
Michele Calosso, che per le sue doti umane e morali fa subito una
buona impressione a tutti, anche a don Piazza che si conforta nel sapere che i suoi alpini saranno
in buone mani. Lui è stato destinato ai Bersaglieri dell’11° reggimento, ma prima di prendere
servizio, può godere di una licenza di due mesi che trascorre a Selva di Cadore per dare una mano in
parrocchia dove ci sono alcune noiose faccende economiche da sbrogliare. Alla fine di agosto parte
quindi in treno per Pieris, nella pianura friulana, dove il suo nuovo reggimento si sta ricomponendo
dopo i sanguinosi combattimenti che lo hanno portato fin sotto alla cima di una brulla montagna che
i bersaglieri, a loro spese, hanno ben imparato a conoscere: l’Hermada. Da quelle parti don
Apollonio incontra il colonnello Rodolfo Graziani che nel suo memoriale si ricorderà di lui
descrivendolo come: “[...] basso di statura, esile nella persona, non avrei mai supposto che quel
corpo gracilissimo racchiudesse un’anima aperta ai più generosi impulsi di carità cristiana e di
amor patrio. Solo negli occhi neri, profondi, che avevano vivissimi lampi, brillava talvolta la
fiamma del suo grande amore, della sua fede purissima” (Dal memoriale del Gen. Graziani, allora
colonnello, pubblicato dal giornale “Caffaro” di Genova nel 1925).
E purtroppo, quel gracile corpo risente presto delle inclementi condizioni a cui è sottoposto e
viene colpito da una grave affezione polmonare che lo obbliga ben presto ad entrare in ospedale.
Dopo le cure, dimesso dal sanatorio, don Piazza ottiene di essere mandato a Belluno, ma la città
cade poco dopo in mano all’esercito austro-germanico che sta velocemente avanzando dopo i fatti di
Caporetto. Il 20 novembre del 1917 viene catturato e con altri 500 prigionieri è trasferito, a
piedi, fino a Vittorio. La sua salute è ancora cagionevole ed il canonico della Cattedrale di
Ceneda intercede perché dalla cella dov’é rinchiuso, don Apollonio venga trasferito all’ospedale.
Grazie al personale interessamento del Sindaco Troyer, riesce inoltre ad evitare la deportazione
assumendo invece la curazia della chiesa di Santa Giustina di Serravalle. Durante l’invasione si
dedica all’assistenza della popolazione istituendo uno spaccio alimentare e contattando, per vie
traverse, addirittura l’Arciduca Giuseppe al quale denuncia le prepotenze a cui viene sottoposta la
povera gente, implorando per essa pane ed un po’ di giustizia. Ottiene, dopo varie insistenze, gli
scarti del macello militare con i quali fa preparare razioni di brodo e carne per sfamare i bambini.
Stanchi delle sue continue ingerenze, il 27 luglio del 1918 i tedeschi lo arrestano, ma ancora una
volta il Vescovo di Cerneda ottiene la sua liberazione con la promessa di distogliere lo “scomodo
prete” dalle sue intromissioni. Don Apollonio non intende comunque darsi per vinto ed all’insaputa
di tutti, intraprende un’impresa ancor più rischiosa. Ha appena incontrato un coraggioso tenente
che, sceso in segreto col paracadute da qualche parte tra il Tagliamento ed il Piave, svolge ora
un’intensa attività di spionaggio. Alessandro Tandura[1], così si chiama l’ufficiale che
chiede a don Apollonio di dargli una mano per inviare oltre le linee le preziose informazioni che
riesce a raccogliere. Don Piazza non si nega, ma fa presente di essere tenuto d'occhio dalla
gendarmeria che più di una volta ha già perquisito la sua canonica. Il tenente Tandura gli propone
allora di coinvolgere sua sorella Emma[2] che abita a Vittorio, e che frequentando
abitualmente la Chiesa come devota parrocchiana non desterà, si spera, alcun sospetto. Ha così
inizio un’assidua collaborazione per trasmettere informazioni alle truppe italiane con l’invio di
piccioni viaggiatori. Vengono comunicate le manovre austriache, l’entità delle forze che
confluiscono verso il fronte ed ogni altra notizia utile agli italiani che sono attestati oltre il
Piave. Per la sua attività, che sarà testimoniata in un'opera celebrativa uscita nel ventennale
della liberazione, "Preti d'oltre Piave - pagine eroiche del Veneto invaso", sarà premiato con il
conferimento di un'alta onorificenza e due Croci al merito.
Finita la guerra don Apollonio Piazza si reca come parroco a La Valle Agordina dov’é animatore
dell'Azione Cattolica e nel 1923, con l’aiuto di un bravo educatore di origini padovane, da vita ad
un reparto di Esploratori “Boy Scout”. Sostiene inoltre, forse troppo apertamente, il Partito
Popolare, anche nelle elezioni del 1924, scontentando i fascisti locali che lo fanno dapprima
arrestare e poi, all’inizio degli anni Trenta, lo allontanano da La Valle inviandolo dapprima a San
Pietro di Cadore e poi a Pieve d'Alpago dove don Apollonio assume l’incarico di Arciprete Vicario
Foraneo (Gli archivi della Prefettura di Belluno raccolgono numerose segnalazioni fasciste che
accusano don Piazza delle più impensabili manovre politiche ed, anche se appare difficile
discernere le accuse mosse per ragioni personali da quelle realmente politiche, non v’é dubbio che
don Piazza sia stato un prete antifascista).
Durante gli eventi della seconda Guerra Mondiale Don Piazza tiene un diario sul quale annota gli
eventi di quei tempi, diario che sarà pubblicato, a puntate, nel Bollettino parrocchiale di Pieve
d’Alpago. Dopo l’armistizio la violenza nazifascista non tarda a manifestarsi e nell'agosto del 1944
vengono incendiati i paesi di Pieve d’Alpago e Mistran. La Resistenza, forte in tutta la provincia
bellunese, trova in Alpago e nel bosco del Cansiglio un naturale terreno di lotta, reso sicuro dai
mille ripari naturali, dalle innumerevoli baite e dalla spontanea disponibilità della popolazione.
Il 17 agosto del 1944 don Apollonio scrive nel suo diario: “I Patrioti mi consegnano copia di una
lettera, firmata da certo [...] che dice di abitare a Longarone. In essa l’ignobile delatore informa
la Federazione fascista repubblicana di Belluno ed il Comando delle Gendarmerie tedesche che in
tutto l’Alpago i partigiani spadroneggiano, requisiscono bestiame e generi alimentari, ed hanno
fatto saltare ponti. Aggiunge che esistono dei comandi comunali dipendenti da quello di Belluno per
dare aiuto ai partigiani. Fa poi dei nomi di persone che ne fanno parte: ... a Belluno, a Pieve “il
prete Piazza”, il pittore Conversano, il segretario comunale Arturo da Re, Armando Meazza. Termina
con “Viva la Germania”. Non par vero che esistano al mondo simili canaglie. Le notizie fornite ai
nemici sono tutte cervellotiche e non hanno alcun fondamento. Quel disgraziato, non essendo a
conoscenza dei veri aderenti al Comitato di liberazione, denunzia tutti coloro che coprono qualche
carica pubblica”.
Comunque è vero, Don Piazza non nasconde il suo appoggio ai gruppi partigiani ed anzi, sollecita il
vescovo di Belluno a dar loro anche un cappellano militare. Contro la Resistenza si muove però la
rappresaglia dei tedeschi che rastrellano le case di Pieve ed incendiano il palazzo municipale. Poi,
nel 1945, le dure lotte terminano. Il nazifascismo, sconfitto, si mostra come una tragica pagina
nera nel libro degli eventi e don Piazza annota: "Non possiamo distruggere la storia. Se la
guerra s'è voluta, imposta alla Nazione lo fu perché troppo essa si era prosternata a quell'idolo
mostruoso, troppi consensi esso ebbe in alto e in basso, troppo comodo faceva per molti, un po'
dappertutto, nascondere dietro il fascio littorio le loro malefatte, i loro loschi guadagni ed
interessi ...".
Da qualche tempo don Apollonio soffre di diabete ed a sessantadue anni d’età, con l’acutizzarsi
della malattia, deve essere ricoverato d’urgenza all’ospedale di Belluno. Nonostante le assidue cure
dei medici e le continue attenzioni dei suoi parrocchiani, il 24 settembre del 1947 muore per
setticemia. Di don Apollonio Piazza la storiografia si occuperà in modo solo marginale, ma la sua
opera pastorale e le vicende umane che hanno contrassegnato la sua vita, troveranno l’unanime
consenso di chi ebbe modo di conoscerlo. Ora riposa nel Cimitero della Parrocchia nativa a Vigo di
Cadore.
Per la preziosa ed appassionata collaborazione, si ringrazia il sig. Dino Torres di Pieve d’Alpago
che si onora di aver conosciuto personalmente don Apollonio Piazza assistendolo anche negli ultimi
giorni della sua vita.
Don Apollonio Piazza
NOTE
[1] Tandura Alessandro di Luigi e Maria De Negri, nato a Vittorio (Treviso) il 17 settembre 1893. Tenente di complemento del II battaglione d’assalto. Medaglia d’Oro al Valor Militare: “Animato dal più ardente amore di Patria, si offriva per compiere una missione estremamente rischiosa: da un aeroplano in volo, si faceva lanciare con paracadute al di là delle linee nemiche nel Veneto invaso, dove, con alacre intelligenza ed indomito sprezzo di ogni pericolo, raccoglieva nuclei di ufficiali e soldati nostri dispersi, e, animandoli col proprio coraggio e con la propria fede, costituiva con essi un servizio di informazioni che riuscì di preziosissimo ausilio alle operazioni. Due volte arrestato e due volte sfuggito, dopo tre mesi di audacie leggendarie, integrava l’avveduta e feconda opera sua, ponendosi arditamente alla testa delle sue schiere di ribelli e con esse insorgendo nel momento in cui si delineava la ritirata nemica, ed agevolando così l’avanzata vittoriosa delle nostre truppe. Fulgido esempio di abnegazione, di cosciente coraggio e di generosa, intera dedizione di tutto se stesso alla Patria”. Piave, Vittorio Veneto, agosto-ottobre 1918.
[2] Tandura Emma da Vittorio Veneto. Medaglia d’Argento al V.M. “Con elevatissimo sentimento patriottico, rafforzatosi durante la occupazione nemica, sfidando il pericolo gravissimo di essere scoperta e quindi esposta a gravi sanzioni, collaborava con un suo congiunto ufficiale nel Regio Esercito, calatosi nottetempo con un paracadute oltre le linee nemiche, ad un’audace impresa di guerra, fornendogli assistenza ed aiuto con fede mai doma, fino al ritorno nella sua terra redenta delle truppe liberatrici”. Vittorio Veneto, agosto – novembre 1918.