Attacchi italiani
Maggio 1916
Gli italiani non avevano intenzione di lasciar perdere la favorevole occasione e trasferirono in
Val Cordevole la brigata Reggio; verso la fine di
aprile giunse a Caprile il comando di brigata con 4 battaglioni. La notte sul
4 maggio 2 battaglioni del 46° ed 1 del 45° diedero il cambio ai reparti della
Calabria.
Il comando austriaco, per prevenire le ormai evidenti intenzioni italiane, costituì un reparto
d'assalto (4 gruppi da 20 soldati) composto di volontari ed estratti a sorte; il reparto, agli
ordini del cap. Demian dispose un gruppo sulla cresta del Sief, due gruppi sulla destra ed uno in
riserva. L'artiglieria avrebbe dovuto fornire supporto bombardando per 15 minuti (in 3 riprese) le
posizioni italiane ma la nebbia impedì un'azione efficace. L'azione venne tentata ugualmente ma
costò 10 morti e parecchi feriti. Dal passo dell'Incisa il gen.
Goiginger assieme al col.
Vonbank ed al col. von Sparber
sollecitarono un nuovo tentativo per la sera del 6 maggio: neppure questo portò i
risultati sperati.
Il bombardamento italiano proseguì anche nei giorni seguenti finchè il 9 maggio al Col
di Roda venne colpita una baracca contenente 550 Kg di dinamite; l'esplosione che ne seguì causò
22 morti e 30 feriti tra gli zappatori della 2ª compagnia del 14° Reggimento Artiglieria da
Fortezza che avevano i baraccamenti in zona.
Il comando austriaco rinunciò definitivamente alla riconquista di Cima Lana e si preparò a
fronteggiare l'offensiva italiana. La macchina bellica italiana era però assai lenta e solo il
12 maggio il gen. Cadorna,
recatosi in visita nel settore (presso Alleghe) approvò i piani operativi per il prosieguo
dell'azione che prevedevano, dopo la neutralizzazione di "Paul", l'avanzata su tre lati contro il
Sief.
Trincea sul Dente del Sief (Arch. Morell)
Nella notte tra il 15 ed il 16 maggio reparti del 46° escono dal cocuzzolo ex
austriaco e si inerpicano per il pendio, puntando su "Paul". Il terreno era però stato minato dagli
austriaci e le bombe che vennero fatte rotolare dall'alto stroncarono definitivamente l'attacco.
Altri tentativi vennero eseguiti nella notte ma non portarono nessun tangibile progresso. Un attacco
venne sferrato anche in direzione del Sief: un gruppo di assaltatori giunse fino ai reticolati ma
venne respinto fino alla base del Vallone del Sangue (Pala del Pak). Altri due tentativi senza
esito si verificarono il 16 maggio alle 1 ed alle 3. Per tutti questi assalti, vale il seguente
giudizio di Schemfil:
"La base di partenza degli attaccanti era situata troppo in basso ed il terreno per raggiungere
la nostra posizione avanzata ("Paul") molto impervio e roccioso con strati di ghiaia. Pareva
impossibile che degli esseri umani potessero arrampicarsi fin lassù sotto il fuoco dei nostri
soldati che li attendevano a piè fermo."
Anche il presidio austriaco (formato da circa 30 uomini) lamentò 5 morti e 10 feriti: giunsero però
in rinforzo 10 uomini carichi di bombe a mano. La notte tra il 16 ed il 17 maggio il
presidio ebbe il cambio da un reparto agli ordini del cad. Schmidbauer che di quei giorni dice:
"Nella notte fra il 16 ed il 17 maggio mi recai - per la terza volta - ad assumere il comando
del posto avanzato "Paul" e con me vennero altri 27 volontari. Quando vi giunsi per la prima volta,
una settimana fa, la situazione non mi sembrava molto critica. [...]
Il picchetto che presidiava l'avamposto italiano situato circa 50 passi davanti a noi e collegato
con un ripido camminamento alla vetta del Col di Lana, ci aveva lasciati abbastanza in pace. Anzi
ci chiamavamo reciprocamente e volavano avanti e indietro parole scherzose. Ci pregarono di lasciar
loro recuperare i morti rimasti sulla cresta e noi lo permettemmo molto volentieri, poichè le salme
a 10 o 20 passi da noi diffondevano un odore insopportabile [...]
Quando ritornai qui per la seconda volta la situazione era molto peggiorata [...]
Assai peggio ci trovammo la terza volta [...]"
Già alle 24, poco dopo il cambio, dovette respingere un attacco italiano. Alle 6 si aggiunge il
fuoco dell'artiglieria italiana che è il prologo all'attacco delle 6.30: gli italiani riescono in
taluni punti ad infiltrarsi nella linea austriaca e rendono così insostenibile la situazione del
presidio che è costretto a retrocedere lungo il Camminamento C. Con un ultimo disperato
contrattacco gli austriaci si riprendono la posizione alle 8.30 del 17 maggio:
rimasero solo 6 uomini validi e 100 cartucce di fucile.
"Ma per il momento, ringraziando Dio, gli italiani non si fecero avanti: anche per loro la
giornata era stata difficile. [...]
I nostri feriti erano in condizioni pietose e non potevamo fare nulla per mitigare le loro
sofferenze. [...]
Sulla nuda roccia, accanto a noi, agonizzavano due nostri soldati anziani, con il ventre squarciato
da quale fuoriuscivano le budella. Erano entrambi padri di famiglia: l'uno teneva in mano la
fotografia della moglie e dei figli e l'altro un piccolo crocefisso, e giacevano fra atroci dolori
in attesa della morte."
Come se non bastasse, l'artiglieria austriaca, credendo perduta la posizione, dopo le 10 inizia a
sparare per distruggerla: rimasero vivi 5 uomini, ma nessuno era più in grado di sparare. Alle 11
viene inviato un portaordini ed alle 11.30 il tiro fratricida finisce; alle 12 giungono altri 5
uomini di rinforzo (ne erano però partiti 14). A sera giunse anche l'ordine di ritirata ed alle 14
del 18 maggio il presidio rientrava in seno alla sua compagnia. Per il cad.
Schmidbauer c'era la Medaglia d'Oro, per tutti gli altri quella d'Argento.
Ma la posizione non venne abbandonata nonostante il tiro dell'artiglieria italiana causasse circa
una decina di morti al giorno.
Alle 4 del 21 maggio tutto il settore venne fatto oggetto di un tremendo
bombardamento. Il posto avanzato sulla cresta (40 uomini del 2° Reggimento Bosniaco del ten. Kohl)
venne attaccato dalla 5ª, 6ª e 8ª del III/46°. L'azione si svolse sui due lati della cresta: il
gruppo di sud - ovest non riuscì ad avanzare mentre quello che proveniva da est era trattenuto dal
fuoco di un cannoncino e quattro mitragliatrici sul Sief. Un gruppo di fanti di sorpresa riuscì a
raggiungere le linee austriache e a catturare 30 bosniaci ed una mitragliatrice. Così ricorda
l'episodio il s.ten. Nosari (62ª/V batt. zappatori):
"Poco prima della mezzanotte, il colonnello Giulio Corradi, comandante del 46° reggimento
fanteria, seguito dai suoi aiutanti e dai soldati portaordini, raggiunse l'imboccatura della
galleria Trieste, dove pose il suo comando. Davanti a lui sfilò l'8ª compagnia con il tenente
Rigo ed i sottotenenti Fadda, Chirico, Cecchini, Bassone e la 6ª con i sottotenenti Ameris,
Cocola e Motzo; le due compagnie, prendendo il camminamento occidentale e sdrucciolando giù dalla
calata, si arrestarono fra i sassi del nostro posto avanzato. Intanto la 5ª compagnia, guidata dal
tenente Rosselli e dal sottotenente Murtas, scalava guardinga le rocce antistanti le trincee
dell'ex Montucolo austriaco.
Il maggiore Oreste Mariotti, comandante del III battaglione, con il suo aiutante, il tenente Vaghi
e il mitragliere Anedda, frammisto ai combattenti, attendeva il segnale di attacco.
Alle ore 3.30, i due cannoni del tenente Enzo Carbone, piazzati sul Costone di Salesei, ruppero il
silenzio e colpirono in pieno un pezzo nemico nascosto nel folto della boscaglia di Cherz. Era il
segnale per un bombardamento più massiccio: tutto il Sief sembrò ribollire sotto la furia delle
nostre artiglierie che obbligarono gli austriaci a ripararsi alla meno peggio.
Alle 4 del mattino il bombardamento ebbe termine. Non si era ancora spenta l'eco dell'ultimo colpo
di cannone, che l'8ª compagnia occupò di slancio il roccione ove si trovava il posto avanzato
nemico, impedendo ai bosniaci, sbucati dal loro ricovero, di rioccuparlo.
Contemporaneamente la 5ª compagnia discese le rocce sulla sinistra e raggiunse la posizione da poco
occupata. L'onda dei nostri, agitandosi intorno agli scogli, riempiendo le fosse, emergendo con il
balenio degli elmetti lungo la cresta ed i trinceramenti conquistati, si riversò in avanti, di
fronte al nemico, che, combattendo con tenacia, si ritrasse sopra il primo piazzaletto su cui si
apriva una cavernetta che gli italiani avrebbero poi battezzato con il nome del capitano Serafini,
ucciso più tardi proprio sull'angusta apertura. Due torpedini ad acido solforico esplosero
lanciando all'aria i combattenti.
Il sottotenente Fadda cadde ferito a morte, le gambe infrante, la mano destra scarnificata per lo
scoppio prematuro di una bomba. Accanto a lui un soldato con il ventre squarciato si torceva
furioso: 'Aiuto! Dio! Dio!'.
'Mamma! Mamma!' invocò Fadda 'portatemi via' ...
'Attenda signor tenente' gli disse un sergente 'ora non è possibile!'
'Uccidimi!' E, rivolto al soldato ferito, con voce lamentosa, disse: 'Stai fermo ... mi fai male ...'
Il soldato volse il suo viso dolorante, fissò in faccia il suo compagno di tormenti e mormorò:
'Scusi, signor tenente, soffro tanto che vorrei morire ...' poi diede in sussulti, lanciò un urlo,
tuffò il viso nella fanghiglia e rimase immoto. Poco distante caddero colpiti Rosselli, Ameris,
Cocola, Motzo e Chirico.
Nell'oscurità della notte si stagliavano nel cielo fasci di luce dei riflettori ed esplodevano
razzi abbaglianti che lasciavano intravedere gli informi viluppi dei reticolati e gli sbrecciati
ripari costituiti da sacchetti pieni di terra accatastati gli uni sugli altri.
Ai piedi delle due cime, un'enorme buca - il cratere scavato dallo scoppio della mina - e, più
avanti, le trincee perdute dal nemico ancora sconvolte e alla meglio riassettate dai nostri.
Sullo sfondo, oltre i precipizi che fiancheggiavano la posizione conquistata, bianco di neve,
spettrale per la luce dei riflettori, ci appariva il Sief occupato dagli austriaci, aspro, tutto a
punte, a pinnacoli scagliosi, a stalattiti di roccia, fantastico come un castello irreale, unito al
Col di Lana da un'angusta sella, contorta, a metà della quale balenavano le armi del nostro posto
avanzato e, poco più in là, quelle del posto nemico."
Il comando austriaco non si rese conto rapidamente della perdita della posizione e per sicurezza
inviò alcune pattuglie lungo la cresta: la terza constatò che la posizione era in mano degli
italiani ed alle 16 recapitò la notizia al comando. Il col. von Sparber ordinò il fuoco dei grossi
calibri ed un attacco al tramonto.
Nel frattempo gli italiani scatenavano una più vasta offensiva (dal Col di Roda alla Sella del
Sief) con il 45°, l'82° ed il XX bersaglieri ma senza riuscire ad estendere l'occupazione.
Dopo una breve tregua, durante la notte il combattimento si inasprì tanto che alla fine si
registrarono da parte italiana 144 morti, 866 feriti e 141 dispersi, mentre gli austriaci
lamentarono in tutto 338 perdite.
Questo il giudizio del Viazzi sull'azione:
"Il sacrificio di sangue non era proporzionato ai risultati ottenuti con l'occupazione del posto
avanzato 'Paul'. La nostra situazione tattica non migliorava di molto poichè, ora, ci trovavamo di
fronte un nuovo ostacolo: il Dente del Sief, rimasto più che mai saldamente nelle mani del nemico,
il quale aveva, del resto, in posizione più arretrata, un altro sistema difensivo di primissimo
ordine - la cosiddetta "Piramide nevosa" - dove eventualmente avrebbe potuto ritirarsi ed opporre
ancora una forte resistenza."
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