Nazione Quinz Giuseppe

Grado Sergente (matr. 21322/77)

Mostrina  7° Alpini, 75ª cp. battaglione Pieve di Cadore

Ritratto

Nato l'8 ottobre 1887 a Sexten (BZ)

Morto il 20 novembre 1970 ad Auronzo (BL)

Decorazioni

Decorazione Medaglia di Bronzo

Con grande ardimento e perizia, faceva da guida in ricognizioni su difficilissime zone di terreno verso il nemico. Continuava volontariamente, dopo due giorni di incessante ed intenso lavoro, a tagliare gradini nel ghiaccio, sotto il fuoco nemico.
Gruppo del Cristallo, 12-20 agosto 1915

Note biografiche (Archivio Franco Licini)

Prima della guerra

Giuseppe Quinz nasce a Sexten, in Tirolo, l’8 di ottobre dell’anno 1887. Nel suo ruolo matricolare, tra i dati ed i contrassegni personali, non compaiono i nomi dei genitori ma si sa (Ne parla il nipote Andreas Quinz) comunque che la sua era una famiglia di Sappada e che suo padre si chiamava Joseph, detto “Sephile” (soprannome che significa “Beppino”). All’età di 25 anni Giuseppe viene registrato al Distretto militare di Belluno quale “renitente”, in quanto si sarebbe dovuto presentare per il servizio di leva già nel 1907, ma in quel periodo si trovava in Germania a sbarcare il lunario in varie occupazioni: dal lavapiatti al cameriere, poi come minatore. Il 12 settembre del 1912 si presenta infine spontaneamente al Distretto dove viene iscritto come soldato di leva di 1ª categoria destinato al 7° Reggimento alpini, 75ª compagnia del battaglione Pieve di Cadore. Dichiara di aver frequentato la scuola fino alla 4ª elementare e di esercitare in quel momento il mestiere di meccanico.

ritratto Un giovane Giuseppe Quinz

Torna quindi all’estero, ma quando nell’agosto del 1914 la Germania entra in guerra, viene stranamente arruolato dall’esercito tedesco (o riferisce il nipote Andreas Quinz che riporta quanto raccontato dai nonni in merito al fatto che Giuseppe Quinz era stato militare di due eserciti in fine contrapposti). In qualche modo, comunque, il 1° gennaio del 1915 risponde al richiamo alle armi del Regio Esercito Italiano ed il 23 maggio, alla vigilia della dichiarazione di guerra all’Austria-Ungheria, si trova a Misurina col battaglione Pieve di Cadore.

La Grande Guerra

Giuseppe è già uno sciatore provetto, ed anche come rocciatore dimostra di avere doti eccellenti. Il 6 agosto segue la 75ª compagnia all’Ospizio Tre Croci e con quella, agli ordini del tenente Dapino, partecipa ai combattimenti sul Gruppo del Cristallo. Nella notte sul 13 agosto due plotoni di Alpini si arrampicano sulle rocce del Vecchio Forame e ne occupano la cima. Consegnano la posizione conquistata ad alcune squadre del 23° Como e procedono lentamente lungo il ghiacciaio ed il sottile crinale della Cresta Bianca. Di giorno sostano; sull’imbrunire avanzano cercando di evitare il tiro dei fucili a cannocchiale dei «cecchini» austriaci. Nonostante la stagione il freddo è intenso; l’acqua, trasportata da lontano, scarseggia; per sfamarsi c’è solo qualche scatoletta di carne conservata. Finalmente, la notte sul giorno 20 le artiglierie di medio calibro ed una sezione di mitragliatrici appostate sulle rocce del Cristallino d’Ampezzo battono la Cresta Bianca illuminata in parte da un proiettore che opera da Som Forca. In quella luce gli alpini si gettano sul presidio austriaco e dopo un breve scontro lo conquistano. Per il suo particolare impegno Giuseppe Quinz viene premiato con una Medaglia di bronzo.
A settembre gli scontri verso le durissime posizioni delle Punte del Forame si ripetono. Giuseppe si arrampica con gli altri compagni verso la cima sorprendendo una piccola guardia, ma la mattina del giorno 12 la violenta reazione dell’artiglieria nemica fa retrocedere gli Alpini in posizioni difficili da mantenere: le granate esplodono tutt’attorno e qualcuno cade nel vuoto strappato all’appiglio. Non si può né avanzare né retrocedere, ed allora gli uomini scavano dei piccoli rifugi nella neve e tengono duro per ben tre giorni. Per uscire da quella scomoda situazione bisogna prendere qualche iniziativa ed allora, tra estreme difficoltà, mezza compagnia si lancia in un disperato e sanguinoso assalto che mette in fuga i difensori della cima. Finalmente, il 17 settembre gli Alpini della 75ª compagnia, esausti, ricevono il cambio e possono ridiscendere a valle.

Il 15 ottobre Giuseppe Quinz viene di nuovo impiegato in un attacco per la conquista delle formidabili posizioni nemiche del versante Nord del Cristallino d‘Ampezzo. A Forcella Grande sono stati preparati dei camici bianchi e chi non ne ha, per mimetizzarsi nella neve usa la camicia e le mutande sovrapposte alla divisa. Nella notte del 19 ottobre, col plotone sciatori della 75ª compagnia, anche Giuseppe scende nel fondo del circo di Val Pra del Vecio. L’alba si leva gelida, opaca, con la nebbia che va e viene. La 75ª, distesa in linea, avanza assieme agli sciatori appoggiata dal fuoco della 4ª sezione mitragliatrici fino alle trincee di Val Pra del Vecio, ma il suo movimento è arrestato dalla nebbia che si infittisce. Nel volume dedicato ai Battaglioni Pieve di Cadore e Monte Antelao, Antonio Berti riporta quei momenti cruciali: “[...] Attraverso uno squarcio di sereno appare a 60 metri di distanza un austriaco in vedetta. Primo sparo ... I plotoni prendono immediatamente posizione sulla cresta formandosi parapetto con la neve, e il combattimento ha inizio. La nebbia si alza del tutto. Gli artiglieri di Forcella Grande vedono finalmente i bersagli e possono entrare in azione. Ma gli austriaci sono fortemente trincerati e fortemente appoggiati dall’artiglieria. [...] Sparano coi fucili e colla mitragliatrice sul circo dove si è rafforzata la 75ª prossima ai reticolati, recisi nella notte dal plotone sciatori. Una pallottola fora l’orecchio al maggiore [Carlo Buffa di Perrero]; cadono, pure in cresta, parecchi soldati mentre percorrono un passaggio esposto obbligato. Contemporaneamente la 75ª compagnia e gli sciatori avanzano, appoggiati dal fuoco della 4ª sezione mitragliatrici, fino alle trincee di Val Pra del Vecchio, recidono i fili, ma il movimento è arrestato dalla nebbia fittissima e da fuochi incrociati di mitragliatrici. [...] È l’alba del 21 e sulla distesa nevosa di Val Pra del Vecchio il terreno completamente scoperto e in ogni punto battuto, rendono impossibile l’impeto e lo spiegamento del fuoco di fucileria; le nostre artiglierie sono costrette a tacere per non colpire gli alpini. Sulla Schönleitenschneide arriva un fonogramma, molto energico, che incita ad avanzare. Il maggiore Buffa di Perrero raccoglie attorno a sé, al riparo di un masso, i pochi ufficiali, e comunica il fonogramma. Un fremito corre per le vene di tutti: il fremito dei momenti supremi. Letto il fonogramma, il maggiore, ritto, calmo, scandendo le parole, aggiunge: 'Signori ufficiali, andiamo alla morte, facciamo vedere come sanno morire gli alpini'. L’attacco è immediatamente ripreso, generale, risoluto. Il maggiore barcollante, arso dalla febbre per infezione della ferita riportata il giorno prima, viene ferito ancora; una pallottola di fucile gli attraversa la coscia. Chi assiste da Forcella Grande vede sulla cresta tagliente della Schönleitenschneide profilarsi gli alpini che avanzano uno dietro l’altro; vede la fila sempre più diradarsi, mentre feriti e morti rotolano giù per il declivio di neve; ma non un alpino indietreggia, non uno esita, ed ognuno che avanza è ucciso o ferito. Scende la terza sera. Nella semioscurità vengono trasportati al posto di medicazione i quaranta feriti della giornata e un’ottantina di congelati. Il maggiore e il capitano, sanguinanti, non sono più in grado di reggersi e devono essere trasportati indietro, al riparo. [...] Quando cala la notte le cartucce scarseggiano, le mitragliatrici non hanno più nastri. Giungono fortunatamente i conducenti: sono partiti in 120, molti sono caduti per via; portano munizioni per fucili e mitragliatrici. Giunte queste, viene tentato ancora uno sforzo per raggiungere le prime trincee, e anche questo s’infrange. La notte sul 23 i resti della 67ª e della 75ª compagnia del Cadore, i superstiti di 'quegli uomini che hanno intrepidamente assalito le impervie altezze del Monte Cristallo sotto un fuoco spaventevole di fucileria e di cannoni', riattraversano Forcella Grande per rientrare a Tre Croci. [...] Perdite del battaglione Cadore tra morti, feriti e congelati 279 uomini”.

L’inverno sul 1916 viene trascorso da Giuseppe e dai suoi compagni della 75ª a Forcella Longeres, a 2.320 metri di quota, mentre in Val Costeana, al Castelletto della Tofana di Rozes, si sta preparando una poderosa mina da far esplodere sotto quell’imprendibile maniero roccioso. In aprile i lavori sono ormai in pieno svolgimento. Alla trivellazione della galleria lavorano squadre di Alpini-minatori che avanzano nel calcare dolomitico per cinque o sei metri al giorno. I Kaiserjäger cominciano a sospettare che si stia lavorando a qualcosa di grosso. Sentono che una perforatrice è in piena attività ai piedi della Tofana e tentano in ogni modo di disturbarne il lavoro. Per acquisire informazioni sugli intendimenti degli austriaci il colonnello Tarditi, comandante della zona d'operazione, fa impiantare un sistema di intercettazioni telefoniche che può valersi, in qualità di interpreti, dei molti Alpini che hanno lavorato all'estero e conoscono bene non solo il tedesco ma anche le altre lingue della Duplice Monarchia. Tra questi viene indicato anche Giuseppe Quinz che per questo, il 30 aprile del 1916, dopo aver ricevuta la nomina a caporale, passa alle dipendenze del Comando di zona. Con la sua perfetta conoscenza della lingua tedesca si mette subito all’opera collaborando anche all’allestimento degli apparati di ascolto. Il suo contributo risulta davvero prezioso tanto da fargli meritare, il 1° giugno, un Encomio Solenne perché: “Si adoperava nel servizio delle intercettazioni dei fonogrammi nemici al Castelletto della Tofana I dedicandosi con intelligenza e con lodevole perseveranza”.
Alle 3 di notte dell’11 luglio si fa assoluto silenzio nella reverenziale attesa di ciò che da lì a poco dovrà accadere. Un’esplosione di tale portata mette davvero tutti in soggezione. Nonostante i calcoli eseguiti più e più volte con la massima cura dai tenenti Malvezzi, Tissi e poi da Cadorin - gli ufficiali che hanno condotto i lavori - nessuno può prevedere con certezza le conseguenze della mina che è stata caricata con 350 quintali di esplosivo. Quinz e gli altri intercettatori confermano che dalla parte austriaca tutto tace. Alle 3 e 40 precise Malvezzi agisce sugli inneschi e la montagna esplode. Tutto ciò che un momento prima era appartenuto solo all’immaginazione, in un solo attimo diventa rovinosa realtà.

Dopo la violenta deflagrazione e la presa del Castelletto, Giuseppe resta affiancato agli Alpini-minatori, chiamati ora alla realizzazione altri lavori di scavo e minamento sul Piccolo Lagazuoi: alla Cengia Martini ed a Punta Berrino. Anche qui è necessario mettere in opera le linee di comunicazione e di intercettazione, utili per la realizzazione di tre gallerie difensive della Cengia e la preparazione di una carica da far esplodere sotto i presidi nemici di quota 2.668, anticima del Piccolo Lagazuoi. Seguitando nel suo impegno, il 29 agosto Giuseppe ottiene la promozione a caporal maggiore.
All’inizio di dicembre vengono iniziati i lavori preliminari con la costruzione di tutto il necessario: una strada di accesso, una teleferica, le linee telefoniche, i baraccamenti e le stazioni di ascolto. L’inverno tra il 1916 e il 1917 è particolarmente rigido e nevoso, ma i lavori non s’interrompono. Il primo di febbraio comincia lo scavo della galleria da mina verso la quota 2.668 e pur con qualche sospensione, le attività continuano ininterrotte per circa sei mesi durante i quali vengono cavati oltre 4.000 metri cubi di roccia per uno sviluppo di circa 1.110 metri di gallerie. Alle ore 21:50 del 20 giugno scattano i dispositivi di innesco e la mina esplode. Pur non riuscendo poi ad avanzare oltre, gli Alpini riescono ad occupare l’anticima del Lagazuoi. Nel frattempo, per il suo particolare impegno, il 29 maggio Giuseppe ha ottenuto la promozione a sergente.

ritratto Giuseppe nel gennaio 1917

Seguendo le sorti del reparto Alpini-minatori, alla fine di giugno il sergente Quinz lascia la Val Costeana per scendere a Belluno, predisponendosi per raggiungere il fronte dell’Isonzo. Dall’inizio della guerra in quel settore si sono susseguite ben dieci grandi battaglie che, nonostante il sangue copiosamente versato sull’una e l’altra sponda del fiume, hanno prodotto ben pochi risultati. Ora si sta preparando l’undicesimo scontro e Giuseppe, assegnato al reparto trasmissioni, viene posto alle dipendenze della 2ª Armata. Verso la metà di luglio, a Nimis, incontra il suo vecchio comandante, il neo promosso Maggiore Generale Tarditi che ora si trova alla guida del V Raggruppamento Alpino formato dai battaglioni provenienti dalle Dolomiti (I battaglioni Cadore, Antelao e Pelmo costituivano il 13° Gruppo alpini del T.Col. De Negri; i battaglioni Val Chisone, Monte Albergian e Belluno costituivano il 5° Gruppo alpini del col. Magliano: i due gruppi formavano il V Raggruppamento Alpini, costituente l’estrema destra del XXVII Corpo d’Armata del gen. Vanzo e poi gen. Badoglio appartenente alla 2ª Armata del gen. Cappello e poi Montuori). Gli Alpini sono stati chiamati ad affrontare il nemico sull’infernale altopiano della Bainsizza dove migliaia di Fanti hanno già sacrificato la loro vita nel vano tentativo di conquistare qualche fazzoletto di terra.
Nei primi giorni di agosto del 1917 la pianura friulana e tutte le pendici che si affacciano sulla sponda destra dell’Isonzo, sono in fermento. Ovunque si allestiscono cantieri per il miglioramento delle strade, la costruzione di piazzole per le artiglierie, lo scavo di caverne, ricoveri e rifugi. Giorno per giorno gli accampamenti aumentano di numero; s’infittiscono le colonne di autocarri che, risalendo le valli, trasportano munizioni, rifornimenti e materiale di ogni genere. Bocche da fuoco di vario calibro sono messe in posizione pronte ad agire. Le comunicazioni telegrafiche e telefoniche sono estese fino all’Isonzo ed è stato preparato il materiale necessario per prolungarle al di là del fiume, appena possibile, seguendo il progredire dell’offensiva che si sta preparando. Con non poche difficoltà vengono allestiti ponti di barche per l’attraversamento del fiume e domenica 19 agosto Alpini e Fanti mettono finalmente piede sulla riva sinistra sotto il fuoco degli austriaci ancora ben trincerati nonostante il bombardamento protrattosi per tutta la notte precedente. Il ponte di barche costruito di fronte a Doblar viene attraversato dal battaglione Pelmo che si attesta sulle pendici di Na Raunich. Poi tocca all’ Albergian che si spinge verso la Quota 505. Passano anche i Fanti della Brigata Ferrara e nella notte attraversano l’Isonzo anche gli Alpini del Belluno, del Cadore e dell’Antelao, seguiti poco più tardi dal Comando di Raggruppamento. Il sergente Quinz, assieme al reparto intercettazioni e trasmissioni, è di rincalzo alle truppe impegnate nel primo assalto per allestire gli osservatori e svolgere i cavi telefonici che servono ad assicurare i collegamenti tra i comandi e le prime linee d’attacco. Per il suo encomiabile comportamento, qualche giorno più tardi sarà premiato con la promozione a Sergente Maggiore perché: “Durante le azioni nell’agosto 1917 sull’altipiano della Bainsizza, sotto intenso fuoco di artiglieria e fucileria nemica, seguiva immediatamente le fanterie nel 1° sbalzo, e riusciva, superando gravi difficoltà, a stendere le linee per una nuova stazione I. T. ottenendone l’immediato rendimento. - Altipiano Bainsizza 22.8.1917”.
Sulla Bainsizza al tormento del fuoco incessante delle mitragliatrici austro-ungariche si aggiunge, ancora più straziante, l’arsura della sete. Niente acqua tra quelle pendici rocciose, cespugliose ed aride, e il caldo di quei giorni d’agosto amplifica la sete già ardente per la fatica e la tensione della battaglia.

Quinz svolge al meglio il suo servizio per i due mesi successivi, sino alle fatidiche giornate di Caporetto quando, anche per la 2ª Armata, tutto precipita improvvisamente. Alle 2 di notte del 24 ottobre il silenzio viene lacerato dal rombo simultaneo di centinaia di cannoni. L’urlo lamentoso delle bombe si conclude con esplosioni sorde dalle quali scaturiscono nubi mortali di gas asfissianti. Poco dopo arrivano i colpi dei medi e grossi calibri che, tra l’altro, interrompono quasi subito le comunicazioni telefoniche e telegrafiche; alcune continuano a funzionare solo grazie al coraggio dei telefonisti che non esitano ad esporsi ai tiri dell’artiglieria per riparare le linee subito dopo che sono state colpite. Nonostante ciò, molte sedi di Comando si trovano isolate e non è facile rendersi conto della situazione. Tagliate fuori da ogni contatto e collegamento, ridotte alla fame, alla sete ed ormai prive di munizioni, le truppe e le riserve rimaste sulle alture continuano a combattere con disperato valore quando ormai nelle valli transitano i convogli delle retroguardie del nemico. A sera inoltrata il generale Cadorna dirama un fonogramma al Comando della 2ª Armata col quale ordina che: “In conseguenza degli avvenimenti odierni, V.E. [gen. Cappello] disponga perché sia arretrata la nostra occupazione sull’altopiano della Bainsizza dalla prima linea alla linea di resistenza principale e prenda tutte le predisposizioni per poter, ove la situazione lo esiga, abbandonare anche quest’ultima linea e ritirarsi sulle posizioni di destra Isonzo”. La dodicesima battaglia dell’Isonzo è perduta in un sol giorno. Verso la sera del 25 ottobre il generale Cappello è preda di forti dolori e deve farsi ricoverare cedendo il posto al generale Montuori. Il ripiegamento della 2ª Armata avviene in modo disarmonico e senza coordinamento sulla terza linea tra Montemaggiore e Korada, attraverso Monte Carnizza e Monte Purgessimo, e la sera del 29 ottobre arretra sul Tagliamento. Dopo le giornate di Caporetto, del Sergente Maggiore Quinz non si hanno notizie sicure ma è presumibile che anch’egli, col reparto trasmissioni, abbia attraversato il fiume al ponte di Pinzano assistendo all’affluire, quasi ininterrotto, di una massa sconfinata di sbandati, frammisti a quadrupedi, carriaggi, artiglierie e civili in fuga. Anche del suo contributo nella battaglia d’arresto e nei servizi da lui prestati nei mesi successivi non v’è certezza, ma si sa che il 16 giugno del 1969 verrà insignito dell’onorificenza di Cavalieri di Vittorio Veneto con annesse la Croce al merito di guerra e la Medaglia d’Oro per il 50° anniversario della vittoria.

Il dopoguerra

Finita la guerra, il 10 aprile del 1919 Giuseppe Quinz è inviato in licenza illimitata con la dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà ed onore. Oltre alla Medaglia di Bronzo meritata sul Gruppo del Cristallo nell’agosto del 1915, gli vengono concesse la Medaglia Interalleata della Vittoria, la Medaglia di Bronzo dell’Unità d’Italia e la Medaglia commemorativa della Guerra Italo-Austriaca.
Tornato dapprima a Sappada, Giuseppe si trasferisce poco dopo ad Auronzo dove trova lavoro nelle miniere dell’Argentiera, della Ferrera e di Grigna, facendosi benvolere a tal punto da meritare ben presto un posto di responsabilità. Ad Auronzo ritrova Barbara Larese-Roja, una ventiquattrenne che aveva già conosciuto negli anni di guerra e con la quale decide di accasarsi sposandola il 16 marzo del 1922. Nello stesso periodo gli viene rilasciata anche la licenza di guida alpina e fin da subito accompagna clienti italiani e stranieri in una serie di ascensioni sulle Alpi Carniche: al Monte Peralba, al Siera e sull’Ombladet. L’anno successivo viene al mondo la sua primogenita, Livia, e nel 1924 la famiglia si accresce ancora con la nascita di Maria. Per aumentare le sue opportunità di operare come guida alpina e nel contempo, valorizzare le abilità di sua moglie nel destreggiarsi in cucina, Giuseppe decide di lasciare Auronzo. In quel periodo l’alpinismo è in piena espansione ed una locanda è proprio quello che ci vuole per ospitare degnamente la clientela desiderosa di scoprire le superbe cime dolomitiche che contornano la valle. Giuseppe e Barbara ottengono in breve tempo la gestione dell’Osteria Sant’Angelo (sorgeva a Misurina, in corrispondenza dell’incrocio della strada che porta alle Tre Cime, nel luogo ove attualmente è ubicato l’Albergo Dolomiti Des Alpes) e nel 1928 si trasferiscono a Misurina dove, da lì a poco, viene al mondo anche Valerio che, sulle orme del padre, diverrà lui stesso una valente guida alpina (Valerio Quinz, 1928 – 2008, è stato una celebre giuda che ha aperto numerose nuove vie nei gruppi dei Cadini, del Cristallo e sulle Tre Cime di Lavaredo, oltre ad aver ripetuto spesso in solitaria gli itinerari più noti delle montagne di casa e non solo, guidando inoltre famosi personaggi, come Mario Segni ed il coetaneo, ex Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga. Tra i suoi clienti c’è stata anche Angiola, una ragazza di Milano che diverrà poi sua moglie).
Dopo sette anni, messo da parte il denaro bastante, i due coniugi acquistano una baita in legno proprio in riva al Lago e la trasformano in locanda. Nel frattempo gestiscono anche il Rifugio Principe Umberto (Precedentemente denominato Rifugio Longeres, bombardato nel maggio del 1915, venne ricostruito nel 1925 col nome di Rifugio Principe Umberto. Distrutto da un incendio nel 1955, fu nuovamente restaurato ed ampliato ribattezzandolo, all’inaugurazione avventa nel 1957, come di Rifugio Auronzo), mentre il loro alberghetto di Misurina diventa via via un apprezzato punto di riferimento per alpinisti. Tra quelli c’è anche Dino Buzzati, il giornalista scrittore che, assieme a suo fratello Adriano, si fa accompagnare da Giuseppe in numerose ascensioni dalle quali scaturirà anche una duratura amicizia. Spostato di poco ed ampliato il fabbricato, la famiglia si sistema stabilmente inaugurando la Locanda al Lago dove può dare ospitalità ai molti clienti che apprezzano la buona cucina di Barbara ed i preziosi consigli di Giuseppe che non si risparmia, in qualsivoglia occasione, per mettere a frutto il suo mestiere di guida alpina.
Ormai settantaseienne, nel 1963 Giuseppe cede le redini delle proprie attività al figlio Valerio che nel frattempo ha messo su famiglia e si è perfezionato sia come guida alpina, sia come amministratore. Sistemate le sue cose, Giuseppe torna con la moglie ad Auronzo dove può trascorrere gli ultimi anni della vita allietato dalla nascita dei nipoti: Andreas, Ugo e Lorenzo. Giuseppe muore il 20 novembre del 1970 e viene sepolto al cimitero di Villa Piccola di Auronzo dove Barbara lo raggiungerà sette anni più tardi.

ritratto Il luogo dove ora riposa Giuseppe Quinz