Berti Antonio
Tenente Medico
7° Alpini, 267ª cp. battaglione Val Piave
Nato il 17 gennaio 1882 a Venezia
Morto l'8 dicembre 1956 a Padova
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Prima della guerra
Lo avevano chiamato Antonio in ricordo del nonno paterno che era stato sindaco di Venezia e nel
1876, appena due anni prima di morire, aveva ottenuto la nomina a senatore del Regno. Anche suo
nonno materno, Francesco Ferrara, era stato senatore, oltre che docente di economia politica a
Torino e Pisa, e da buon palermitano aveva strenuamente sostenuto l'autonomia della sua Sicilia
dopo l'impresa del Mille.
Come altre benestanti famiglie veneziane, anche quella dei Berti amava trascorrere un periodo di
villeggiatura all'ombra delle cime dolomitiche. A Cortina, all'età di diciassette anni, Antonio
ebbe così l'occasione di incontrare altri ragazzi, veneziani come lui, coi quali iniziò ad esplorare
i magnifici dintorni della "Perla delle Dolomiti". Era l'estate del 1899, ed assieme a Giovanni
Chiggiato ed ai fratelli Marco e Benno Geiger, Antonio mise, per la prima volta in vita sua, le
mani sulla roccia salendo le pareti del Cristallo. Tale fu la sua soddisfazione che volle subito
ripetere quell'inebriante esperienza ed imparare ancor meglio l'arte di arrampicare. Ebbe la
fortuna, nella stessa estate, di incontrare da quelle parti il famoso alpinista Orazio de Falkner
che accettò volentieri di fargli da guida, e la Croda da Lago divenne la fucina dove il "vecchio"
forgiò il talento del "ragazzo". Negli anni successivi Berti scalò una ad una tutte le principali
cime ampezzane, senza però rubare troppo tempo ai suoi studi universitari. A Padova si laureò,
puntualmente ed a pieni voti, dottore in medicina e subito dopo accettò il suo primo incarico, come
medico per villeggianti, al Pian delle Fugazze, ai piedi del Pasubio. Lì ebbe l'occasione di
conoscere il pittore Luigi Tarra e due giovani sposi, Maria e
Gino Carugati, coi quali fece subito
amicizia grazie alla comune passione per la montagna. In seguito condivise con loro, in molte
occasioni, il piacere di salire le cime del Cadore e il loro entusiasmo finì ben presto col
contagiare molti altri giovani.
Nel 1908 comparve, sugli scaffali delle librerie, un volumetto di 116 pagine fitte di storie di
uomini e montagne: era la prima "Guida delle Dolomiti del Cadore" che Antonio Berti dedicava alle
sue cime. Tale fu il successo di quel primo libretto che nel 1910, in occasione dell'inaugurazione
del rifugio Padova, gli venne chiesto di realizzare una guida che descrivesse, in particolare, le
Dolomiti della Val Talagona.
Nel 1914 Antonio Berti sposò la contessina Maria Suman di Padova e, tanto per non smentirsi, la
portò in viaggio di nozze alla conquista della Torre Wundt sui Cadini di Misurina. Alle soglie del
conflitto mondiale, tutte le accurate descrizioni ed i minuziosi disegni delle vie dolomitiche che
Berti andava raccogliendo, divennero preziose anche per lo Stato Maggiore che, su quelle montagne,
stava predisponendosi alla guerra.
La Grande Guerra
Quando venne l'ora, anche Berti si arruolò come volontario tra
gli Alpini del battaglione Val Piave e la sua esperienza di scalatore, unita alla perfetta
conoscenza dei luoghi, venne subito messa a frutto: distogliendolo temporaneamente dai suoi impegni
di ufficiale medico, gli venne affidata l'organizzazione dei lavori per installare un grosso faro
sulla Cima Grande di Lavaredo. Il posto di primo soccorso era situato ai piedi delle Tre Cime e
poco distante Berti aveva montato la sua tenda, proprio a ridosso della Cima Piccolissima. Mentre
curava i compagni feriti, ascoltava da loro il racconto delle molte battaglie che si stavano
svolgendo tutt'attorno, fra le crode di Lavaredo, sul Monte Piana, sul Popera, sulla Croda Rossa e
Cima Undici. Finita la guerra, Berti riporterà quelle testimonianze sulle pagine di numerosi libri
nei quali la fredda cronaca degli avvenimenti sarà sempre accompagnata dal calore umano dei
protagonisti ("Guerra per crode", "Guerra in Cadore", "Storia dei battaglioni Val Piave e Antelao",
seguiti più tardi da "Storia dei volontari cadorini" e "Crode contro crode"). Degli eventi bellici
Berti fu cronista e spesso protagonista. Curò, tra l'altro, l'alpino De
Luca ferito nello scontro con la pattuglia di Sepp Innerkofler
e si prese cura di mandare un suo attendente di sanità, Angelo Loschi,
a dare degna sepoltura al corpo di Innerkofler che giaceva fra le rocce del camino Oppel.
Dopo la guerra
Finita la guerra, Berti lavorò per un certo tempo come libero docente in fisiologia umana, patologia
medica e clinica medica, diventando quindi primario all'ospedale di Vicenza dove esercitò per più
di trent'anni. Risiedeva in quella città già da tempo e nel 1908 era stato il primo vicentino ad
essere ammesso al Club Alpino Accademico Italiano.
Nel 1928 arrivò in libreria un volumetto tascabile, composto da fogli sottili rilegati in tela,
ricco di itinerari, descrizioni di vie d'arrampicata, aneddoti e storie vissute: era la seconda
edizione della "Guida", il prototipo di tutte le altre che usciranno in seguito sia in Italia che
all'estero.
Durante la seconda guerra mondiale Berti venne fortemente colpito dalla morte di suo figlio Sandro,
ufficiale d'artiglieria ucciso dalla Ghestapo, ma ancora una volta il suo amore per le montagne gli
servì d'aiuto per superare il difficile momento. Si immerse nella lettura dei versi e dei brani coi
quali, poeti e scrittori d'ogni epoca, avevano celebrato l'incanto della montagna. Li raccolse poi
in un libro dalle cui pagine sembrava uscisse davvero la voce delle crode e lo intitolò "Parlano i
monti". Nella primavera del 1947, per il comune interesse di 19 Sezioni del CAI, prese vita la
rivista "Le Alpi Venete", ma Antonio Berti, pur sostenendo l'iniziativa, non volle impegnarsi in
prima persona. La direzione della testata fu affidata a suo figlio Camillo ed Antonio Berti
collaborò con articoli ed editoriali che, per sua scelta, furono talvolta pubblicati in forma
anonima. Considerato che anche la seconda edizione della "Guida" era ormai esaurita da molti anni,
e che non era più possibile contenere in un unico testo tutti gli opportuni aggiornamenti, Berti
dette l'incarico ad Ettore Castiglioni di perfezionare la parte relativa alle Alpi del confine
carnico-cadorino e a Giovanni Angelini quella riguardante le Dolomiti zoldane e bellunesi. Berti
tenne per sé la revisione dei capitoli riferiti alle cime del Cadore, dell'Ampezzano e della Val di
Sesto, lasciando ai suoi figli la pubblicazione della guida dei monti in sinistra Piave, dal passo
Mauria fino alla pianura.
Dal 1954 Antonio lasciò la sua casa di Vicenza ed andò ad abitare a Padova assieme a suo figlio
Tito. Due anni dopo, all'età di 74 anni, lo spirito di Berti poté finalmente vagare libero tra le
montagne. Il corpo venne sepolto a Venezia, sua città natale, nel cimitero dell'isola di San
Michele.
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Nato il 17 gennaio 1882 a Venezia
Morto l'8 dicembre 1956 a Padova
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Prima della guerra
Lo avevano chiamato Antonio in ricordo del nonno paterno che era stato sindaco di Venezia e nel 1876, appena due anni prima di morire, aveva ottenuto la nomina a senatore del Regno. Anche suo nonno materno, Francesco Ferrara, era stato senatore, oltre che docente di economia politica a Torino e Pisa, e da buon palermitano aveva strenuamente sostenuto l'autonomia della sua Sicilia dopo l'impresa del Mille.Come altre benestanti famiglie veneziane, anche quella dei Berti amava trascorrere un periodo di villeggiatura all'ombra delle cime dolomitiche. A Cortina, all'età di diciassette anni, Antonio ebbe così l'occasione di incontrare altri ragazzi, veneziani come lui, coi quali iniziò ad esplorare i magnifici dintorni della "Perla delle Dolomiti". Era l'estate del 1899, ed assieme a Giovanni Chiggiato ed ai fratelli Marco e Benno Geiger, Antonio mise, per la prima volta in vita sua, le mani sulla roccia salendo le pareti del Cristallo. Tale fu la sua soddisfazione che volle subito ripetere quell'inebriante esperienza ed imparare ancor meglio l'arte di arrampicare. Ebbe la fortuna, nella stessa estate, di incontrare da quelle parti il famoso alpinista Orazio de Falkner che accettò volentieri di fargli da guida, e la Croda da Lago divenne la fucina dove il "vecchio" forgiò il talento del "ragazzo". Negli anni successivi Berti scalò una ad una tutte le principali cime ampezzane, senza però rubare troppo tempo ai suoi studi universitari. A Padova si laureò, puntualmente ed a pieni voti, dottore in medicina e subito dopo accettò il suo primo incarico, come medico per villeggianti, al Pian delle Fugazze, ai piedi del Pasubio. Lì ebbe l'occasione di conoscere il pittore Luigi Tarra e due giovani sposi, Maria e Gino Carugati, coi quali fece subito amicizia grazie alla comune passione per la montagna. In seguito condivise con loro, in molte occasioni, il piacere di salire le cime del Cadore e il loro entusiasmo finì ben presto col contagiare molti altri giovani.
Nel 1908 comparve, sugli scaffali delle librerie, un volumetto di 116 pagine fitte di storie di uomini e montagne: era la prima "Guida delle Dolomiti del Cadore" che Antonio Berti dedicava alle sue cime. Tale fu il successo di quel primo libretto che nel 1910, in occasione dell'inaugurazione del rifugio Padova, gli venne chiesto di realizzare una guida che descrivesse, in particolare, le Dolomiti della Val Talagona.
Nel 1914 Antonio Berti sposò la contessina Maria Suman di Padova e, tanto per non smentirsi, la portò in viaggio di nozze alla conquista della Torre Wundt sui Cadini di Misurina. Alle soglie del conflitto mondiale, tutte le accurate descrizioni ed i minuziosi disegni delle vie dolomitiche che Berti andava raccogliendo, divennero preziose anche per lo Stato Maggiore che, su quelle montagne, stava predisponendosi alla guerra.
La Grande Guerra
Quando venne l'ora, anche Berti si arruolò come volontario tra gli Alpini del battaglione Val Piave e la sua esperienza di scalatore, unita alla perfetta conoscenza dei luoghi, venne subito messa a frutto: distogliendolo temporaneamente dai suoi impegni di ufficiale medico, gli venne affidata l'organizzazione dei lavori per installare un grosso faro sulla Cima Grande di Lavaredo. Il posto di primo soccorso era situato ai piedi delle Tre Cime e poco distante Berti aveva montato la sua tenda, proprio a ridosso della Cima Piccolissima. Mentre curava i compagni feriti, ascoltava da loro il racconto delle molte battaglie che si stavano svolgendo tutt'attorno, fra le crode di Lavaredo, sul Monte Piana, sul Popera, sulla Croda Rossa e Cima Undici. Finita la guerra, Berti riporterà quelle testimonianze sulle pagine di numerosi libri nei quali la fredda cronaca degli avvenimenti sarà sempre accompagnata dal calore umano dei protagonisti ("Guerra per crode", "Guerra in Cadore", "Storia dei battaglioni Val Piave e Antelao", seguiti più tardi da "Storia dei volontari cadorini" e "Crode contro crode"). Degli eventi bellici Berti fu cronista e spesso protagonista. Curò, tra l'altro, l'alpino De Luca ferito nello scontro con la pattuglia di Sepp Innerkofler e si prese cura di mandare un suo attendente di sanità, Angelo Loschi, a dare degna sepoltura al corpo di Innerkofler che giaceva fra le rocce del camino Oppel.Dopo la guerra
Finita la guerra, Berti lavorò per un certo tempo come libero docente in fisiologia umana, patologia medica e clinica medica, diventando quindi primario all'ospedale di Vicenza dove esercitò per più di trent'anni. Risiedeva in quella città già da tempo e nel 1908 era stato il primo vicentino ad essere ammesso al Club Alpino Accademico Italiano.Nel 1928 arrivò in libreria un volumetto tascabile, composto da fogli sottili rilegati in tela, ricco di itinerari, descrizioni di vie d'arrampicata, aneddoti e storie vissute: era la seconda edizione della "Guida", il prototipo di tutte le altre che usciranno in seguito sia in Italia che all'estero.
Durante la seconda guerra mondiale Berti venne fortemente colpito dalla morte di suo figlio Sandro, ufficiale d'artiglieria ucciso dalla Ghestapo, ma ancora una volta il suo amore per le montagne gli servì d'aiuto per superare il difficile momento. Si immerse nella lettura dei versi e dei brani coi quali, poeti e scrittori d'ogni epoca, avevano celebrato l'incanto della montagna. Li raccolse poi in un libro dalle cui pagine sembrava uscisse davvero la voce delle crode e lo intitolò "Parlano i monti". Nella primavera del 1947, per il comune interesse di 19 Sezioni del CAI, prese vita la rivista "Le Alpi Venete", ma Antonio Berti, pur sostenendo l'iniziativa, non volle impegnarsi in prima persona. La direzione della testata fu affidata a suo figlio Camillo ed Antonio Berti collaborò con articoli ed editoriali che, per sua scelta, furono talvolta pubblicati in forma anonima. Considerato che anche la seconda edizione della "Guida" era ormai esaurita da molti anni, e che non era più possibile contenere in un unico testo tutti gli opportuni aggiornamenti, Berti dette l'incarico ad Ettore Castiglioni di perfezionare la parte relativa alle Alpi del confine carnico-cadorino e a Giovanni Angelini quella riguardante le Dolomiti zoldane e bellunesi. Berti tenne per sé la revisione dei capitoli riferiti alle cime del Cadore, dell'Ampezzano e della Val di Sesto, lasciando ai suoi figli la pubblicazione della guida dei monti in sinistra Piave, dal passo Mauria fino alla pianura.
Dal 1954 Antonio lasciò la sua casa di Vicenza ed andò ad abitare a Padova assieme a suo figlio Tito. Due anni dopo, all'età di 74 anni, lo spirito di Berti poté finalmente vagare libero tra le montagne. Il corpo venne sepolto a Venezia, sua città natale, nel cimitero dell'isola di San Michele.
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