Nazione Brida Tito Eusebio

Grado Capitano

Mostrina  7° Alpini, 79ª cp. battaglione Belluno

Ritratto

Nato l'11 novembre 1881 a Talmassons (UD)

Morto il 25 febbraio 1968 Legnano (MI)

Decorazioni

Decorazione Medaglia d'Argento

Comandante di una compagnia, dopo aver conquistato col proprio reparto un importante trinceramento, arditamente e con pronta iniziativa contrattaccava reparti nemici, attaccanti il nostro fianco sinistro. Fatto segno coi suoi uomini a violento fuoco di fucileria ed al lancio di bombe a mano, e pure battuto dalla artiglieria avversaria, resisteva ad oltranza, finché perduta più della metà dei suoi uomini, morto l'ufficiale comandante la sezione mitragliatrici ed accerchiato, veniva catturato dal nemico, non senza aver dato tempo ai reparti retrostanti di rinforzarsi sulla posizione, che, mercé la sua valorosa condotta, rimaneva in nostro saldo possesso.
Val Travenanzes, 29-30 luglio 1916

Note biografiche (Archivio Franco Licini)

La vita prima della guerra

Tito Eusebio Brida nasce a Talmassons, in provincia di Udine, l'11 novembre del 1881. Suo padre Giuseppe è segretario comunale e sua madre, Rosa Natali, bada alle faccende domestiche ed ai quattro figlioli, anzi, cinque ora che è venuto al mondo anche Tito. Pia e Maria Giovanna sono le più grandicelle, Fausto ha appena passato i tre anni e Carlo ha visto la luce appena un anno prima. Giuseppe, col suo lavoro, si sposta da un paese all'altro accettando gli incarichi che gli vengono offerti ma ad Udine, la sua città d'origine, ha tenuto la casa di famiglia nella speranza, un giorno, di tornarvi in pianta stabile. A Precenicco sono nate le prime due figliole ed a Talmassons i tre maschietti.
Tito ha compiuto da poco i cinque anni quando, il 13 dicembre del 1886, la sua casa viene sconvolta da un doloroso evento: sua sorella Pia, a soli 13 anni d'età, è morta ad Udine colpita da improvvisa malattia. Il dolore, specialmente quello di sua madre, è davvero devastante, ma la vita in un modo o nell'altro deve pur continuare e Tito, dopo aver frequentato le scuole in paese, viene mandato a studiare agraria al Regio Istituto Tecnico di Udine dove nel 1897, frequentando la 2ª classe, si distingue per la sua diligenza vincendo un premio di buon profitto.
Il 30 novembre del 1900 è soldato volontario nel 6° reggimento alpini ed il 28 febbraio dell'anno successivo frequenta il corso allievi ufficiali uscendone, nel gennaio del 1902, con la nomina a sottotenente. Tito è un giovane prestante, alto più di un metro e ottanta, ed all'età di 27 anni, l'8 gennaio 1908, sposa Caterina Della Savia, una ragazza di buona famiglia che ha conosciuto da studente. Il matrimonio lo celebrano nella chiesa di San Martino a Percoto, la frazione di Pavia di Udine dove vive Caterina. Tito trova quindi lavoro come consulente zootecnico e nel 1911 è a San Martino di Codroipo dove viene al mondo suo figlio Giuseppe. Entra nello stesso periodo a far parte del Comitato Agrario Provinciale continuando comunque ad esercitare la libera professione.

La Grande Guerra

Allo scoppio della guerra viene richiamato e prima col grado di tenente, quindi con quello di capitano è assegnato, in veste di comandante, alla 79ª compagnia del battaglione alpini Belluno. All'inizio delle ostilità è a Rocca Pietore per trasferirsi subito dopo a Malga Ciapéla. Combatte con la sua compagnia a Monte Mesola, una cresta di scure rocce a nord del Passo Fedaia, poi in zona Contrin. Il 27 giugno del 1915, col battaglione al completo, anche gli uomini del capitano Brida ridiscendono a Rocca Pietore ed il giorno 30 si trasferiscono in Val Costeana, zona Tofane, dove il Belluno è stato chiamato a dare il suo contributo nell'azione ideata da generale Antonio Cantore che ha appena assunto il comando della 2ª Divisione. In attesa dell'ordine d'attacco gli alpini si riuniscono a Vervei dove alla 79ª compagnia viene assegnato il compito di formare l'ala sinistra, sotto cima Bois, nell'attacco che dovrà portare alla conquista della Val Travenanzes sul retro delle Tofane. Alle 4 di mattina del 7 luglio le compagnie del Belluno lasciano gli accampamenti e per 4 giorni si accaniscono contro le posizioni avversarie di Forcella e Cima Bos, col nemico invisibile davanti a loro, senza poter far nulla se non contare alla fine parecchi morti e feriti. Con l'appoggio dell'artiglieria la 79ª del capitano Brida, affiancata alla 77ª ed alla 78ª, continua l'offensiva riuscendo verso la sera del giorno 10 a metter piede sulla cima del Bois (Col dei Bois).
Il 20 agosto la compagnia è nuovamente, anche se infruttuosamente, impiegata contro l'obiettivo di Cima Falzarego e dopo alcuni turni in avamposto, a metà settembre ridiscende a Vervei mettendosi a disposizione del Comando. Il 23 settembre sale quindi a Forcella Fontana Negra ed il giorno successivo inizia ad avanzare nel Masarè che scende verso la Val Travenanzes, non riuscendo però a conseguire grossi risultati. Gli alpini si assestano a Forcella Fontana Negra ed il 30 settembre una forte nevicata impedisce, dall'una e dall'altra parte, qualunque movimento; tentano nei giorni successivi di procedere verso il fondo della Val Travenanzes, ma a prezzo di gravi sacrifici, possono avanzare solo per due, trecento metri. Ricevuto il cambio, a dicembre gli uomini della 79ª, assieme a quasi tutto il resto del battaglione, vengono dislocati sul Col di Lana dove il giorno 16, con la 77ª, tentano inutilmente di assaltare la cima. Dopo un infruttuoso tentativo, Brida ha l'ingrato compito di comunicare al signor Umberto Gorret di Valtournanche la tragica notizia della morte di suo figlio Joseph, ventiduenne sottotenente giunto al fronte appena tre giorni prima.
Il 24 dicembre la compagnia scende ad Alleghe e poi ad Agordo dove sosta per alcuni giorni. Ai primi dell'anno si rimette quindi in marcia: a piedi fino a Bribano ed in treno per Calalzo e San Vito, fa ritorno alla Val Costeana. Non c'è comunque il tempo per riposare perché nel frattempo il colonnello Tarditi, comandante del reggimento, ha dato il via ai lavori di preparazione di una mina da far esplodere sotto le guglie dell'inespugnabile Castelletto, ed anche gli uomini del capitano Brida danno il loro apporto trasportando materiale, dando il turno nelle guardie e più che altro, mantenendo sgomberi i passaggi dall'abbondantissimo manto nevoso. I lavori proseguono alacremente fino all'11 luglio quando le 35 tonnellate di gelatina esplodono sventrando la montagna. Venti giorni più tardi, dopo aver liberato quella roccaforte dagli ultimi difensori, viene operato un tentativo di sfondamento per assicurare l'accesso alla Val Travenanzes, ma ben presto l'offensiva si trasforma in tragedia. La scarsa visibilità, la mancanza di chiare comunicazioni tra i reparti, alcuni tragici contrattempi e l'abilità dei Kaiserjäger nell'arretrare per arroccarsi a difesa tra le rocce, fanno cadere gli alpini in una trappola insidiosa. Lo stesso capitano Brida, chiamato a render conto dell'accaduto, avrà modo di riferire gli avvenimenti: "[...] Fattosi giorno, ritirarsi od avanzare era diventato impossibile e l'aggiramento del nemico andava man mano stringendosi, puntando sulla nostra destra per riunirsi coi reparti appostati sulle pendici rocciose della Tofana 1a. S'imponeva, in un ultimo sforzo, l'ultima resistenza per impedire, cioè, che il cerchio fosse completato intorno a noi. [...] La difesa, infatti, in queste condizioni, fu mantenuta all'estremo. Però il nemico, pratico ed esperto del terreno e delle sue insidie, era egualmente riuscito ad estendersi alle spalle e completare l'accerchiamento [...] finché ebbe ragione anche degli ufficiali, già tenuti inchiodati da scariche incrociantesi da diverse opposte parti [...]"

La prigionia

Con tanti altri, dopo aver veduto cadere molti dei suoi uomini, la mattina del 30 luglio anche Tito Brida viene fatto prigioniero. "Dopo catturati – scriverà lui stesso - [...] ci si fece fermare poco lungi dal combattimento (un'ora di strada) sino alla notte, dovendo attraversare un tratto di fronte vicino alla nostra linea. A mezzanotte successe un fatto strano: capitò un ufficiale e mi comunicò che aveva avuto orine di legarci e accompagnarci indietro così. Protestai energicamente. L'Ufficiale austriaco pur riconoscendo la giustezza della mia protesta dichiarò di dover, pure a malincuore, eseguire l'ordine. Così fummo legati con le mani dietro la schiena e poi con un'altra corda tutti gli ufficiali insieme e tutti i soldati insieme, in due cordate. Ci fecero camminare circa 6 ore per sentieri difficili finché giungemmo a un comando dove fummo slegati e ci fecero proseguire sino a Bressanone. Colà a mia richiesta fui ammesso alla presenza di un colonnello che in forma ufficiale si scusò del trattamento inumano della legature. Un capitano di S.M. poi, prima ai soldati e poi a noi spiegò più ampiamente la ragione di quel fatto. Disse che avendo interrogato i soldati prima degli ufficiali, non aveva l'interrogatore potuto avere da nessun soldato notizia alcuna sull'obiettivo dell'azione né informazione alcuna sulle nostre posizioni, ci disse che i soldati avevano manifestato un grande affetto per i loro ufficiali e perciò in considerazione del fatto che la colonna di prigionieri doveva passare attraverso una zona molto vicina alle due linee, nella tema che approfittando della notte si tentasse la fuga, il comando austriaco era venuto nella su detta determinazione. Detto capitano aggiunse poi alcune frasi di vivo elogio per il contegno del reparto durante l'azione. Quelle parole, pronunciate dal nemico, servirono in quel tristissimo momento a lenire un po' le sofferenze morali della cattura. Gli interrogatori a cui fui sottoposto erano più d'indole generale che altro. Io non risposi mai; non mi si fecero insistenze. Da Bressanone proseguii poi in tappe successive verso Mauthausen. A Brunech un ufficiale superiore fece sfilare, in una caserma, i soldati. Io e gli altri ufficiali fummo portati in giro per Brunech, in mostra. Fui condotto a Mauthausen dove rimasi tutti i 18 mesi di prigionia. Mauthausen è un campo sistemato in baracche di legno, organizzato dagli italiani. E' pulito, ubicazione sufficientemente sana. La vita materiale, quando arrivano i viveri dall'Italia, nel riguardo del vitto non si stava male. Con il solo sostentamento austriaco sarebbe stata un orrore. Nella forma a parole gli austriaci con gli ufficiali trattavano educatamente, Nelle richieste promettevano tutto, concedono niente. Salvando le apparenze sono sempre gli aguzzini del passato. Protestando energicamente, minacciando si ottiene qualche cosa. Hanno paura. Col loro sistema di organizzazione con pochi uomini sorvegliano il campo. Nel campo funzionano solo i comandi italiani. Ciò secondo me è male, perché si da agio al nemico di risparmiare uomini e specialmente ufficiali. Durante la prigionia e precisamente nel settembre del 1917 fui all'ospitale di Linz per curarmi da un disturbo d'orecchio. Rimasi a Linz 15 giorni e potei uscire qualche volta per la città. Ci si accorge realmente che c'è penuria di tutto. E' un paese però che ha un vantaggio enorme su noi: è mirabilmente disciplinato. La vita è enormemente cara, non c'è assolutamente confronto con noi. Le disposizioni ... sono rigorosamente rispettate; la popolazione civile soffre ma tace. C'è un enorme desiderio di pace e un sordo odio contro la Germania. La vittoria sull'Italia non ha prodotto sulla popolazione alcun entusiasmo e la depressione è ritornata come prima quando il paese si è accorto che la vittoria non portava la pace."

Il rientro in Italia

Il capitano Brida fa ritorno in Italia il 20 gennaio 1918 grazie ad uno scambio di prigionieri. Viene inviato a Firenze per essere sottoposto ad interrogato, come da regolamento, da parte della commissione incaricata di ricevere relazione sui fatti accaduti ai reduci rientrati dalla prigionia. Prende provvisoramente alloggio a Campi Bisenzio, ad una decina di chilometri dalla città, e qualche mese più tardi, a guerra finita, ritorna finalmente ad Udine dalla sua famiglia. Per i fatti avvenuti nell'Alta Val Travenanzes nella notte tra il 29 ed il 30 luglio del 1916, gli viene attribuita la Medaglia d'Argento al Valor Militare.
Il 24 maggio del 1926 Tito Bridda torna alla sua vecchia caserma di Belluno per l'inaugurazione del monumento dedicato al 7° reggimento Alpini e nel marzo del 1927, oltre alla promozione al grado di maggiore, gli viene attribuito il cavalierato in considerazione dei lunghi e buoni servizi prestati alla Patria. Nel negli anni '40 si trasferisce con la famiglia prima a Varese e quindi, nel 1946, a Legnano dove muore il 25 febbraio del 1968 alla bella età di 87 anni.

Ritratto  Ritratto
Ritratti del cap. Brida