Vigilia di guerra
Maggio 1915
Nel novembre del 1914 si costituì il sodalizio «Sursum Corda» che diede origine al «Battaglione Volontari» che,
dal nome del suo promotore e comandante, si chiamò battaglione «Negrotto». Quasi contemporaneamente, il 15 dicembre,
veniva costituita una speciale compagnia dello stesso battaglione (la 5ª), nella quale affluirono subito
gli irredenti trentini (tra i quali Cesare Battisti) rifugiatisi in Italia per sottrarsi alla coscrizione militare austriaca.
Di questa compagnia di volontari trentini, per designazione degli stessi componenti, fu comandante
Arturo Andreoletti. Questa compagnia si ritrovava
normalmente ogni giovedì sera nella Caserma Villata di via S. Vittore a Milano, per l'istruzione teorico-militare,
mentre le esercitazioni pratiche si svolgevano la domenica mattina in Piazza d'Armi o nei dintorni della città. Il
31 marzo 1915 Andreoletti veniva richiamato in servizio al 7° Reggimento Alpini e dovette lasciare il comando della
compagnia volontari trentini. Ai primi d'aprile del 1915, Andreoletti raggiunse a Belluno il suo vecchio 7°, e per
qualche giorno rimase alla sede del reggimento, venendo poi temporaneamente assegnato al battaglione
Val Piave che si andava costituendo in Cadore, a Pelòs. Da qui,
un successivo ordine del comando superiore lo trasferì, col compito alquanto vago di ufficiale informatore,
in quel di Misurina, dove rimase poco tempo. Infine, ai primi di maggio, venne nuovamente richiamato a Belluno,
dove lo attendeva l'inattesa nomina ad aiutante maggiore del battaglione Val Cordevole
che si era costituito il 12 maggio, come filiazione territoriale del battaglione Belluno.
Pochi giorni prima che la guerra venisse formalmente dichiarata, il battaglione messo insieme alla bell'e meglio venne avviato,
naturalmente a piedi, su per la Val Cordevole, verso il Ponte del Ghirlo (Cencenighe) alla confluenza della Val Biois con il
Cordevole. Nei giorni seguenti il battaglione rimontava la Val Biois, raggiungendo in breve il villaggio di Celat, dove soggiornò
qualche giorno, risalendo poi ancora la valle sino al minuscolo abitato de La Mora, nel comune di Falcade.
Questo periodo venne interamente dedicato alla sistemazione delle due compagnie, al fine di completarne gli effettivi
con i richiamati che giungevano a spizzico dal deposito di Belluno, per integrarne nei limiti del possibile l'equipaggiamento
e l'armamento e quanto altro indispensabile per soggiornare e combattere in alta montagna.
All'Aiutante Maggiore Andreoletti incombeva una non lieve attività:
collaborare all'organizzazione del reparto di nuova formazione e coadiuvare il comandante nello studio e nella ricognizione del territorio
sul quale il battaglione doveva operare. Ricordando che a Milano, fra i profughi irredenti c'erano dei buoni conoscitori della zona di
confine verso la quale erano diretti, egli previa autorizzazione dei comandi superiori - ottenne dalla Commissione dell'Emigrazione
Trentina l'invio al battaglione, in qualità d'informatori e guide, di alcuni volontari. La richiesta venne prontamente accolta, e
alcuni giorni dopo giunsero in Val Biois i volontari trentini Francesco Brigadoi,
Gustavo Ochner e Gian Battista Trappmann.
Il Capitano Luigi Nuvoloni, comandante la 266ª Compagnia, si mostrò molto
diffidente nei loro confronti e manifestò questa sua preoccupazione in una lettera del 2 giugno 1915 indirizzata al comandante del
battaglione, Capitano Magnaghi:
"Ti scrivo per dovere di coscienza. Il giorno in cui i nostri venti uomini fecero una ricognizione ardita con Trappmann,
a me diede il sospetto il fatto di veder tornare indietro il Trappmann da solo. Ma dato quanto si diceva di lui non manifestai tale
impressione. Ora però scendendo verso il basso, alcuni borghesi si sono sentiti in dovere, non interrogati, di avvertire che il
Trappmann e un certo Hochner (non so se sia uno di quelli lassú, ma mi si disse di sí) sono tutt'altro che fedeli. Mi si soggiunse
anzi che anche prima della guerra il Trappmann andava e veniva indisturbato dall'Austria in Italia e viceversa (cosa per gli irredenti
e i profughi quasi impossibile) e che, pur non avendo mezzi, conduceva già una vita molto ma molto buona. Essi dissero che
certamente sfruttava la sua posizione di profugo per venire di qui a vantaggio però dei nostri avversari. Ti riferisco tutto
ciò affinché tu possa stare in guardia, senza nessuna prevenzione, ma cosí come mi fu detto."
Alle ore 22:00 del 23 maggio 1915, il comando della 18ª Divisione, facente parte del IX Corpo d'Armata, diramava il suo primo ordine di operazione,
nel quale si dichiarava di assumere la direzione delle truppe operanti nella Val Cordevole e si precisava l'entità del settore assegnato,
che andava dalla Croda Grande (Gruppo delle Pale di S. Martino) al villaggio di Caprile in Val Cordevole. Le truppe dipendenti venivano
suddivise in due gruppi: il primo costituito dal battaglione alpino Belluno, dal 51° Reggimento
Fanteria Alpi e da una batteria d'artiglieria da montagna, dislocata fra Col Fraida, Malga Ciapèla,
Col Federa, Sottoguda e Rocca Piétore; il secondo gruppo comprendeva il XX battaglione bersaglieri e una batteria da montagna a Falcade,
il XVIII battaglione bersaglieri con un'altra batteria a Cencenighe, il XXV battaglione bersaglieri a Caviola in Val Biois, ed il battaglione alpino
Val Cordevole a La Mora di Falcade.
L'ordine stabiliva che il Comando della brigata Alpi assumesse il comando dei due gruppi e concludeva: "Dalla mezzanotte del 23 al 24 corrente
tutte le truppe assumeranno le misure di sicurezza prescritte dal regolamento di servizio in guerra."
In quello stesso giorno il battaglione Val Cordevole lasciava Celat per raggiungere la
testata della Val Franzedàs, tra il Passo della Forca Rossa e quello del Col Becher.
La marcia di trasferimento si svolse celermente e senza incidenti, nonostante la pioggia e la neve, ancora molto alta sul terreno.
Il giorno 24 la 266ª Compagnia si attestava sul valico della Forca Rossa (quota 2.486) e su quello del Col Becher (quota 2.305) che si aprono sulla
vasta spalla erbosa, all'estremità occidentale delle Cime dell'Auta, e scoscendono rispettivamente a sud e a ovest di un profondo burrone
chiamato «Le Marmolade».
Nel frattempo il comando del 3° Reggimento Bersaglieri, alle cui dipendenze si trovava
il battaglione Val Cordevole, chiedeva al comandante dello stesso se riteneva possibile
raggiungere (lungo la linea di cresta) la Cima di Costabella, allo scopo poi di attaccare i reparti austriaci che occupavano il Passo Le Selle.
Considerata la difficile percorribilità del lungo crinale montuoso, la risposta fu negativa, senza tuttavia escludere la possibilità di
movimento lungo i fianchi ghiaiosi e meno impervi. Il progetto fu pertanto rimandato, subordinandolo all'acquisizione di notizie piú complete
sullo schieramento austriaco. A questo scopo, il giorno 26 vennero eseguite diverse ricognizioni verso il Passo Le Selle e la conca di
S. Pellegrino, al fine di accertare l'entità dell'occupazione austriaca. Nel frattempo veniva stabilito il collegamento nell'alta Val
Pettorina con il battaglione Belluno il quale, rinforzato da una compagnia del 51° Fanteria,
operava sulla destra, nelle valli dell'Ombretta e dell'Ombrettòla.
Il giorno 27 maggio, il battaglione Val Cordevole, che intanto aveva raggiunto il
breve sperone roccioso denominato Le Saline (quota 2.388) ed il costone erboso che scende a Col de Mez, varcava il confine politico.
Due pattuglie di venti alpini ciascuna furono subito inviate in ricognizione, l'una verso il Passo Le Selle e l'altra verso il Passo
d'Ombrettòla. Quella prima intensa giornata si concluse con l'occupazione di un modesto rilievo erboso denominato l'Uomo della Campagnaccia
(quota 2.469), situato a sud della linea di cresta della Costabella. Questa altura sbarra come un bastione naturale la parte settentrionale della
Conca di S. Pellegrino. Per tutta la durata della guerra l'Uomo della Campagnaccia l'unica posizione italiana direttamente contrapposta a quella
austriaca del Passo Le Selle. A presidiarla venne inviato un piccolo reparto di alpini al comando di un ufficiale. Il giorno dopo, gli alpini
del Val Cordevole si spinsero ancora piú avanti, fino a occupare la quota 2.219, oltre la Val Tegnassa.
Infine l'intera 266ª compagnia andò a presidiare l'Uomo della Campagnaccia, mentre alcune pattuglie venivano staccate fino a raggiungere gli angusti
intagli della Cresta di Costabella, allo scopo di riconoscere l'andamento della linea antistante.
Gli austriaci, allo scoppio della guerra, avevano subito inviato sulla linea di confine i primi reparti di Standschützen, che si andavano costituendo in tutto il territorio del Tirolo. Si trattava di volontari appartenenti alle migliaia di associazioni di tiro a segno che esistevano in Austria: ogni paese aveva la sua compagnia e ogni vallata il suo battaglione. Truppa alquanto eterogenea, ma l'esercito imperiale non disponeva di meglio in quei giorni; le truppe migliori si trovavano in Galizia alle prese con l'esercito russo. Le valli di S. Pellegrino, Monzoni, S. Nicolò, Contrín e Avisio vennero presidiate da questi reparti in unione ai Landstürm (territoriali). Gli austriaci in un primo tempo non avevano dato molta importanza a questo settore (tra il Passo S. Pellegrino ed il Passo della Fedaia) e vi avevano dislocato due battaglioni di Landstürm alle estremità e due battaglioni di Standschützen all'interno. Tali reparti avevano una forza variabile in quanto non organicamente costituiti. Le compagnie di Standschützen (Kastelruth, Dornbirn, Imst, Welschnofen e Nauders-Ried) venivano impiegate al completo e avevano compiti e settori ben definiti, mentre le compagnie di Landsturm venivano frazionate in presidi di mezza compagnia. Tutti dipendevano da un unico comando di divisione che si trovava a Vigo di Fassa.
In queste valli esistevano prima della guerra alcuni trinceramenti a Fango, Contrín e Fedaia ma nessuna opera difensiva in muratura. In giugno cominciarono a giungere nella zona lavoratori militarizzati, prigionieri di guerra e vennero reclutati portatori valligiani per costruire baraccamenti e ridottine, scavare trincee e stendere reticolati. Il sistema difensivo era stato rafforzato in modo particolare sui monti a settentrione di Val S. Nicolò, in quanto gli austriaci pensavano di contrastare l'avanzata italiana in tale vallata. Essi non avevano nessuna intenzione di rimanere sulle frastagliate Creste di Costabella, le cui vie di accesso, dal loro versante, presentavano notevoli difficoltà. Gli austriaci erano convinti che, se gli italiani fossero scesi lungo quelle vaste e instabili distese di ghiaia, sarebbero poi rimasti intrappolati in caso di contrattacco, dovendo superare notevoli difficoltà per risalire in cresta.
In queste prime settimane gli italiani non effettuarono ulteriori movimenti in avanti e gli austriaci poterono costruire trinceramenti e baracche nei punti nevralgici della vallata. Di tanto in tanto l'artiglieria italiana distruggeva alla luce del giorno quel che durante la notte era stato faticosamente costruito. Ma data la metodicità dei tiri, questi potevano essere previsti, e quindi poche risultarono le vittime. Gli austriaci, in tale periodo, non potevano controbattere, in quanto disponevano - in tutta la zona - di sole due mitragliatrici e solo con la venuta dell'Alpenkorps poterono disporre di due cannoni da montagna, uno piazzato a Prà Contrín e l'altro al Col Ombèrt. Verso la fine di luglio giunsero altri cannoni di maggior calibro: due vennero piazzati in Val S. Pellegrino e due presso Alba di Canazei.
In giugno cominciarono ad arrivare piú consistenti rinforzi: sul fronte del IV Rayon fra Val S. Pellegrino ed il Passo Pordoi entrò in linea la 179ª brigata di fanteria austriaca, con i battaglioni Nr. 29 e Nr. 38 del Landstürm, nonché reparti dell'Alpenkorps tedesco. In Val S. Pellegrino si andava inoltre ammassando la 55ª brigata di fanteria austriaca. Ambedue le brigate costituivano la 90° divisione, agli ordini del generale Scholz e alle dirette dipendenze del General Krafft von Dellmensingen, comandante del Deutsche Alpenkorps.