Nazione Da Rin Puppel Eugenio

Grado Caporale

Mostrina  7° Alpini, battaglione Val Piave

Ritratto

Nato il 29 agosto 1893 a Vigo di Cadore (BL)

Morto di vecchiaia il 20 dicembre 1969 a Vigo di Cadore (BL)

Decorazioni

Decorazione Medaglia d'Argento

Comandante di una piccola guardia, in un assalto tentato da tre pattuglie nemiche, dimostrò mirabile fermezza d'animo rigettando, dopo ore di intensa lotta, l'avversario.
Monte Paterno, 4 luglio 1915

Note biografiche

Prima della guerra

Nel paese di Laggio di Cadore, ai piedi del Monte Tudaio e non distante dalle acque del Piave, il 29 agosto del 1893 viene al mondo Eugenio Da Rin. Da quelle parti, tra Vigo, Laggio, Pel?s, Piniè, ed anche più su verso Auronzo, le famiglie Da Rin sono numerose, e per distinguerle tra loro si aggiunge tradizionalmente un secondo cognome che, per Eugenio, è quello dei Puppel. Il ragazzo cresce sano all’aria aperta, perché attorno a casa non mancano di certo prati e boschi dove dare sfogo, con gli amici, alla sua esuberanza giovanile. D’inverno poi, nonostante il freddo, le abbondanti nevicate fanno contenti i giovani del paese che non vedono l’ora di allacciare le tavole agli scarponi per cimentarsi nelle discese lungo i campi imbiancati attorno casa tanto che, quando viene l’ora di fare il militare, non è raro che quei ragazzi vengano scelti tra gli Alpini a frequentare corsi di specializzazione ski-alpinistici. Avviene cos? anche per Eugenio che nel 1912 è chiamato coi suoi coscritti a indossare il cappello alpino, lui quello con la nappina rossa del battaglione Pieve di Cadore. Il 15 settembre dell’anno successivo lo fanno caporale ed alla fine della naja torna a casa orgoglioso del suo brevetto di skiatore patentato.
Quando, appena un anno dopo, lo richiamano sotto le armi, col grado di caporal maggiore lo assegnano al 1° plotone della 268ª compagnia del Val Piave, uno dei battaglioni col nome di “Valle” appena costituiti dal Ministero della Guerra. Sul cappello gli resta la nappina rossa, a testimoniare che il suo nuovo battaglione è degno figlio del Pieve di Cadore e nipote dei “Cacciatori del Cadore”, quelli del glorioso condottiero Pier Fortunato Calvi. Adesso, a comandare i suoi eredi, c’è il cinquantaduenne colonnello Antonio Gioppi, un mantovano di nobili origini trentine.

La Grande Guerra

Ai primi di giugno del 1915 la 268ª compagnia, dopo aver raggiunto Misurina, parte per il Monte Piana dove viene sorpresa da un attacco austriaco che porta all’occupazione degli avamposti che gli alpini avevano già occupato. Viene tentato un contrattacco, ma le posizioni perdute restano in mano agli avversari. In quei giorni Eugenio Da Rin conosce per la prima volta l’orrore della guerra “buona solo a portare alla morte tanta gioventù!” ripeterà per tutta la sua vita. “Quattro alpini ci hanno lasciato la pelle e tra loro il sergente Colle che, ferito, ha continuato ad andare avanti in testa ai suoi finché è stato colpito a morte da un'altra fucilata, e poi il povero Rodolfo Boni, morto nel tentativo di aiutare il tenente De Pluri ormai esanime, ed anche un altro ufficiale, il sottotenente De Toni, morto anche lui! Ed il tenente Berti ha avuto il suo bel da fare in quei disgraziati giorni, a prestar le sue cure ai 18 feriti della compagnia!
Dopo il primo assaggio della cruda realtà della guerra, Eugenio raggiunge coi suoi compagni i prati di Cason de la Crosèra, in Val Marzon. Tutta la compagnia è stata mandata l? a riposo ma i volenterosi alpini si prestano di buon grado a dare una mano per costruire strade, baracche, acquedotti e perfino un campo da bocce perché, proprio l?, si vuole realizzare un centro logistico a servizio di tutti i reparti che operano fra le Tre Cime e il Pian di Cengia. C’è anche l’idea di stendere una teleferica che dovrà arrivare fin sotto la Cima Grande di Lavaredo, ma gli alpini del Val Piave sono nel frattempo chiamati ad altre imprese. Il 1° di luglio il caporal maggiore Da Rin viene mandato sul Monte Paterno con 12 uomini. Sale alla forcella del Camoscio e poi più in alto, dove lascia alcune sentinelle a presidiare gli accessi principali. Con gli altri raggiunge il riparo sistemato a poca distanza dalla vetta ed organizza i servizi di guardia in posizione avanzata dove, protetti a malappena da un muretto a secco, gli alpini si danno il cambio giorno e notte. Passano cos? tre giornate abbastanza tranquille, ma all’alba di domenica, il 4 luglio, si scatena l’inferno: alle quattro di mattina le artiglierie e le mitragliatrici piazzate sulla Torre di Toblin e sul Sasso di Sesto si accaniscono contro il Paterno. Gli alpini restano ben defilati al riparo delle rocce ma Da Rin si rende subito conto che gli austriaci si stanno preparando ad una sortita. E’ probabile che vogliano tentare, in qualche modo, d’impossessarsi della cima del Paternkofel, come lo chiamano loro. Dopo due ore il bombardamento cessa e gli alpini saltano dentro la trincea avanzata da dove scorgono tre pattuglie nemiche, ormai vicine, che salgono celandosi tra le rocce. Le fucilate s’incrociano; dal basso vengono lanciate bombe a mano; un alpino rimane ferito. Gli uomini di Da Rin rispondono al fuoco e se non bastasse, gettano pietre che rimbalzano tra le forre sottostanti. Gli Standschützen si ritirano ma uno cade riverso, morto, e il suo corpo va ad incastrarsi in una strozzatura tra le rocce, il camino Oppel. Più tardi si saprà che il nome di quello sventurato è Sepp Innerkofler, la famosa guida alpina di Sesto che gestiva la Dreizinnenhütte, il rifugio ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo distrutto dall’artiglieria italiana nei primi giorni di guerra. Sventato l’attacco, la sera stessa gli alpini del Paterno ricevono il cambio e tornano a valle a riferire l’accaduto al capitano Neri. Il caporal maggiore Eugenio Da Rin sarà proposto per una medaglia d’argento.

Durante lo stesso mese di luglio reparti della 75ª compagnia del Cadore e della 267ª del Val Piave riescono a trasportare un grande faro sulla Cima Grande di Lavaredo, ed a due terzi d’altezza dello spigolo sud-est anche un pezzo d’artiglieria. Il faro s’illumina d’improvviso durante la prima notte dell’assalto che viene tentato contro il Passo Toblinger e contro il Sexten Stein. Alle due di notte del giorno 14 anche Da Rin è pronto, col resto della sua compagnia, a procedere da Forcella Lavaredo. La lama di luce facilita l’avvicinamento alle linee austriache ma non impedisce all’artiglieria ed alle mitragliatrici avversarie di bersagliare gli attaccanti. La pattuglia di Da Rin raggiunge i reticolati che difendono le trincee del Toblinger, ma viene accolta da un intenso fuoco di fucileria ed è costretta a retrocedere; due alpini sono feriti gravemente, per un altro non c’è più nulla da fare. Tra i primi due c’è anche Da Rin che, con entrambe le mani fuori uso, torna da solo nelle retrovie per farsi medicare. Le ferite sono per? più gravi del previsto ed il tenente medico Berti lo invia all’ospedale di Auronzo da dove, constatata l’impossibilità di prestargli adeguate cure, lo fanno proseguire per il policlinico di Pallanza, sul Lago Maggiore. Dopo qualche mese di ricovero Eugenio viene di nuovo inviato al fronte con la promozione a sergente, giusto in tempo per dare il suo contributo alle azioni della 268ª compagnia contro le cime del Forame e per “godersi” un altro rigidissimo inverno tra le crode del Cristallo prendendo parte a pattugliamenti ed infruttuosi assalti.

Nella notte tra il 4 e il 5 novembre del 1917 i tragici eventi di Caporetto costringono anche il Val Piave a lasciare le Dolomiti. Disceso a Vodo di Cadore e trasportato con autocarri al Passo del Fadalto, il battaglione risale i paesi dell’Alpago per attestarsi sull’altipiano del Cansiglio nel tentativo di frenare l’avanzata degli austro-germanici provenienti da Piancavallo e dalla Valle del Cellina. Nelle giornate del 9 e 10 novembre vengono respinti i primi assalti, ma gli alpini della 268ª compagnia devono alla fine arretrare verso il Col Mazzuc, un’altura affacciata sul Lago di Santa Croce. Il sergente Da Rin viene catturato ed inviato al campo di concentramento di Radstadt, nel Salisburghese austriaco sul fiume Enns, dove viene trattenuto, patendo fame, freddo e privazioni, sino alla fine della guerra.

Il dopoguerra

Tornato finalmente a casa, a Laggio di Cadore, Eugenio partecipa con piacere alle iniziative degli ex combattenti come nel 1921 quando, al suo paese, presenzia all’inaugurazione del monumento ai caduti dove sono scolpiti i nomi di 20 giovani della frazione che hanno sacrificato la loro vita per la Patria: “inutilmente” pensa Eugenio; poi, nel 1942 assiste all’apertura dell’asilo infantile che la popolazione di Vigo ha voluto dedicare “Ai Suoi Figli Caduti”. Qualche anno più tardi, all’ombra delle Tre Cime, Da Rin incontra il fratello di Sepp Innerkofler stringendolo in un forte abbraccio di reciproca comprensione ed indulgenza.
Nominato cavaliere di Vittorio Veneto, Eugenio Dar Rin Puppel muore al suo paese il 13 dicembre del 1969. Nel maggio del 1970 il giornale “L’Alpino” dedicherà ai combattenti del Paterno un articolo che annuncia, tra l’altro, la morte di Eugenio: “E mancato, il 13 dicembre scorso, a Laggio di Cadore, suo paese natale, il cavaliere di Vittorio Veneto Eugenio Da Rin Puppel caporale degli alpini nel battaglione Val Piave durante la guerra 1915-1918. Aveva 76 anni e, nel luglio del 1915, era stato uno dei protagonisti della difesa italiana del Monte Paterno da un attacco di sorpresa tentato dagli austriaci e condotto dalla celebre guida di Sesto Sepp Innerkofler, che vi perdette la vita. Il Da Rin è scomparso nell’ombra, cos? come aveva vissuto, e la notizia della sua morte non è andata oltre la ristretta cerchia locale ove le montagne serbano ancora i segni, ed i vecchi gli indelebili ricordi, di quella che fu la prima grande guerra mondiale. Era decorato della medaglia d’argento al valor militare [...]. Di fronte al grande antagonista Sepp Innerkofler, decorato di medaglia d’oro per lo stesso fatto d’armi, la figura del Da Rin rimane in penombra mentre nella realtà, dolorosa ma pur sempre realtà di guerra, si deve riconoscere in lui il vincitore di un duello mortale che, se perduto, sarebbe stato per noi gravido di conseguenze, ma che nella sua conclusione commosse soprattutto perché stroncava un alpinista ormai leggendario. Vorremmo ora che il Da Rin, e con lui i suoi compagni del Val Piave scomparsi od ancora viventi, fossero riaccostati, nella valutazione del fatto specifico, sullo stesso piano del leggendario Sepp perché non se ne svaluti la memoria. [...] Non vogliamo nulla togliere alla figura di Sepp Innerkofler ma vogliamo solo che, con la stessa sensibilità che ha animato quelli della Pusteria, sulla tomba del Da Rin i nipoti possano leggere un epitaffio che lo ricordi come il suo più fortunato rivale.