Reazione austriaca
Aprile-Maggio 1916
Per tutta l'estate e l'autunno del 1915 gli italiani avevano tentato inutilmente di prendere o
accerchiare il Castelletto ma senza esito.
Nell'inverno, il ten. Fleck dell'Alpine Detachement N.1 aveva a lungo scavato una grotta nella
parete sud ovest. Avrebbe dovuto servire da nido di artiglieria per un pezzo da montagna puntato
contro Cima e Forcella Bos ma il 22 marzo, subito dopo l'apertura della feritoia, vi
scoppiarono delle granate italiane e non se ne fece nulla.
Il presidio austriaco nella primavera del 1916 era di 50 uomini con 2 mitragliatrici, 2 moschetti
e 2 lanciamine; vi era anche un cannone che però non aveva mai sparato un colpo a causa di un
infelice piazzamento. La maggior parte del presidio era composta da uomini della Streifkompanie 6.
Negli ultimi giorni di marzo pervennero al cap.
Raschin dei rapporti secondo i quali ai
piedi della Tofana vi era un motore in attività. Le contromisure furono il lancio di granate a
mano e l'utilizzo del cannone.
Il giorno 11 aprile gli austriaci notano che lo Scudo era stato rinforzato e munito di
lastre da cannone; la pattuglia composta dal cap.
Raschin, 2 ufficiali di artiglieria e il
s.ten. Von Call viene bersagliata
dall'artiglieria italiana ed un artigliere rimane colpito. Per molti giorni il
Raschin rimase sul Castelletto e cercò di
provocare i massimi danni agli italiani ed anche di "distrarre" i cannoni italiani che stavano da
un po' di giorni martoriando il Col di Lana.
Il 28 aprile cadde colpito dagli alpini dello Scudo, mentre osservava dei trasporti di
truppe italiani sulla strada delle Dolomiti, l'alf. Senekovicz che aveva appena sostituito
sull'osservatorio il s.ten. Putscher.
Il 3 maggio il cap. Raschin scrive:
"La perforatrice nemica procede alacremente nel suo lavoro di mina. Si odono circa 70 colpi al
giorno. Anche l'Augustposten ci procura dei grattacapi più che mai."
ed allo stesso tempo ha già provveduto a far trasferire i ricoveri che sembrano maggiormente
minacciati. L'8 maggio la certezza:
"Non v'ha più dubbio alcuno: il nemico, con la sua opera di perforazione, ci vuol far saltare
in aria."
Cercò allora in tutti i modi di impedire lo scoppio, o per lo meno di ritardarlo e renderlo per
quanto possibile innocuo; a più riprese fece effettuare lanci di mine, granate e barilotti di
esplosivo.
L'artiglieria austriaca, coadiuvata dai lanciabombe, iniziò a battere le posizioni italiane
provocando un lento e costante stillicidio di perdite; lo scudo stesso venne distrutto e sostituito
con sacchetti di sabbia. Da parte italiana vi era l'impossibilità di controbattere in modo
adeguato, dato che i lanciabombe e le bombarde da 58A erano stati mandati in Trentino per arginare
la Strafeexpedition. Solo alla fine di maggio arrivò il primo lanciabombe Thèvenot.
Secondo le previsioni di Tissi e Malvezzi il 28 maggio è il punto di non ritorno, ovvero
quello in cui si deve avere la certezza della disponibilità di tutto l'esplosivo, prima di iniziare
l'ultima fase dei lavori di mina, che dovrà essere velocissima per anticipare i lavori austriaci di
contromina. La richiesta dei due progettisti è di 35 tonnellate di gelatina (contro una produzione
nazionale mensile di 80 tonnellate!).
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