Bonelli Costanzo
Cappellano Militare
7° Alpini, battaglione Val Cordevole
Nato il 28 luglio 1880 a Vallada (BL)
Morto per valanga il 9 marzo 1916 loc. Fuchiade (Passo S. Pellegrino)
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Abramo Bonelli, muratore della Val del Biois, per mantenere la famiglia è costretto, come tanti
altri di quelle parti, ad emigrare. Sua moglie, Arcangela Ronchi, lo attende a casa sforzandosi di
arrotondare le magre entrate famigliari governando le poche bestie che tiene nella stalla e
scarpinando, piegata sotto la gerla, per procurare foraggio e legna, e raccogliere gli scarsi
prodotti che gli vengono dall'orto piantato sulla riva vicino a casa, a Vallada. É passato ormai
qualche mese da quando suo marito è partito, ancora una volta, per lavorare lontano, faticando
tutto il santo giorno in qualche cantiere per tornare la sera in una baracca da condividere con
altri poveracci come lui. Abramo non è un "ciàpa e magna"[1], lui risparmia fino all'ultimo
centesimo per spedirlo all'Arcangela che nell'estate del 1880 è ormai prossima al parto. Anche lei
non molla e continua le sue faccende sino all'ultimo fin quando, il 28 di luglio, aiutata dalle
vicine di casa, mette al mondo il suo bambino. Il giorno dopo un'anziana parente si reca da Michele
Tissi, il segretario comunale di Vallada, a denunciare la nascita di quel figliolo e la domenica
successiva, alla Mansioneria di San Simon, don Vincenzo Casaril lo battezza imponendogli i nomi che
Abramo e Arcangela hanno già deciso da qualche tempo: Costanzo e Nazario.
Il bambino cresce ed appena possibile comincia a dare una mano a sua madre nel lavoro dei campi e
nello star dietro alle bestie che sono tutto il patrimonio di famiglia. Intanto frequenta con
profitto le scuole elementari e poco a poco, col passare degli anni, si persuade della sua
vocazione al sacerdozio. Non più giovanissimo lascia la Val del Biois ed a Belluno entra in
Seminario dove, con un certo sacrificio, ma con caparbietà, s'impegna negli studi. Finalmente,
all'età di trentadue anni, il 14 luglio del 1912, Costanzo Bonelli viene ordinato Sacerdote e nel
Duomo di Belluno può celebrare la sua prima Messa. Ad una decina di chilometri, nella parrocchia di
Sedico, l'Arciprete don Giuseppe Belli ha bisogno di aiuto per sostenere i suoi numerosi impegni e
don Costanzo viene mandato a dargli una mano come cooperatore. A Sedico don Costanzo bada
principalmente ai giovani: li tiene impegnati col catechismo e nell'oratorio di Santa Maria
organizza un piccolo doposcuola, giochi e qualche attività sportiva. La chiesa si affaccia sulla
strada per Agordo e don Costanzo, ai primi di maggio del 1915, vede passare le fanterie che si
recano al confine. La guerra non piace a nessuno, tanto meno a Don Costanzo, ma quando da lì a poco
Monsignor Angelo Bartolomasi[2] chiama al loro dovere i cappellani militari, lui non si tira
indietro. Col grado di tenente viene assegnato al battaglione alpini "Val Cordevole" ed alla fine
di giugno si presenta al suo comandante, il capitano
Magnaghi. Le compagnie sono allora accampate a
Fedaia e in parte a Fuchiade[3], in vista di quella magnifica montagna che Don Costanzo già conosce
e che ben si merita il titolo di "Regina delle Dolomiti": la Marmolada. È un periodo di discreta
calma su quel fronte e gli alpini, quasi tutti montanari della zona, sono impegnati a costruire
strade, apprestamenti difensivi, posti di vedetta e piazzole per l'artiglieria. Don Costanzo parla
il loro stesso dialetto e col suo buon carattere sa farsi ben presto apprezzare da tutti, alpini ed
ufficiali, compreso quel certo capitano Andreoletti[4] che, per la sua indole autoritaria, gli
alpini hanno soprannominato "el padreterno".
Tranne alcuni episodi per l'occupazione della forcella tra Cima Uomo e Cima Ciadin, e gli
immancabili colpi dell'artiglieria austriaca che mirano a demolire il lavoro degli alpini, il fatto
più clamoroso di quei giorni, e per il quale gli alpini non nascondono un certo compiacimento, è la
distruzione della Contrin Haus: il 6 settembre, pochi tiri ben assestati, sparati da una batteria
italiana che poi si saprà essere quella del tenente De
Gennaro, sono bastati a demolire il rifugio e i baraccamenti del comando austriaco.
Il 10 ottobre il capitano Magnaghi passa il comando del battaglione al maggiore
Olivo Sala, un cadorino di Borca col quale Don Costanzo entra subito in
confidenza. L'inverno è alle porte e la prima neve è già scesa a ricoprire ogni cosa. Ciò nonostante, gli
alpini sono impegnati in vari scontri sulle Creste di Costabella, sul Mesola, ai Passi Ombretta e
Ombrettola. Don Costanzo conta i suoi "bravi fiòi" quando partono "... uno dietro l'altro, in processione
votiva al dio della guerra, nastro grigio che avanza nella neve passo dopo passo ..." e li accompagna col
pensiero "... serrando i denti come per dar più forza alle anime che lassù combattono ..." e per quelli
che, al ritorno, non rispondono all'appello "... i denti si disserrano e l'anima va giù floscia". Col
cuore gonfio di compassione Don Costanzo benedice quelle giovani spoglie e scrive alle famiglie qualche
parola di consolazione, un po' meno arida del solito telegramma ufficiale.
Nevica ancora e le temperature si abbassano fino a toccare i 30 gradi sotto zero. I comandi superiori
hanno emanato le istruzioni necessarie per proteggere i soldati dai rigori invernali, ma i mezzi a
disposizione sono alquanto scarsi e in buona sostanza bisogna arrangiarsi! Ed allora gli alpini si mettono
all'opera scavando buche, prima nella neve, poi nella viva roccia; tirano linee di collegamento,
costruiscono baracche e coperture per le trincee, preparano posti di vedetta dotandoli di fornelli
improvvisati per evitare il congelamento, e quando scrivono a casa, chiedono di mandare indumenti caldi
da aggiungere a quei pochi che passa il "governo". A Fulchiade vengono costruiti baraccamenti e ricoveri,
alcuni in muratura, la maggior parte col legname ricavato dai boschi lì intorno. In quel villaggio
improvvisato sono ospitati gli uffici del comando, i magazzini e qualche alloggio per gli ufficiali. Uno
di questi, una stanzetta due metri per due, viene riservato a Don Costanzo ed appena fuori, gli alpini gli
costruiscono una piccola cappella dove si possa celebrare la Messa, specialmente quella del Natale ormai
prossimo a cui gli alpini tengono in particolar modo. Il primo Natale di guerra è disturbato solo da pochi
tiri d'artiglieria, ma se non sono gli austriaci a rovinare le feste, purtroppo ci pensa la montagna. Il
26 dicembre - Santo Stefano - cade di domenica, ma Don Costanzo quel giorno la Messa non la dice; è troppo
impegnato a dare l'ultimo saluto e la sua benedizione ai poveri ragazzi del 51° Fanteria Alpi rimasti
sotto una slavina che ha sepolto le loro baracche, lassù, nel vallone fra il Passo Ombrettola ed il
rifugio Ombretta: 12 ne hanno disseppelliti, tirandoli fuori uno alla volta con tanta fatica, ma solo 4 si
sono salvati! Don Costanzo non lo sa, ma da lì a poco la stessa sorte toccherà anche a lui: la mattina del
9 marzo un'enorme valanga si stacca dal Col Bel e cadendo sulla piana di Fuchiade, travolge i baraccamenti
seppellendo una quarantina di alpini, quasi tutti della 266ª compagnia. Il corpo di Don Costanzo Bonelli
viene trovato esanime non lontano dalla sua chiesetta ridotta a un ammasso di legname. I suoi "bravi fiòi"
hanno fatto a gara per accompagnarlo nell'ultimo viaggio verso casa, un viaggio da poco perché la Val del
Biois non è molto distante, e chi non è potuto andare, spera un giorno di potergli far visita nella sua
ultima dimora, al cimitero di Canale d'Agordo. Il Capitano Andreoletti lo ricorderà con affetto nelle sue
memorie di guerra: "... tipica e simpatica figura del prete di montagna - scriverà - vivamente compianto
dagli alpini, ai quali sapeva parlare il linguaggio di un cuore semplice, buono, ricco d'umanità".
NOTE
[1] "Ciàpa e magna" = "tanto guadagni, tanto spendi", detto in tono disonorevole per quelli che
spendevano il proprio guadagno senza mandare nulla alla famiglia.
[2] Mons. A. Bartolomasi (1869-1959) Vescovo Ausiliare di Torino dal 1911, nominato Ordinario
Militare per l'Italia nel giugno 1915, con giurisdizione su tutti i Cappellani Militari.
[3] Fuchiade = Fuciade (talvolta anche Fulchiade/Fulciade, q.1982) conca naturale nei pressi del
Passo San Pellegrino (Val di Fassa, provincia di Trento) sovrastata da Cima Uomo.
[4] Cap. Arturo Andreoletti (1884-1977) comandante la 206ª compagnia del battaglione Val Cordevole,
noto alpinista ed ottimo conoscitore delle vette feltrine, agordine e zoldane.
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Nato il 28 luglio 1880 a Vallada (BL)
Morto per valanga il 9 marzo 1916 loc. Fuchiade (Passo S. Pellegrino)
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Abramo Bonelli, muratore della Val del Biois, per mantenere la famiglia è costretto, come tanti
altri di quelle parti, ad emigrare. Sua moglie, Arcangela Ronchi, lo attende a casa sforzandosi di
arrotondare le magre entrate famigliari governando le poche bestie che tiene nella stalla e
scarpinando, piegata sotto la gerla, per procurare foraggio e legna, e raccogliere gli scarsi
prodotti che gli vengono dall'orto piantato sulla riva vicino a casa, a Vallada. É passato ormai
qualche mese da quando suo marito è partito, ancora una volta, per lavorare lontano, faticando
tutto il santo giorno in qualche cantiere per tornare la sera in una baracca da condividere con
altri poveracci come lui. Abramo non è un "ciàpa e magna"[1], lui risparmia fino all'ultimo
centesimo per spedirlo all'Arcangela che nell'estate del 1880 è ormai prossima al parto. Anche lei
non molla e continua le sue faccende sino all'ultimo fin quando, il 28 di luglio, aiutata dalle
vicine di casa, mette al mondo il suo bambino. Il giorno dopo un'anziana parente si reca da Michele
Tissi, il segretario comunale di Vallada, a denunciare la nascita di quel figliolo e la domenica
successiva, alla Mansioneria di San Simon, don Vincenzo Casaril lo battezza imponendogli i nomi che
Abramo e Arcangela hanno già deciso da qualche tempo: Costanzo e Nazario.
Il bambino cresce ed appena possibile comincia a dare una mano a sua madre nel lavoro dei campi e
nello star dietro alle bestie che sono tutto il patrimonio di famiglia. Intanto frequenta con
profitto le scuole elementari e poco a poco, col passare degli anni, si persuade della sua
vocazione al sacerdozio. Non più giovanissimo lascia la Val del Biois ed a Belluno entra in
Seminario dove, con un certo sacrificio, ma con caparbietà, s'impegna negli studi. Finalmente,
all'età di trentadue anni, il 14 luglio del 1912, Costanzo Bonelli viene ordinato Sacerdote e nel
Duomo di Belluno può celebrare la sua prima Messa. Ad una decina di chilometri, nella parrocchia di
Sedico, l'Arciprete don Giuseppe Belli ha bisogno di aiuto per sostenere i suoi numerosi impegni e
don Costanzo viene mandato a dargli una mano come cooperatore. A Sedico don Costanzo bada
principalmente ai giovani: li tiene impegnati col catechismo e nell'oratorio di Santa Maria
organizza un piccolo doposcuola, giochi e qualche attività sportiva. La chiesa si affaccia sulla
strada per Agordo e don Costanzo, ai primi di maggio del 1915, vede passare le fanterie che si
recano al confine. La guerra non piace a nessuno, tanto meno a Don Costanzo, ma quando da lì a poco
Monsignor Angelo Bartolomasi[2] chiama al loro dovere i cappellani militari, lui non si tira
indietro. Col grado di tenente viene assegnato al battaglione alpini "Val Cordevole" ed alla fine
di giugno si presenta al suo comandante, il capitano
Magnaghi. Le compagnie sono allora accampate a
Fedaia e in parte a Fuchiade[3], in vista di quella magnifica montagna che Don Costanzo già conosce
e che ben si merita il titolo di "Regina delle Dolomiti": la Marmolada. È un periodo di discreta
calma su quel fronte e gli alpini, quasi tutti montanari della zona, sono impegnati a costruire
strade, apprestamenti difensivi, posti di vedetta e piazzole per l'artiglieria. Don Costanzo parla
il loro stesso dialetto e col suo buon carattere sa farsi ben presto apprezzare da tutti, alpini ed
ufficiali, compreso quel certo capitano Andreoletti[4] che, per la sua indole autoritaria, gli
alpini hanno soprannominato "el padreterno".
Tranne alcuni episodi per l'occupazione della forcella tra Cima Uomo e Cima Ciadin, e gli
immancabili colpi dell'artiglieria austriaca che mirano a demolire il lavoro degli alpini, il fatto
più clamoroso di quei giorni, e per il quale gli alpini non nascondono un certo compiacimento, è la
distruzione della Contrin Haus: il 6 settembre, pochi tiri ben assestati, sparati da una batteria
italiana che poi si saprà essere quella del tenente De
Gennaro, sono bastati a demolire il rifugio e i baraccamenti del comando austriaco.
Il 10 ottobre il capitano Magnaghi passa il comando del battaglione al maggiore
Olivo Sala, un cadorino di Borca col quale Don Costanzo entra subito in
confidenza. L'inverno è alle porte e la prima neve è già scesa a ricoprire ogni cosa. Ciò nonostante, gli
alpini sono impegnati in vari scontri sulle Creste di Costabella, sul Mesola, ai Passi Ombretta e
Ombrettola. Don Costanzo conta i suoi "bravi fiòi" quando partono "... uno dietro l'altro, in processione
votiva al dio della guerra, nastro grigio che avanza nella neve passo dopo passo ..." e li accompagna col
pensiero "... serrando i denti come per dar più forza alle anime che lassù combattono ..." e per quelli
che, al ritorno, non rispondono all'appello "... i denti si disserrano e l'anima va giù floscia". Col
cuore gonfio di compassione Don Costanzo benedice quelle giovani spoglie e scrive alle famiglie qualche
parola di consolazione, un po' meno arida del solito telegramma ufficiale.
Nevica ancora e le temperature si abbassano fino a toccare i 30 gradi sotto zero. I comandi superiori
hanno emanato le istruzioni necessarie per proteggere i soldati dai rigori invernali, ma i mezzi a
disposizione sono alquanto scarsi e in buona sostanza bisogna arrangiarsi! Ed allora gli alpini si mettono
all'opera scavando buche, prima nella neve, poi nella viva roccia; tirano linee di collegamento,
costruiscono baracche e coperture per le trincee, preparano posti di vedetta dotandoli di fornelli
improvvisati per evitare il congelamento, e quando scrivono a casa, chiedono di mandare indumenti caldi
da aggiungere a quei pochi che passa il "governo". A Fulchiade vengono costruiti baraccamenti e ricoveri,
alcuni in muratura, la maggior parte col legname ricavato dai boschi lì intorno. In quel villaggio
improvvisato sono ospitati gli uffici del comando, i magazzini e qualche alloggio per gli ufficiali. Uno
di questi, una stanzetta due metri per due, viene riservato a Don Costanzo ed appena fuori, gli alpini gli
costruiscono una piccola cappella dove si possa celebrare la Messa, specialmente quella del Natale ormai
prossimo a cui gli alpini tengono in particolar modo. Il primo Natale di guerra è disturbato solo da pochi
tiri d'artiglieria, ma se non sono gli austriaci a rovinare le feste, purtroppo ci pensa la montagna. Il
26 dicembre - Santo Stefano - cade di domenica, ma Don Costanzo quel giorno la Messa non la dice; è troppo
impegnato a dare l'ultimo saluto e la sua benedizione ai poveri ragazzi del 51° Fanteria Alpi rimasti
sotto una slavina che ha sepolto le loro baracche, lassù, nel vallone fra il Passo Ombrettola ed il
rifugio Ombretta: 12 ne hanno disseppelliti, tirandoli fuori uno alla volta con tanta fatica, ma solo 4 si
sono salvati! Don Costanzo non lo sa, ma da lì a poco la stessa sorte toccherà anche a lui: la mattina del
9 marzo un'enorme valanga si stacca dal Col Bel e cadendo sulla piana di Fuchiade, travolge i baraccamenti
seppellendo una quarantina di alpini, quasi tutti della 266ª compagnia. Il corpo di Don Costanzo Bonelli
viene trovato esanime non lontano dalla sua chiesetta ridotta a un ammasso di legname. I suoi "bravi fiòi"
hanno fatto a gara per accompagnarlo nell'ultimo viaggio verso casa, un viaggio da poco perché la Val del
Biois non è molto distante, e chi non è potuto andare, spera un giorno di potergli far visita nella sua
ultima dimora, al cimitero di Canale d'Agordo. Il Capitano Andreoletti lo ricorderà con affetto nelle sue
memorie di guerra: "... tipica e simpatica figura del prete di montagna - scriverà - vivamente compianto
dagli alpini, ai quali sapeva parlare il linguaggio di un cuore semplice, buono, ricco d'umanità".
NOTE
[1] "Ciàpa e magna" = "tanto guadagni, tanto spendi", detto in tono disonorevole per quelli che spendevano il proprio guadagno senza mandare nulla alla famiglia.[2] Mons. A. Bartolomasi (1869-1959) Vescovo Ausiliare di Torino dal 1911, nominato Ordinario Militare per l'Italia nel giugno 1915, con giurisdizione su tutti i Cappellani Militari.
[3] Fuchiade = Fuciade (talvolta anche Fulchiade/Fulciade, q.1982) conca naturale nei pressi del Passo San Pellegrino (Val di Fassa, provincia di Trento) sovrastata da Cima Uomo.
[4] Cap. Arturo Andreoletti (1884-1977) comandante la 206ª compagnia del battaglione Val Cordevole, noto alpinista ed ottimo conoscitore delle vette feltrine, agordine e zoldane.