Secondo attacco italiano al Roteck ed alla Schöntalhöhe
6 Settembre 1915
Nel tratto di fronte tra il Seikofel (Monte Covolo) ed i Frugnoni erano schierati 6 battaglioni (24 compagnie) italiani.
I tubi di gelatina ottennero alcuni successi parziali che danno il via libera alle 5 all'avanzata delle colonne verso il Roteck (Monte Rosso) e la Schöntalhöhe. Dal lato austriaco, tutto il settore di combattimento è sotto il comando del t.col. tedesco Von Epp che ha a disposizione:
* Lato Ovest: 1 plotone della 20ª compagnia ciclisti
* Lato Sud (ten. Luksch): 1 plotone della 20ª ciclisti ed 1 della 29ª con 2 mitragliatrici
* Lato Est (ten. Gallian): 1 plotone della 20ª, 1 della 29ª ed una mitragliatrice
* Avamposto Sarre: 27 standschützen
* Sella Cinese: 17 standschützen ed 8 ciclisti
Il 30 agosto alla brigata Marche in Auronzo si presentava il comandante d'Armata, gen. Nava; in seguito a questa visita, il 55° veniva assegnato alla nuova operazione affidata al gen. Ferrero (comandante della brigata Basilicata) e scese ad accamparsi in Valle di S. Valentino.
Al comando del III viene assegnato il magg. Belmonte (I° capitano del 56°, che si era distinto nell'azione dei Laghi dei Piani).
L'obiettivo del battaglione era occupare la Schöntalhöhe da q.2367 a q.2630.
A destra, il I/55° doveva occupare l'Eisenreich da q.2653 a q.2665.
A sinistra il III/92° doveva occupare il fronte compreso tra q.2375 e q.2593 e poi dirigere mezza compagnia sul rovescio della Schöntalhöhe per facilitare il compito del III/55°.
A destra del I/55°, il III/91° doveva occupare Cima Frugnoni (da q.2544 a q.2620 esclusa).
Un battaglione per ciascun reggimento era di rincalzo sulla Cresta di Vallorera col comando reggimentale, così che tra i rincalzi e la linea da attaccare c'era tutto il bacino dell'Alta Val Padola (4 ore di cammino su terreno scoperto e battuto).
Sulla sinistra della Basilicata, la brigata Ancona (69° e 70° reggimento) doveva attaccare la linea Burgstall (Castelliere) - Seikofel (Monte Covolo).
A partire dal 1 settembre iniziano a rombare i grossi calibri italiani. Per i tre giorni successivi i colpi si susseguono ad intervalli sempre più brevi, cercando e battendo i ripari di tutta la cresta austriaca. L'attacco è inizialmente progettato per il 4, ma le condizioni meteo non sono favorevoli per cui viene rimandato di due giorni; nonostante le condizioni non siano migliorate, l'attacco non può più essere rimandato. Il giorno 4 settembre il magg. Belmonte conduce ufficiali e sottufficiali sulla Cresta di Vallorera per mostrare loro la parete da risalire e le varie quote da raggiungere. L'ordine d'operazioni del 55° prescriveva:
"[...] oltrepassato il Padola, formassero le colonne di attacco (3 linee) schierandosi per ala e destinando poi, quando lo ritenessero opportuno, le Compagnie per l'assalto dei vari punti del fronte loro assegnato.
[...]
Ogni colonna di attacco avrà una "testa di colonna" di pochi uomini, composta di esploratori e di elementi scelti di ogni Compagnia. In ogni battaglione le "teste di colonna di attacco" delle quattro Compagnie saranno munite, rispettivamente, quelle alle ali di due tubi di gelatina ciascuna, quelle interne di un tubo. I reparti di seconda linea saranno muniti di un tubo ciascuno. In totale 10 tubi per ciascun battaglione. Pel trasporto ed impiego dei tubi, ogni battaglione avrà un gruppo di dieci squadre, una per tubo. Il gruppo del I battaglione sarà comandato dal sottotenente del Genio sig. Canavatto; il gruppo del III dal sottotenente del Genio sig. Bailo. Ogni squadra non potrà avere dalla Compagnia del Genio che un caposquadra (caporale o soldato) e due soldati, od anche soltanto un soldato, di modo che, occorrendone sei pel trasporto ed impiego di ogni tubo, bisogna che i battaglioni provvedano a destinare gli altri quattro o cinque mancanti. In totale ogni battaglione dovrà destinare 43 soldati per lo scopo suddetto. Per le ore 16 di oggi (5 settembre) ogni battaglione farà trovare presso la polveriera di Coltrondo i 43 uomini destinati in ausilio a quelli del Genio, per essere ivi divisi nelle diverse squadre. I battaglioni passando poi da Casera Coltrondo (il III) e da Casera Rinfreddo (il I), cureranno che le dette squadre si uniscano al battaglione."
I complicati preparativi dell'attacco occuparono tutta la giornata del 5 settembre; le varie colonne partirono da Valle di S. Valentino al buio del tramonto ma si scontrarono e si confusero; il III/55° giunse alla Cresta di Vallorera al varco per il quale doveva passare con un'ora di ritardo e senza i tubi di gelatina del s.ten. Bailo. Il comando viene allora affidato al comandante della 10ª (ten. Meneghetti) che tra le 22 e le 4, esposte al buio ed alla tramontana, porta tutte e 3 (4 secondo Tosato) le compagnie del III/55° con le teste di colonna al reticolato austriaco. Ma vengono qui accolti da 60 standschützen del battaglione Silz al comando del ten. Hildebrandt (del battaglione ciclisti): questi tra le 7 e le 8 respinsero l'attacco italiano che lascia sul campo 30 morti e 60 prigionieri. Dopo la ritirata delle fanterie, l'artiglieria italiana bombarda la zona, ma i tiri risultano troppo corti e colpiscono le truppe italiane in ritirata.
Sul Roteck i due battaglioni d'attacco raggiungono i reticolati al buio. Forti nuclei procedono per la valle del Pullbach puntando sulla China Sattel (Sella Cinese). Riescono a sopraffare gli ungheresi e piazzano una mitragliatrice tra il Roteck e il Demut, ma alle 10 devono abbandonare la posizione colpiti dai tiratori appostati sulla Schöntalhöhe e da un cannone spostato sul Demut che sparava da meno di 400 metri.
"E' rimasto lassù, solo, vivo fra tanti morti e libero sempre, un soldato stupendo, Angelo Arbasi, medaglia d'oro. Mentre tagliava i reticolati nemici è stato ferito ad un braccio; ha veduto cadere, vicino, il tenente; pronto, ha atterrato l'uccisore; è balzato all'assalto della trincea sovrastante; ferito ancora due volte, si è ancora disperatamente lanciato più oltre, penetrando in un'altra trincea, uccidendo i difensori; si è spostato in un'altra, e ha continuato per ore e ore a far fuoco; ha veduto i superstiti del suo battaglione ridiscendere a valle, ed è rimasto ancora lassù ... Quando caleranno le ombre della sera anche lui scenderà, solo solo."
Contro la Äussere Sarre si lanciano inutilmente masse di italiani respinti dagli Standschützen di Silz (che per la maggior parte erano ottimi tiratori).
Tra la Schöntalhöhe el'Eisenreich un gruppo di fanti nella notte ha raggiunto una insellatura del crinale, è riuscito a penetrare nella trincea austriaca ed a piazzarci una mitragliatrice; ma gli austriaci vi puntano contro 2 cannoni e la distruggono in breve tempo.
Sull'Eisenreich l'attacco è meno violento, ma il battaglione destinato all'attacco si è perso nel buio; solo un esiguo gruppo è riuscito a giungere a breve distanza dai reticolati. Viene scorto e costretto a rifugiarsi in un avvallamento. Ricorda un comandante austriaco (Pöltzleitner):
"Da lì potevamo dominare di fianco tutto il terreno dell'attacco. Una dozzina di italiani stavano rannicchiati a terra dietro una roccia affiorante. La prima granata oltrepassò di poco il bersaglio. Nel gruppo nessun movimento. La seconda cadde un po' troppo corta. E il gruppo, fermo. La terza colpì in pieno il bersaglio. Si videro corpi roteare nell'aria. E gli altri sempre fermi. Fu solo allora che ci rendemmo conto che quei dodici uomini erano già morti da tempo ..."
Il cannone non ha più bersagli sull'Eisenreich, per cui si può dirigere a destra, a battere i resti degli italiani sul Roteck.
Sulla cresta dei Frugnoni, tre plotoni di fanti riescono a giungere a 70 metri dal crinale ma non trova nessun varco nei reticolati e sono distrutti dalle bombe a mano e da un lanciamine.
Sulle pendici di Cima Vanscuro, dove la lotta dura dalle 5 alle 8, sostenuta dai pezzi del Col Rosson, gli italiani, pur indietreggiando riescono a scavare delle rudimentali trincee a circa 300 metri dalla linea austriaca. Ma un plotone di austriaci si lancia di sorpresa su un rilievo al di sopra della improvvisata linea italiana e, defilato al tiro dei cannoni italiani, la stermina.
Così sintetizza gli attacchi il Berti:
"Ai primi barlumi dell'alba gli austriaci, al sicuro riparo delle trincee profondamente scavate nel sasso, scorgono poco davanti, tra i reticolati, figure umane che strisciano caute: sono i minatori del genio, che postano i tubi esplosivi e tagliano i fili, e si attardano a compiere intera la loro pericolosissima mansione. E scorgono, al di là dei reticolati che si stendono in linea fitta e continua, una larga fascia vivente; sono i fanti delle brigate Basilicata e Ancona che avanzano in silenzio, carponi, strisciando, cercando con l'occhio ogni più minuta asperità del terreno, pronti a balzarvi, a cercarvi protezione al primo sparo. Salgono, cauti ma decisi: e sanno che poco più su è l'olocausto. Gli austriaci attendono che la marea umana raggiunga il labirinto spinato; poi d'improvviso, fanno fuoco tutti ad un tempo. Si sentono talmente sicuri nei loro profondi ripari che, qua e là, cantano in coro."
Ricorda invece un ufficiale austriaco:
"Dritti in piedi nelle trincee, scagliamo la morte nell'aurora. Qualunque cosa si muova è colpita. Orribile assassinare così; tanto più orribile in quanto non un grido di dolore si ode, e gli assalitori si abbattono muti.[...] A righe intere gli italiani si abbattono, si risollevano, balzano indietro, corrono verso gli alberi. [...] Alle sette del mattino è tutto finito. E' finito un episodio profondamente, spaventosamente impressionante, è finita la danza della morte sulla Cresta Carnica."
Tutti i battaglioni ridiscesero al Padola, mentre il III/55° ricevette l'ordine di ripiegamento solo al tramonto. Tra i feriti in questa azione si ricordano il s.ten. Alfieri (che poi morirà in Francia nel 1918), il pattugliere della 10ª caporal maggiore Boido ed il serg. Basei (capo della 16ª squadra della 10ª) che venne inutilmente cercato per le 2 notti successive.
L'attacco italiano contro l'ala sud viene respinto grazie al fondamentale apporto della batteria 8 di cannoni da montagna che trattiene e respinge la compagnia italiana di riserva.
Verso le 5 il Roteck viene colpito dalle mitragliatrici italiane da est e da dietro (cade il ten. Obst e viene gravemente ferito il ten. Lerch, per cui il comando passa al ten. Luksch): un plotone italiano era infatti riuscito a portarsi sopra la Sella Cinese sulla dorsale tra il Roteck e la Diemut (La Mutta). A questo punto metà della 6ª compagnia bavarese al comando del ten. Schumann passa al contrattacco e con l'aiuto di 7 lanciabombe respinge definitivamente i 2 battaglioni italiani.
In totale l'azione costò agli italiani 672 tra morti e dispersi e 598 feriti, mentre da parte austriaca si registrarono appena 47 tra morti e feriti, a maggior riprova di quanto affermò un ufficiale austriaco:
"Voi potete arrivare a Trento e Trieste, ma queste posizioni non riuscirete mai a farle vostre!"
Nei giorni seguenti la battaglia, il 55° venne ritirato e trasferito a riposo in val Padola (il comando, il II ed il III al bivio per valle S. Valentino, il I al bivio per Valgrande, carreggio e salmerie a Padola).
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