Nazione Zanettin Giuseppe

Grado Soldato

Mostrina  7° Alpini, 96ª cp. battaglione Pieve di Cadore

Ritratto

Nato il 10 marzo 1892 a Zoppè di Cadore (BL)

Decorazioni

Decorazione Croce al Valor Militare

Incaricato di ricercare e far brillare alcune fogate petriere disposte dal nemico nei pressi dei suoi reticolati, disimpegnò pienamente e con intelligenza e coraggio il mandato affidatogli.
Monte Piana 19 luglio 1915

Note biografiche (Archivio Franco Licini)

Prima della guerra

Mentre Maria Zandonel, la consorte, se ne resta a casa a badare all’orto e alle bestie, a primavera Paolino Zanettin parte col suo carretto per andare giù in pianura a vendere frutti canditi, croccanti e biscotti. La sua specialità sono i “zalet” fatti di mais, orzo, uvetta e miele, come solo sua moglie li sa fare. Gira di paese in paese, da città a città, e quando viene l’autunno converte la sua attività commerciale in quella del caldarrostaio. Poi, col gruzzolo che è riuscito a racimolare, se ne torna a casa sua, a Zoppè di Cadore, ai piedi del “Caregon del Padreterno”, il Pelmo, quella maestosa montagna che domina la val Zoldana. È tempo di muoversi anche quell’anno, il 1892, ma stavolta Paolino preferisce ritardare un po’ la partenza perché vuole veder nascere suo figlio che, puntualmente, viene al mondo il 10 di marzo. Prima di andarsene, però, c’è da battezzare la creatura, ed allora con Maria e qualche parente, va su a Sant’Anna, alla vecchia chiesa di Bortolot dove il parroco, versando l’acqua sulla testa di suo figlio, gli impone il nome di Giuseppe.
Con l’andare del tempo il mestiere di Paolino si evolve, perché qualcuno nella sua valle ha cominciato a far gelati e così anche lui, acquisita l’arte, modifica il suo carretto e si adegua alla novità. Quando viene l’estate, a scuola finita, Giuseppe e suo fratello Marino sono ben contenti di partire anche loro a “fare la stagione”, per dare una mano a spingere il carretto ed imparare il mestiere, ma più che altro per vedere posti nuovi, gente diversa, e perfino il mare. Per cambiare, qualche volta attraversano il passo Cibiana o la forcella Ciandolada e da lì possono proseguire per il Cadore fino all’estero, in Austria.
Giuseppe si è già messo in proprio quando lo chiamano militare ed il 4 febbraio del 1913 deve mollare tutto per presentarsi in caserma a Pieve di Cadore. Fra istruzioni, marce e turni di guardia, resta lì per nove mesi, ma quando sente che c’è la possibilità di fare dell’altro, il suo istinto di girovago lo spinge ad accettare la proposta di andare a Milano a prestar servizio nella Legione dei Carabinieri Reali. Sette mesi da gendarme possono bastare, ed allora l’8 luglio del ‘14 rientra al battaglion Cadore e poi se ne torna a casa sua. I tempi però son quel che sono, e così dopo dieci mesi lo richiamano alle armi, perché intanto è scoppiata la guerra.

La Grande Guerra

Giuseppe viene assegnato alla 96ª compagnia e già dai primi giorni di guerra viene mandato di pattuglia, una volta addirittura dietro le linee degli austriaci, giù fino alla piana di Landro. Poi sale sul Monte Piana dove vengono sparate le prime fucilate e cadono i primi proiettili d’artiglieria, quindi, dalle parti delle Tre Cime di Lavaredo, tra il 6 ed il 7 di luglio assiste all’incendio del rifugio Zsigmondy. Risalita sul Monte Piana assieme ai fanti del 55° e del 56° fanteria Marche, dal giorno 15 la 96ª compagnia del Cadore occupa la maggior parte del pianoro Sud da dove, nelle successive giornate, tenta ripetutamente di attaccare le posizioni austriache del pianoro Nord, il Monte Piano. Per il 20 di luglio è previsto l’assalto che, secondo gli intenti dell’Alto Comando, dovrebbe essere quello decisivo. Prima di avanzare si deve procedere alla distruzione degli impedimenti collocati dagli austriaci a difesa della loro linea di resistenza, e verso mezzanotte anche Giuseppe si avvia con il reparto dei guastatori verso le file dei reticolati. Gli esploratori, prudentemente e senza farsi scorgere, riescono a collocare sotto il filo spinato i tubi di gelatina. La notte è buia e l’operazione procede con cautela per non far sorgere allarme. Alle 3 di mattina, finalmente, esplodono i tubi che squarciano qua e là i reticolati. Una squadra austriaca, che tenta di levare alcuni tubi già in posizione, è dilaniata dagli scoppi. Giuseppe, incaricato di cercare e distruggere eventuali trappole esplosive, per la sua abilità verrà più tardi premiato con una croce di guerra. Verso l’alba ha inizio l’assalto dei fanti e degli alpini che, superate le difese, conquistano alla baionetta i primi trinceramenti nemici e catturano numerosi prigionieri. L’attacco procede e vengono conquistate anche la seconda e la terza linea di difesa. Allora, d’improvviso e all’unisono, le artiglierie avversarie aprono il fuoco; quelle italiane controbattono, ma inefficacemente. Dopo mezz’ora di fuoco micidiale, alpini e fanti sono costretti a ritirarsi e verso le 6:30 a ripiegare sulle posizioni da dov’erano partiti.
Tra il 15 e il 20 di luglio la 96ª compagnia perde un centinaio di uomini tra morti, feriti e dispersi. Giuseppe è tra gli scampati e, nonostante tutto, come gli altri suoi compagni conserva alto lo spirito cimentandosi ancora nelle altre azioni che si susseguono ai piedi delle Tre Cime, al Sexten Stein, nella conca dei Laghetti Böden e sul Monte Cristallo.

Rispondendo ancora una volta alla sua indole di ambulante, il 19 gennaio del 1916 Giuseppe accetta di passare al battaglione Val d’Adige del 6° Alpini, impiegato in quel periodo tra il Monte Zugna e la propagine settentrionale del Lago di Garda. Il 31 marzo è fatto caporale e dal 15 maggio partecipa alle azioni di resistenza all’offensiva austriaca sugli altopiani. A settembre è sul Monte Pasubio ed a fine anno, passando alle dipendenze della 20ª Divisione, con la sua compagnia raggiunge l’altipiano di Asiago, al Monte Cengio, per eseguire lavori di sistemazione e rafforzamento della prima linea. All’inizio del nuovo anno è in Val d’Astico e vi resta fino al 23 agosto del 1917 quando il battaglione viene trasferito sulla Bainsizza per essere impiegato nei combattimenti dell’XI battaglia dell’Isonzo per attaccare i costoni del Veliki Vrh, a sud di Siroka Njiva. Per aver dimostrato competenza e coraggio, il 15 settembre del 1917 Giuseppe Zanettin viene promosso caporalmaggiore. Il 24 ottobre ha inizio l’offensiva austro-tedesca che porta alla rottura del fronte isontino ed alla conseguente ritirata dell’esercito italiano. Dopo aver opposto resistenza al nemico sul Monte Natpriciar, dalle parti di Drenchia, e successivamente sul Napour, ciò che rimane del battaglione Val d’Adige (6 ufficiali e circa 30 uomini) è costretto ad arretrare. Il 4 novembre, a Spresiano, gli alpini si uniscono ai resti del X Gruppo con i quali continuano la marcia giungendo il 10 novembre a Cervarese S. Croce e quindi a Solagna da dove, rinforzati con complementi sbandati di altre unità, sono destinati allo sbarramento di val Manara (Col Moschin). A dicembre, disceso a Valstagna, nella valle del Brenta, il battaglione viene impiegato sul Cornone ed alla testata di val Valicella dove il 19 dicembre Giuseppe viene catturato. Dopo undici mesi di prigionia in Germania, viene liberato il 19 novembre del 1918 ed è inviato al campo di Suzzara, in provincia di Mantova dove, dopo i rituali interrogatori, gli concedono la licenza illimitata.

Il dopoguerra

Per “esigenze di carattere eccezionale” Giuseppe viene però richiamato alle armi, ed all’età di 48 anni - il 6 giugno del 1940 - lo assegnano alla 443ª coorte territoriale mobile della 43ª Legione da Montagna Piave, e fino al dicembre dello stesso anno svolge servizi di frontiera e di pubblica sicurezza. Cessati i suoi obblighi militari, Giuseppe riprende volentieri il suo lavoro di gelatiere emigrando, come molti altri suoi conterranei, in Germania dove passa il resto della sua vita tornando di tanto in tanto alla sua Val di Zoldo.