Soppelsa Genuino
Caporal Maggiore (matr. 14719)
7° Alpini, 206ª cp. btg. Val Cordevole
Nato il 19 settembre 1888 a Cencenighe Agordino (BL)
Morto il 18 giugno 1915 sulla Marmolada
Decorazioni
Medaglia d'Argento
Fu di mirabile esempio per arditezza ai soldati della sua squadra. Colpito mortalmente da un
proiettile nemico, a quelli che accorrevano attorno a luim per soccorrerlo, gridava: "Non pensate
a me, pensate a combattere eroicamente".
Forcella Val di Tasca, 18 giugno 1915
Note biografiche
Prima della guerra
Seguendo il mestiere di suo padre, Costante Soppelsa, Genuino si era dato appena possibile a fare
il muratore tagliapietre e fin da giovane, come molti altri delle sue parti, per guadagnarsi da
vivere era dovuto emigrare all’estero. A Vare Alte, la frazione di Cencenighe dov’era nato, aveva
lasciato sua madre, Caterina De Biasio, alla quale non mancava di inviare i magri risparmi che
riusciva a mettere da parte al costo di tante rinunce e sacrifici. Con la speranza di togliersi
dalla miseria, la famiglia si era poi trasferita a Sedico dove un giorno era arrivata la cartolina
che richiamava Genuino al servizio militare.
La Grande Guerra
Si preparava la guerra contro l’Austria ed all’età
di 27 anni, lasciato il lavoro, aveva per ciò dovuto indossare di nuovo la divisa ed il cappello
alpino presentandosi a Belluno dove lo avevano destinato al Val Cordevole, un battaglione del 7°
Alpini appena costituito con le classi anziane del Belluno
(il Val Cordevole si era costituito il 12 maggio 1915 come filiazione territoriale del Belluno.
Al suo comando era stato posto il capitano Silvio Magnaghi.
Il Val Cordevole era inizialmente composto da due compagnie: la 206ª agli ordini del tenente
Tito Brida e la 266ª al comando del capitano
Luigi Nuvoloni). Pochi giorni prima dell’inizio delle ostilità
Genuino aveva quindi partecipato all’adunata del suo nuovo battaglione che si era tenuta nella
frazione de La Mora di Canale d’Agordo, poi era partito con gli altri, sotto la pioggia,
risalendo la Valfredda e la Val di Forca, verso i valichi di confine di Forca Rossa e Col Bechèr
a 2.500 metri di quota, fra le nevi del massiccio della Marmolada.
In particolare, il Passo di Forca Rossa era considerato un punto strategico di notevole importanza
essendo la principale via di comunicazione tra Malga Ciapela ed il Passo San Pellegrino. La 206ª
compagnia, quella a cui apparteneva anche il caporal maggiore Soppelsa, era stata posta alle
dipendenze del Comando di battaglione all’Om de la Campagnaccia per essere da lì a poco spostata
verso le posizioni dell’Uomo e la vasta zona montuosa del Costabella.
Il grado di caporal maggiore gli era stato assegnato in considerazione della sua età e del
precedente servizio di leva, ma quel che più contava per Genuino era farsi ben volere dagli uomini
della sua squadra e lui, fin da subito, per le innate doti di simpatia, scherzando amichevolmente
con tutti, era riuscito a risollevare un po’ gli animi degli alpini dalle fatiche e dalle dure
condizioni alle quali ciascuno era assoggettato. Erano ragazzi delle sue parti che parlavano il suo
stesso dialetto e che usavano l’italiano, alla loro maniera, solo per rivolgersi agli ufficiali.
All’inizio del conflitto, nel settore assegnato alla 206ª compagnia, le azioni si risolvevano in
continui duelli fra esperti alpinisti e coraggiosi soldati, ma la vera protagonista della guerra
restava la montagna, aspra ed imprevedibile. Alla metà di giugno Genuino era stato chiamato coi
suoi uomini ad appoggiare un tentativo d’attacco alle linee avversarie di Col Ombert con la
speranza di poter raggiungere in fine la Valle di San Nicolò. L’azione su larga scala era stata
ideata con la partecipazione del battaglione Belluno e del 51° reggimento di fanteria
Alpi, con la 206ª che doveva puntare al Passo delle Ciréle, sul
fondo della Val de la Tascia (Val di Tasca). A quelle quote il manto nevoso era ancora abbondante
ed il nemico, appostato in posizioni vantaggiose, poteva agevolmente notare qualunque movimento.
Non c’era modo di celarsi agli occhi degli Standschützen, specialisti nel tiro a segno, e per
poter avanzare gli alpini dovevano approfittare del buio, della nebbia e del mal tempo, ma questo
rendeva le loro imprese ancor più rischiose. In quelle condizioni gli uomini non potevano pensare
solo a se stessi: per sopravvivere le squadre dovevano agire come un solo organismo solidale.
La morte
Le difficoltà di ciascuno erano spntaneamente assunte da ogni altro e così era successo anche quel
giorno, il 18 giugno del 1915, quando un compagno era scivolato lungo il pendio di neve gelata e
Girolamo Cavalet, un alpinone di Trichiana, era andato in suo soccorso, non pensando certamente
di meritare per ciò una medaglia, anche se poi gli era stata in effetti attribuita. E con lo stesso
spirito di sincera solidarietà alpina, laddove si annulla qualunque differenza di grado, di ceto,
di cultura, Severino Coltamai ci aveva rimesso la pelle per
soccorrere un ufficiale. E così era avvenuto anche quando, pensando agli altri prima che a se
stesso, sapendosi ormai spacciato per colpa di una maledetta fucilata ed essendo ancora sotto tiro,
Genuino aveva gridato ai suoi di non badare a lui e di proseguire piuttosto nell’azione.
Il suo corpo e quello del compagno Severino erano stati in seguito riportati a valle per dar loro
sepoltura in un pianoro al lato della mulattiera che dal Passo di San Pellegrino porta a Fulciade.
Ad accompagnarli lungo l’ultimo sentiero, per salutarli in fine un’ultima volta, ci avevano pensato
gli amici, i loro compagni di squadra, accompagnati dal capitano Andreoletti che, oltre ad
ossequiare quei due bravi alpini, aveva voluto rendere testimonianza della mesta cerimonia fissando
l’immagine delle due croci ai piedi delle cime innevate che li avevano visti cadere con onore.
Genuino Soppelsa in divisa
La foto scattata dal capitano Arturo Andreoletti nel luogo provvisorio di sepoltura di
Genuino Soppelsa e Severino Coltamai nei pressi della strada per Fulciade, non distante dal
tabià che fungeva da comando della 206ª compagnia del btg. Val Cordevole. I corpi di Genuino
e Severino saranno successivamente traslati al Sacrario di Pocol.
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Nato il 19 settembre 1888 a Cencenighe Agordino (BL)
Morto il 18 giugno 1915 sulla Marmolada
Decorazioni
Medaglia d'Argento
Fu di mirabile esempio per arditezza ai soldati della sua squadra. Colpito mortalmente da un proiettile nemico, a quelli che accorrevano attorno a luim per soccorrerlo, gridava: "Non pensate a me, pensate a combattere eroicamente".Forcella Val di Tasca, 18 giugno 1915
Note biografiche
Prima della guerra
Seguendo il mestiere di suo padre, Costante Soppelsa, Genuino si era dato appena possibile a fare il muratore tagliapietre e fin da giovane, come molti altri delle sue parti, per guadagnarsi da vivere era dovuto emigrare all’estero. A Vare Alte, la frazione di Cencenighe dov’era nato, aveva lasciato sua madre, Caterina De Biasio, alla quale non mancava di inviare i magri risparmi che riusciva a mettere da parte al costo di tante rinunce e sacrifici. Con la speranza di togliersi dalla miseria, la famiglia si era poi trasferita a Sedico dove un giorno era arrivata la cartolina che richiamava Genuino al servizio militare.La Grande Guerra
Si preparava la guerra contro l’Austria ed all’età di 27 anni, lasciato il lavoro, aveva per ciò dovuto indossare di nuovo la divisa ed il cappello alpino presentandosi a Belluno dove lo avevano destinato al Val Cordevole, un battaglione del 7° Alpini appena costituito con le classi anziane del Belluno (il Val Cordevole si era costituito il 12 maggio 1915 come filiazione territoriale del Belluno. Al suo comando era stato posto il capitano Silvio Magnaghi. Il Val Cordevole era inizialmente composto da due compagnie: la 206ª agli ordini del tenente Tito Brida e la 266ª al comando del capitano Luigi Nuvoloni). Pochi giorni prima dell’inizio delle ostilità Genuino aveva quindi partecipato all’adunata del suo nuovo battaglione che si era tenuta nella frazione de La Mora di Canale d’Agordo, poi era partito con gli altri, sotto la pioggia, risalendo la Valfredda e la Val di Forca, verso i valichi di confine di Forca Rossa e Col Bechèr a 2.500 metri di quota, fra le nevi del massiccio della Marmolada.In particolare, il Passo di Forca Rossa era considerato un punto strategico di notevole importanza essendo la principale via di comunicazione tra Malga Ciapela ed il Passo San Pellegrino. La 206ª compagnia, quella a cui apparteneva anche il caporal maggiore Soppelsa, era stata posta alle dipendenze del Comando di battaglione all’Om de la Campagnaccia per essere da lì a poco spostata verso le posizioni dell’Uomo e la vasta zona montuosa del Costabella.
Il grado di caporal maggiore gli era stato assegnato in considerazione della sua età e del precedente servizio di leva, ma quel che più contava per Genuino era farsi ben volere dagli uomini della sua squadra e lui, fin da subito, per le innate doti di simpatia, scherzando amichevolmente con tutti, era riuscito a risollevare un po’ gli animi degli alpini dalle fatiche e dalle dure condizioni alle quali ciascuno era assoggettato. Erano ragazzi delle sue parti che parlavano il suo stesso dialetto e che usavano l’italiano, alla loro maniera, solo per rivolgersi agli ufficiali.
All’inizio del conflitto, nel settore assegnato alla 206ª compagnia, le azioni si risolvevano in continui duelli fra esperti alpinisti e coraggiosi soldati, ma la vera protagonista della guerra restava la montagna, aspra ed imprevedibile. Alla metà di giugno Genuino era stato chiamato coi suoi uomini ad appoggiare un tentativo d’attacco alle linee avversarie di Col Ombert con la speranza di poter raggiungere in fine la Valle di San Nicolò. L’azione su larga scala era stata ideata con la partecipazione del battaglione Belluno e del 51° reggimento di fanteria Alpi, con la 206ª che doveva puntare al Passo delle Ciréle, sul fondo della Val de la Tascia (Val di Tasca). A quelle quote il manto nevoso era ancora abbondante ed il nemico, appostato in posizioni vantaggiose, poteva agevolmente notare qualunque movimento. Non c’era modo di celarsi agli occhi degli Standschützen, specialisti nel tiro a segno, e per poter avanzare gli alpini dovevano approfittare del buio, della nebbia e del mal tempo, ma questo rendeva le loro imprese ancor più rischiose. In quelle condizioni gli uomini non potevano pensare solo a se stessi: per sopravvivere le squadre dovevano agire come un solo organismo solidale.
La morte
Le difficoltà di ciascuno erano spntaneamente assunte da ogni altro e così era successo anche quel giorno, il 18 giugno del 1915, quando un compagno era scivolato lungo il pendio di neve gelata e Girolamo Cavalet, un alpinone di Trichiana, era andato in suo soccorso, non pensando certamente di meritare per ciò una medaglia, anche se poi gli era stata in effetti attribuita. E con lo stesso spirito di sincera solidarietà alpina, laddove si annulla qualunque differenza di grado, di ceto, di cultura, Severino Coltamai ci aveva rimesso la pelle per soccorrere un ufficiale. E così era avvenuto anche quando, pensando agli altri prima che a se stesso, sapendosi ormai spacciato per colpa di una maledetta fucilata ed essendo ancora sotto tiro, Genuino aveva gridato ai suoi di non badare a lui e di proseguire piuttosto nell’azione.Il suo corpo e quello del compagno Severino erano stati in seguito riportati a valle per dar loro sepoltura in un pianoro al lato della mulattiera che dal Passo di San Pellegrino porta a Fulciade. Ad accompagnarli lungo l’ultimo sentiero, per salutarli in fine un’ultima volta, ci avevano pensato gli amici, i loro compagni di squadra, accompagnati dal capitano Andreoletti che, oltre ad ossequiare quei due bravi alpini, aveva voluto rendere testimonianza della mesta cerimonia fissando l’immagine delle due croci ai piedi delle cime innevate che li avevano visti cadere con onore.
Genuino Soppelsa in divisa
La foto scattata dal capitano Arturo Andreoletti nel luogo provvisorio di sepoltura di Genuino Soppelsa e Severino Coltamai nei pressi della strada per Fulciade, non distante dal tabià che fungeva da comando della 206ª compagnia del btg. Val Cordevole. I corpi di Genuino e Severino saranno successivamente traslati al Sacrario di Pocol.
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