Tazzer Umberto
												
 Tenente
												
												
 
												7° Alpini, 267ª cp. battaglione Val Piave
												
											
											
											
												
Nato il 6 agosto 1894 a Rivamonte Agordino (BL)
												Morto il 9 luglio 1951 a Catania
										    
											
												
Decorazioni
												
 Medaglia d'Argento
												In posizione difficilissima a ricevere aiuti, sotto ogni genere di offesa nemica, seppe rispondere 
												al comandante che lo invitava a resistere: "Signor maggiore, finchè sarò vivo la posizione 
												continuerà ad essere nostra".
												Castelletto Tofana di Rozes, 11 luglio 1916
											
											Note biografiche (Archivio Franco Licini)
											
												
Prima della guerra
												Figlio di Giovanni Tazzer e Filomena Raffa, Umberto nasce a Rivamonte il 6 agosto del 1894. La sua 
												è una famiglia di origini Boeme che dopo la chiusura delle miniere d'argento di Kuttenberg, 
												l'attuale Kutnà Hora, era emigrata in cerca di nuove occasioni di lavoro. I suoi avi avevano 
												raggiunto la valle del Cordevole trovando occupazione negli stabilimenti della Valle Imperina, un 
												giacimento già coltivato fin dall'epoca romana per l'acido solforico e il rame estratti dalla 
												calcopirite e dalla pirite cuprifera. Fedeli alle loro tradizioni famigliari, fin dal 1880 molti 
												Tazzer[1] avevano frequentato la Scuola Mineraria di Agordo e nello stesso Istituto anche Umberto, 
												il 14 marzo del 1914, ottiene la qualifica professionale di Capo Minatore e Perito Minerario. 
												Chiamato a prestare il servizio militare di leva, il 10 novembre dello stesso anno raggiunge il 
												deposito del Battaglion «Belluno» e nell'imminenza della guerra, ai primi di maggio del 1915, viene 
												trattenuto alle armi. 
												
												La Grande Guerra
												Dopo aver seguito un breve corso d'istruzione, il 7 novembre riceve la nomina 
												ad Aspirante Ufficiale ed il 21 febbraio del 1916, per decreto del Comando Supremo, è promosso 
												sottotenente di complemento e assegnato, per il periodo di prova, al 3° Alpini.
												Destinato successivamente alla 267ª compagnia del battaglione «Val Piave», nel mese di giugno 
												Tazzer raggiunge il suo contingente nell'alta Val Costeana. Qui, agli ordini del maggiore Alberto 
												Neri, gli alpini hanno il compito di impegnare il più possibile gli austriaci nel tentativo di 
												alleggerire la pressione esercitata contro l'altopiano di Asiago.
												Affiancati a quelli del «Belluno», nella notte tra il 10 e l'11 luglio 1916 gli alpini del 
												«Val Piave» assistono alla devastante esplosione della mina destinata a cancellare, una volta per 
												tutte, l'ostacolo costituito dalle postazioni austriache arroccate sulla cima del Castelletto della 
												Tofana. Il maggiore Neri è stato incaricato di coordinare le successive fasi che devono portare 
												alla conquista definitiva della roccaforte nemica ed ordina ad una pattuglia, condotta dal 
												sottotenente Pieri, di salire allo Scudo, un nido d'aquile piazzato sulle strapiombanti rocce della 
												Tofana che sovrastano il Castelletto. Oltrepassata quella posizione, la squadra ha il compito di 
												proseguire verso la testata del Camino dei Cappelli per calarsi quindi, a mezzo di corde, sulle 
												posizioni tenute dai kaiserjäger scampati allo sfacelo prodotto dalla mina.
												Mentre Pieri procede nell'azione, i pochi uomini lasciati a presidiare lo Scudo sono raggiunti da 
												una squadra di rinforzo guidata dal sottotenente Tazzer che, salendo, ha provveduto alla 
												riattivazione della linea telefonica danneggiata dall'esplosione. Intanto, a valle, il maggiore 
												Neri è quanto mai preoccupato temendo, da un momento all'altro, una forte reazione da parte degli 
												austriaci. Impartisce quindi ai posti avanzati l'ordine di resistere a oltranza e dallo Scudo il 
												sottotenente Tazzer risponde al telefono dimostrando assoluta calma e determinazione: "Non dubiti 
												signor maggiore, finché sarò vivo, la posizione continuerà ad essere nostra". Umberto, infondo, 
												è solo un ragazzo di ventidue anni e per il sangue freddo dimostrato in quel cruciale momento, 
												merita l'attribuzione di una medaglia al valore.
												Dopo aver sloggiato le ultime resistenze austriache dal Castelletto, avendo successivamente 
												provveduto al rafforzamento delle posizioni conquistate, assieme al suo reparto, nel mese di 
												ottobre, il sottotenente Tazzer viene trasferito sul Piccolo Lagazuoi. Lì stanno già operando i 
												minatori guidati da Cadorin e Malvezzi, gli stessi ufficiali che avevano precedentemente 
												predisposto la mina del Castelleto; ora alla Cengia Martini, in previsione dei rigidi mesi 
												invernali, i loro alpini sono impegnati in lavori di scavo per l'ingrottamento dei magazzini e 
												degli alloggiamenti.
												Tazzer, in qualità di perito minerario, viene affiancato ai suoi colleghi con il compito di 
												dirigere anch'egli una squadra di minatori. Sulla Cengia i lavori di perforazione sono nel 
												frattempo aumentati di numero e difficoltà anche perché, dal mese di dicembre, è iniziato lo scavo 
												di tre nuove gallerie destinate a rinforzare le linee difensive e la preparazione di una mina 
												diretta contro le difese austriache di quota 2.668, nei pressi della cima del Piccolo Lagazuoi 
												(Anticima).
												L'inverno tra il 1916 ed il 1917 si annuncia particolarmente nevoso; i primi fiocchi sono già 
												caduti nel mese di ottobre e ora, a dicembre, la Val Costerna, da Cortina al Falzarego, è 
												completamente sepolta dalla neve. Non per questo, comunque, i lavori dall'una parte e dall'altra 
												parte del fronte vengono interrotti. La guerra sotterranea prosegue ed il 19 gennaio il maggiore 
												Martini, avendo ormai la certezza che l'avversario sta scavando nella roccia una galleria per 
												minare la Cengia, espone al comandante del settore la necessità di provvedere alla preparazione di 
												una contromina. Nonostante il tentativo di intercettare la galleria dei kaiserjäger, il 14 gennaio 
												avviene l'esplosione, ma anche questa volta, come in un precedente tentativo, i danni causati alla 
												roccaforte degli alpini sono pressoché trascurabili.
												Da parte italiana i lavori proseguono per approntare altri alloggiamenti, depositi di materiale, 
												postazioni d'artiglieria e nidi di mitragliatrice, senza trascurare il lavoro principale: lo scavo 
												della galleria e della camera di scoppio a quota 2.668.
												Le opere affidate ai minatori sono numerose e impegnative e la loro esecuzione viene quindi 
												suddivisa tra diverse squadre alle dipendenze dei tenenti Malvezzi, Cadorin, Tazzer, Maraviglia e 
												Testore. Le rocce del Piccolo Lagazuoi sono attraversate da un aggrovigliato sistema di trafori che 
												supererà, alla fine dei lavori, la lunghezza di 1.200 metri.
												Nel frattempo, il 22 maggio, gli austriaci hanno fatto saltare contro la Cengia una terza carica, ma gli 
												alpini sono rimasti ancora padroni del tanto conteso davanzale roccioso. Subito dopo lo scoppio, gli 
												italiani hanno pensato addirittura di beffare gli avversari facendo suonare la fanfara del «Val Chisone», 
												dimostrando in quel modo che anche quell'esplosione li ha lasciati del tutto indenni e indifferenti.
												Cinque mesi dopo l'inizio dei lavori, la camera di scoppio sotto quota 2.668 viene infine caricata con 
												33 tonnellate di esplosivo. Alle 21.50 del 20 giugno il tenente Malvezzi agisce sugli inneschi e con un 
												immenso boato le rocce si squarciano.
												Quella deflagrazione rappresenta l'ultimo atto dei battaglioni «Belluno» e «Val Chisone» sulle Dolomiti. 
												Ai primi di luglio i loro reparti vengono trasferiti sul fronte dell'Isonzo. A presidiare la Cengia 
												restano gli alpini del XII Gruppo formato dai battaglioni «Pallanza», «Monte Granero», «Moncenisio» e 
												«Val Pellice» agli ordini del colonnello Boccalandro. Nel dare le consegne, il 24 giugno il maggiore 
												Martini esorta il capitano Robecchi, il comandante del Monte Granero, a proseguire con i lavori di 
												contromina in quanto è ormai certo che gli austriaci stiano preparando una quarta esplosione. A dirigere 
												i lavori lascia a disposizione del XII Gruppo l'ormai esperto tenente Tazzer che in quel momento è 
												impegnato nel prolungamento della galleria dell'Anfiteatro.
												
													
													Umberto Tazzer in galleria
											     
												
												Il tenente Renzo Boccardi in quei giorni annota nel suo diario:
												15 settembre 1917
												Dobbiamo lasciare l'accampamento di Pec di Palù, ove eravamo a riposo, per ritornare sulla Cengia del 
												Lagazuoi, membra di roccia, volontà di roccia, muscoli di roccia: aspra, dolce, ferrigna Cengia. 
												Antonioli segnala il pericolo di un'esplosione di mina e concomitanti attacchi e sollecita il comando di 
												presidio per ottenere rinforzi; mi mandano lassù con quindici uomini. Alla Cengia non troviamo nulla di 
												nuovo, ma in tutti una nervosa preoccupazione e un'ansia morbosa: si sono udite diverse cariche di mina, 
												sempre più vicine e frequenti, sotto il "Sasso Bucato" e anche sotto "Port Arthur". Quota 2.350 ha 
												cannoneggiato tutto il giorno e mezza distrutta la trinceretta; ora, il silenzio è completo; ma 'sta 
												notte? Continua il nervosismo; un disertore avrebbe detto che la Cengia deve saltare il 20 settembre; 
												pare che Spimola - che è osservatore alla quota 2.350 - abbia segnalato feritoie e sbocchi di mine sopra 
												l'Anfiteatro. Tazzer, che venne da noi la sera, esclude ogni pericolo.
 
												Nonostante i tentativi di intercettare le gallerie austriache, alle 10:18 del 16 settembre scoppiarono 
												due mine che buttano all'aria più di cinquemila metri cubi di roccia nella parte centrale della Cengia. 
												Ancora Renzo Boccardi, nel suo diario, descrive l'accaduto:
												16 settembre 1917 Domenica - Ore 10.18 
												Sono sceso da pochi minuti dalla quota 2.668, dove ho parlato col capitano Robecchi e con Tazzer. Incontro 
												Bordoni sulla soglia della mensa ... un enorme scoppio che fa sobbalzare tutta la montagna ci assorda, ci 
												rovescia dentro la saletta della mensa [...] E gli uomini che si trovano nella galleria? Non sappiamo 
												ancora nulla di quel che può essere successo. Anche Robecchi e Tazzer s'informano sulla sorte di quei 
												soldati e dei macchinari che avevano con loro. Poi, finalmente, un uomo irriconoscibile uscì da uno 
												scarico della galleria e portò la buona notizia: erano tutti salvi! 
												17 settembre 1917 
												Sono di nuovo a Pec di Palù. Vedo la cengia avvolta ancora da una nuvola giallastra speronare gigantesca 
												un gran celo azzurro: lo "Stria" artiglia dei corimbi d'oro. Gli austriaci con la mina hanno solo 
												aumentato, suggerisce sorniona l'anima che riposa, il territorio redento rovesciandocene addosso di 
												quello ancor da redimere. Anche se l'intenzione non era proprio quella! 
												
												In quei giorni i minatori di Tazzer sono al lavoro per insidiare nuovamente le posizioni nemiche di quota 
												2.668 con una seconda mina da far esplodere proprio sotto i piedi degli austriaci e hanno ormai completato 
												la camera di scoppio, ma gli eventi sul fronte isontino stanno precipitando ed il 30 ottobre agli alpini 
												delle Dolomiti giunge l'ordine di abbandonare le posizioni.
												Appena il tempo di riordinare le idee e raccogliere quanto più materiale possibile e tre giorni più tardi 
												gli alpini lasciano la Val Costeana, scendono a San Vito di Cadore ed il 4 novembre sono trasportati con 
												autocarri a Fener sulla linea del Piave.
												Il tenente Tazzer resta aggregato al battaglione «Val Pellice» mandato ad opporre resistenza alla testa 
												del ponte di Vidor per proteggere il deflusso dei reparti italiani che attraversano il Piave. E' un 
												incarico temporaneo, ma alla fine, in quell'operazione, il battaglione ha perso quasi tutto il suo 
												materiale. Viene quindi inviato a ricomporsi ai Castelli di Asolo dove ad attenderlo vi é il comandante 
												Alberto Neri che, nei frattempo, ha ottenuto la promozione a tenente colonnello. Il 18 novembre gli 
												alpini del «Val Pellice» si portano alle pendici del Monte Tomba a rinforzo della linea tenuta dal 92° fanteria.
												Appena giunta, la 224ª compagnia viene lanciata nel tentativo di contenere un potente attacco, mentre la 225ª prende 
												posizione sotto la cresta del Monfenera, la pendice orientale del Grappa affacciata alla conca di Alano di Piave. In 
												quel punto le difese sono posticce, i reticolati incompleti, i trinceramenti appena accennati. Gli alpini lavorano 
												tutta la notte ma alle 5 di mattina del 19 novembre, un gruppo d'assalto del 6° Cacciatori Prussiani, forte di 200 
												uomini, attacca violentemente con bombe a mano proprio nel punto dove le compagnie alpine hanno minor copertura. La 
												linea rischia di cedere ed inoltre il nemico sta aggirando le posizioni per attaccare alle spalle. Verso le 7 inizia 
												un furioso bombardamento e gli alpini, spinti dalla disperazione, si lanciano al contrattacco. I Prussiani sono 
												sorpresi e disorientati e sono costretti ad abbandonare disordinatamente le loro posizioni lasciando in mano 
												italiana 30 prigionieri e 2 mitragliatrici leggere; sconcertati dalla foga degli alpini, per molti giorni i 
												Prussiani non rimetteranno piede sul Monfenera. In quel punto a proteggere il «Val Pellice» non v'era nessun altro 
												reparto e se il nemico avesse aperto una falla, avrebbe potuto dilagare sul retro di tutto lo schieramento e 
												scendere verso Cavaso e la pianura.
												Tra le decorazioni distribuite in quelle epiche giornate, la medaglia di bronzo concessa al tenente Umberto Tazzer 
												riporta la seguente motivazione:
												"Bell'esempio di sprezzo del pericolo, si slanciava tra i primi al contrattacco, trascinando i dipendenti alla 
												conquista di alcuni tratti di trincea." Monte Monfenera, 18-19 novembre 1917
												Era nevicato in quei giorni e la coltre bianca si era fatta scura per lo scoppio delle innumerevoli bombe, per gli 
												scavi delle trincee e il calpestio degli uomini: la "neve nera del Monfenera" era ben visibile anche da lontano. La 
												montagna sarebbe caduta per tre volte nelle mani del nemico e per tre volte sarebbe stata riconquistata alla 
												baionetta.
												Alle ore 12 del 4 novembre 1918 il generale Diaz, capo di stato maggiore dell'esercito italiano proclama: " ... I 
												resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che 
												avevano disceso con orgogliosa sicurezza ...". 
												
												Il dopoguerra
												La guerra è finita ed Umberto Tazzer si trasferisce in Sicilia 
												assunto come esperto in esplosivi dall'E.S.E., l'Ente Siciliano di Elettricità.
												A Riesi conosce Eugenia, o meglio Giustina come la chiamano tutti, a ricordo di suo padre venuto a mancare quando 
												lei aveva solo sei mesi. Una ventina d'anni prima Giusto era arrivato in Sicilia proveniente anch'egli dall'Agordino 
												e, guarda caso, portava lo stesso cognome di Umberto: Tazzer. Un lontano parente? Desideroso di conoscere qualcun 
												altro col suo stesso cognome, Umberto era quindi andato a far visita a Giustina e ... colpo di fulmine ... i due 
												mettono su famiglia. Nel 1921 vede la luce il loro primogenito Roberto e dopo quattro anni viene al mondo anche 
												Giovanni.
												Il 15 dicembre del 1926 il tenente Umberto Tazzer è promosso al grado di capitano ed è messo a disposizione del 
												Comando Generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale come addetto all'inquadramento delle unità 
												delle Camice Nere mobilitate per l'Africa Orientale.
												La Milizia Volontaria era stata istituita "al servizio di Dio e della Patria" già nel febbraio del 1923, ma i suoi 
												reparti entrano in azione solo nel 1935 durante il conflitto con l'Etiopia.
												Ormai quarantatreenne, anche il capitano Tazzer parte per l'Africa Orientale Italiana. Gli è stato affidato il 
												comando della 1ª compagnia appartenente al 173° battaglione, la "Legione Salso" con sede a Caltanisetta. Il 20 
												dicembre del 1937 sale a bordo del piroscafo "Calabria" e dieci giorni più tardi sbarca al porto di Massaua. 
												Raggiunge quindi Mescenti, la sede del presidio, dove riceve l'ordine di raggiungere col suo reparto la località di 
												Selselimà oltre le sponde del Nilo Azzurro. E' la stagione delle piogge e le piste, specialmente dalle parti di 
												Bahar-Dar, sono pressoché impraticabili. Anche i guadi sul Nilo Azzurro sono travolti dalla piena e la traversata si 
												compie, a turno, utilizzano uno zatterone. Ciò nonostante, il trasferimento dei reparti avviene in poco più di 
												ventiquattro ore e a Selselimà, su un'altura a poche decine di metri dal grande fiume, viene eretto un accampamento 
												protetto da un basso muro di sassi ed un recinto di reticolati. La compagnia ha dato il cambio a un contingente di 
												ascari assumendo il compito di ricostruire e proteggere i guadi sulla via del Goggiam.
												Ai primi di ottobre del 1938, cessata la stagione delle grandi piogge, molti uomini soffrono di malaria e la 1ª 
												compagnia del capitano Tazzer venne mandata a presidiare l'approdo meridionale del lago Tana, a Bahar Dar, in attesa 
												di essere smobilitata. Un mese più tardi, il 25 novembre, il reparto rientra in Italia.
												L'anno successivo Tazzer ottiene la promozione a maggiore ed il 17 dicembre, in previsione di destinarlo in terra 
												libica, è richiamato alle armi. 
												
												La Seconda Guerra Mondiale
												Il 1° di ottobre del 1940 parte in aereo e il giorno stesso atterra in prossimità di 
												Berta. Dal distretto di Bengasi lo inviano al 33° reggimento Guardie alla Frontiera, nel settore di Tripoli ovest, 
												dove rimane fino al 10 dicembre. Viene quindi assegnato al 70° reggimento fanteria della Brigata "Ancona" inquadrata 
												nella Divisione "Sirte" operante nella piazzaforte di Tobruk.
												
													
													Umberto Tazzer (al centro)
											     
												
												Tre mesi prima aveva avuto inizio l'offensiva militare italiana in Egitto ed in tre giorni era stata conquistata 
												Sollum, una cittadina situata nei pressi del confine con la Cirenaica nella Libia orientale. Gli Italiani erano 
												riusciti ad avanzare sino a Sid el Barrani e tutto sembrava andare per il verso giusto. Gli inglesi si stavano però 
												preparando, e dopo aver fatto confluire in Africa consistenti rinforzi, l'8 dicembre avevano sferrato una poderosa 
												offensiva penetrando in profondità, proprio nel cuore della Cirenaica. In un solo giorno riescono a sfondare le 
												linee italiane e le sette divisioni del generale Graziani non sono in grado di contrastare l'urto delle due 
												divisioni inglesi, la 4ª indiana e la 7ª corazzata, guidate dal generale Archibald Percival Wavell.
												Per le truppe italiane la sorpresa è totale e tutto lo schieramento viene messo in seria difficoltà e costretto alla 
												ritirata. In soli quattro giorni di combattimento vengono distrutte quattro divisioni italiane mentre i britannici 
												perdono solo 624 uomini. Gli ultimi difensori italiani rimasti in Egitto bloccano ancora per un po' le truppe 
												britanniche a Sollum, ma ben presto devono anch'essi retrocedere. Rinforzati dalla 6ª divisione australiana, il 3 
												gennaio del 1941 gli inglesi attaccano Badia le cui difese sono facilmente sfondate grazie all'impiego di carri 
												armati ben più efficienti di quelli italiani. 
												Quando il maggiore Tazzer giunge a Tobruk, i primi contingenti britannici hanno già preso contatto con i difensori 
												della piazzaforte dove Graziani può contare su 25.000 uomini, 220 cannoni ed una settantina di carri armati. I 
												cannoni inglesi da 88 millimetri hanno una gittata ben maggiore di quelli italiani ed i carri armati britannici 
												hanno facilmente la meglio sulle "scatole di sardine" che cercano, pur valorosamente, di contrastarli. Nonostante il 
												coraggio di ogni singolo combattente, l'armata italiana viene facilmente travolta e tra il 21 ed il 23 gennaio del 
												1941 le truppe inglesi e australiane conquistano Tobruk. In quei giorni gli italiani conteranno cinquemila morti e 
												centotrentamila prigionieri. Tra questi ultimi c'é anche il maggiore Tazzer che, come gli altri, è inviato nelle 
												retrovie in attesa di essere internato in un campo di prigionia.
												
												La prigionia
												La truppa ed i sottufficiali vengono ammassati alla periferia di Tobruk per essere avviati in Sud Africa, per la 
												maggior parte a Zonderwater; gli ufficiali, separati dai loro uomini, vengono destinati ai campi di prigionia del 
												Kenia e dell'India. Una colonna di camion li trasporta verso est, lungo la costa del Mediterraneo, giungendo in fine 
												ad un accampamento allestito alla periferia di Alessandria d'Egitto. Come gli altri, anche Umberto è fatto spogliare 
												completamente e dopo la doccia viene sottoposto a completa depilazione e disinfezione; il vestiario è gettato in 
												forni a vapore per eliminare pidocchi e zecche. A ciascuno venne quindi assegnato un numero ed al maggiore Tazzer 
												tocca il 19733 che lo identifica come POW: "prisoner of war".
												Nei pressi del canale di Suez i prigionieri vengono caricati su piroscafi che, dirigendosi a sud, solcano le acque 
												del Mar Rosso. Transitano davanti alle coste dell'Eritrea, sostano ad Aden nello Yemen e quindi, in dieci lunghi 
												giorni, attraversano l'Oceano Indiano approdando in fine a Bombay, in India. In treno i prigionieri sono quindi 
												trasportati a Bangalore. Inquadrati e scortati da guardie indiane, attraversano un doppio cancello di legno e filo 
												spinato ed entrano in un accampamento predisposto per accogliere fino a 1500 prigionieri. Sistemati due per ciascuna 
												tenda, gli ufficiali italiani dispongono le loro poche cose sulle brande da campo, l'unico pezzo d'arredamento a 
												loro disposizione.
												
													
													Umberto Tazzer (in bianco)
											     
												
												A Bangalore Umberto Tazzer rimane per 2 anni, fino al 28 marzo del 1942 quando, assieme ad altri, viene fatto salire 
												sul treno che, prendendo la via del nord, lo porta ai piedi delle montagne più alte del mondo, nella valle del 
												Kangra, sotto i passi Talar e Ciott, nel settore occidentale dell'Himalaya. Lì, in un'area di 10 chilometri 
												quadrati, sono stati allestiti sei campi destinati ad ospitare fino a 10.000 prigionieri. A quella vasta pendice 
												pietrosa, fitta di baracche e reticolati, hanno dato il nome di Yol, lo steso del povero villaggio che sorge nelle 
												vicinanze.
												Il maggiore Tazzer viene destinato al campo 26 riservato agli ufficiali di grado superiore. Gli altri campi sono 
												distinti dai numeri 25, 27 e 28; il 4 ospita soldati e sott'ufficiali; il 250 è stato attrezzato come area di 
												smaltimento. Ciascun campo è diviso in 5 Wings (ali) distinte da un numero e da una lettera. «Camp 26 - Wing 5/C - 
												YOL - India» diviene così il nuovo indirizzo di Umberto. Come ufficiale superiore gli assegnano una stanzetta di 3 
												metri per 5, mentre agli altri tocca invece una camerata a 6 posti: è un piccolo privilegio di rango, ma è davvero 
												una ben magra consolazione! A risollevare lo spirito dei prigionieri non basta neppure il fatto che a Yol l'aria è 
												piuttosto salubre, il clima temperato, l'inverno breve e che vi siano abbondanza d'acqua e buona frutta. Per rompere 
												la monotonia dei giorni che scorrono sempre uguali i prigionieri si dedicano a varie faccende: scrivono, magari sul 
												retro di un'etichetta recuperata dalle latte di cucina, disegnano e dipingono, qualcuno scolpisce un pezzo di legno 
												o una pietra, non di rado producendo vere e proprie opere d'arte. Si dedicano allo sport, costruiscono campi da 
												calcio, per la pallacanestro e per il gioco delle bocce. 
												Qualcuno costruisce uno strumento musicale e suona, altri recitano poesie e commedie; viene organizzata una 
												compagnia teatrale. Gli inglesi lasciano fare ed anzi, per tener impegnati i prigionieri li facilitano 
												nell'intraprendere qualunque iniziativa che mantenga tranquilla la situazione. Vengono perfino concesse passeggiate 
												nei dintorni del campo, dapprima brevi e controllate a vista dalle guardie indiane, più tardi addirittura vere e 
												proprie spedizioni esplorative verso i massicci himalayani[2].
												Umberto Tazzer trascorre in quel campo quattro lunghi anni quando, finalmente liberato, all'inizio di aprile del 
												1946 lascia le baracche di Yol per raggiungere la stazione di Nagrota. In treno parte alla volta del porto di Bombay 
												dove lo attende un piroscafo che, in venti giorni, lo riporta in Italia. Il 26 aprile del 1946 sbarca al porto di 
												Napoli. Ha offerto alla Patria ben dodici anni della sua vita ed ora viene finalmente congedato col grado di tenente 
												colonnello degli alpini.
												
												Il secondo dopoguerra
												Altri impegni adesso lo attendono: all'età di 52 anni deve ricominciare tutto daccapo, rifarsi una vita, riprendere 
												il lavoro per mantenere moglie e figli. Si trasferisce quindi a Catania e l'Ente Siciliano di Elettricità lo 
												riassume impiegandolo nella costruzione della diga dell'Ancipa, nei pressi di Troina.
												Nel luglio del 1951, pur trovandosi in quel momento in ferie, viene chiamato d'urgenza al cantiere dove una frana ha 
												sepolto alcuni operai. Tazzer accorre prontamente e resosi conto dell'accaduto, partecipa egli stesso alle 
												operazioni di soccorso, ma il crollo di un altro tratto di terreno lo investe lesionandogli la colonna vertebrale. 
												Trasportato all'ospedale di Catania, muore il 9 luglio del 1951.
												Note
												[1] Anno scolastico 1885-86: Tazzer Emilio (diventa Direttore dello stabilimento di Valle Imperina); 1888-89: 
												Tazzer Giuseppe; 1891-92: Tazzer Attilio e Tazzer Primo; 1912-13: Tazzer Attilio e Tazzer Umberto; 1916-17: 
												Tazzer Fedele; 1949-50: Tazzer Antonio.
												[2] "YOL Prigioniero in Himalaya" - Benardelli Mainardo - Grafica Esse Zeta editore
												
												(Particolari ringraziamenti vanno a Umberto Tazzer - omonimo nipote del colonnello - ed a tutta la sua famiglia per le preziose informazioni e le fotografie che ci hanno permesso di ricostruire la storia di questa nobile vita.)
											
										
								
							
						
					
				
			
			
				
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Nato il 6 agosto 1894 a Rivamonte Agordino (BL)
Morto il 9 luglio 1951 a Catania
Decorazioni
 Medaglia d'Argento
												In posizione difficilissima a ricevere aiuti, sotto ogni genere di offesa nemica, seppe rispondere 
												al comandante che lo invitava a resistere: "Signor maggiore, finchè sarò vivo la posizione 
												continuerà ad essere nostra".Castelletto Tofana di Rozes, 11 luglio 1916
Note biografiche (Archivio Franco Licini)
Prima della guerra
Figlio di Giovanni Tazzer e Filomena Raffa, Umberto nasce a Rivamonte il 6 agosto del 1894. La sua è una famiglia di origini Boeme che dopo la chiusura delle miniere d'argento di Kuttenberg, l'attuale Kutnà Hora, era emigrata in cerca di nuove occasioni di lavoro. I suoi avi avevano raggiunto la valle del Cordevole trovando occupazione negli stabilimenti della Valle Imperina, un giacimento già coltivato fin dall'epoca romana per l'acido solforico e il rame estratti dalla calcopirite e dalla pirite cuprifera. Fedeli alle loro tradizioni famigliari, fin dal 1880 molti Tazzer[1] avevano frequentato la Scuola Mineraria di Agordo e nello stesso Istituto anche Umberto, il 14 marzo del 1914, ottiene la qualifica professionale di Capo Minatore e Perito Minerario.Chiamato a prestare il servizio militare di leva, il 10 novembre dello stesso anno raggiunge il deposito del Battaglion «Belluno» e nell'imminenza della guerra, ai primi di maggio del 1915, viene trattenuto alle armi.
La Grande Guerra
Dopo aver seguito un breve corso d'istruzione, il 7 novembre riceve la nomina ad Aspirante Ufficiale ed il 21 febbraio del 1916, per decreto del Comando Supremo, è promosso sottotenente di complemento e assegnato, per il periodo di prova, al 3° Alpini.Destinato successivamente alla 267ª compagnia del battaglione «Val Piave», nel mese di giugno Tazzer raggiunge il suo contingente nell'alta Val Costeana. Qui, agli ordini del maggiore Alberto Neri, gli alpini hanno il compito di impegnare il più possibile gli austriaci nel tentativo di alleggerire la pressione esercitata contro l'altopiano di Asiago. Affiancati a quelli del «Belluno», nella notte tra il 10 e l'11 luglio 1916 gli alpini del «Val Piave» assistono alla devastante esplosione della mina destinata a cancellare, una volta per tutte, l'ostacolo costituito dalle postazioni austriache arroccate sulla cima del Castelletto della Tofana. Il maggiore Neri è stato incaricato di coordinare le successive fasi che devono portare alla conquista definitiva della roccaforte nemica ed ordina ad una pattuglia, condotta dal sottotenente Pieri, di salire allo Scudo, un nido d'aquile piazzato sulle strapiombanti rocce della Tofana che sovrastano il Castelletto. Oltrepassata quella posizione, la squadra ha il compito di proseguire verso la testata del Camino dei Cappelli per calarsi quindi, a mezzo di corde, sulle posizioni tenute dai kaiserjäger scampati allo sfacelo prodotto dalla mina. Mentre Pieri procede nell'azione, i pochi uomini lasciati a presidiare lo Scudo sono raggiunti da una squadra di rinforzo guidata dal sottotenente Tazzer che, salendo, ha provveduto alla riattivazione della linea telefonica danneggiata dall'esplosione. Intanto, a valle, il maggiore Neri è quanto mai preoccupato temendo, da un momento all'altro, una forte reazione da parte degli austriaci. Impartisce quindi ai posti avanzati l'ordine di resistere a oltranza e dallo Scudo il sottotenente Tazzer risponde al telefono dimostrando assoluta calma e determinazione: "Non dubiti signor maggiore, finché sarò vivo, la posizione continuerà ad essere nostra". Umberto, infondo, è solo un ragazzo di ventidue anni e per il sangue freddo dimostrato in quel cruciale momento, merita l'attribuzione di una medaglia al valore. Dopo aver sloggiato le ultime resistenze austriache dal Castelletto, avendo successivamente provveduto al rafforzamento delle posizioni conquistate, assieme al suo reparto, nel mese di ottobre, il sottotenente Tazzer viene trasferito sul Piccolo Lagazuoi. Lì stanno già operando i minatori guidati da Cadorin e Malvezzi, gli stessi ufficiali che avevano precedentemente predisposto la mina del Castelleto; ora alla Cengia Martini, in previsione dei rigidi mesi invernali, i loro alpini sono impegnati in lavori di scavo per l'ingrottamento dei magazzini e degli alloggiamenti. Tazzer, in qualità di perito minerario, viene affiancato ai suoi colleghi con il compito di dirigere anch'egli una squadra di minatori. Sulla Cengia i lavori di perforazione sono nel frattempo aumentati di numero e difficoltà anche perché, dal mese di dicembre, è iniziato lo scavo di tre nuove gallerie destinate a rinforzare le linee difensive e la preparazione di una mina diretta contro le difese austriache di quota 2.668, nei pressi della cima del Piccolo Lagazuoi (Anticima). L'inverno tra il 1916 ed il 1917 si annuncia particolarmente nevoso; i primi fiocchi sono già caduti nel mese di ottobre e ora, a dicembre, la Val Costerna, da Cortina al Falzarego, è completamente sepolta dalla neve. Non per questo, comunque, i lavori dall'una parte e dall'altra parte del fronte vengono interrotti. La guerra sotterranea prosegue ed il 19 gennaio il maggiore Martini, avendo ormai la certezza che l'avversario sta scavando nella roccia una galleria per minare la Cengia, espone al comandante del settore la necessità di provvedere alla preparazione di una contromina. Nonostante il tentativo di intercettare la galleria dei kaiserjäger, il 14 gennaio avviene l'esplosione, ma anche questa volta, come in un precedente tentativo, i danni causati alla roccaforte degli alpini sono pressoché trascurabili.
Da parte italiana i lavori proseguono per approntare altri alloggiamenti, depositi di materiale, postazioni d'artiglieria e nidi di mitragliatrice, senza trascurare il lavoro principale: lo scavo della galleria e della camera di scoppio a quota 2.668. Le opere affidate ai minatori sono numerose e impegnative e la loro esecuzione viene quindi suddivisa tra diverse squadre alle dipendenze dei tenenti Malvezzi, Cadorin, Tazzer, Maraviglia e Testore. Le rocce del Piccolo Lagazuoi sono attraversate da un aggrovigliato sistema di trafori che supererà, alla fine dei lavori, la lunghezza di 1.200 metri. Nel frattempo, il 22 maggio, gli austriaci hanno fatto saltare contro la Cengia una terza carica, ma gli alpini sono rimasti ancora padroni del tanto conteso davanzale roccioso. Subito dopo lo scoppio, gli italiani hanno pensato addirittura di beffare gli avversari facendo suonare la fanfara del «Val Chisone», dimostrando in quel modo che anche quell'esplosione li ha lasciati del tutto indenni e indifferenti. Cinque mesi dopo l'inizio dei lavori, la camera di scoppio sotto quota 2.668 viene infine caricata con 33 tonnellate di esplosivo. Alle 21.50 del 20 giugno il tenente Malvezzi agisce sugli inneschi e con un immenso boato le rocce si squarciano. Quella deflagrazione rappresenta l'ultimo atto dei battaglioni «Belluno» e «Val Chisone» sulle Dolomiti. Ai primi di luglio i loro reparti vengono trasferiti sul fronte dell'Isonzo. A presidiare la Cengia restano gli alpini del XII Gruppo formato dai battaglioni «Pallanza», «Monte Granero», «Moncenisio» e «Val Pellice» agli ordini del colonnello Boccalandro. Nel dare le consegne, il 24 giugno il maggiore Martini esorta il capitano Robecchi, il comandante del Monte Granero, a proseguire con i lavori di contromina in quanto è ormai certo che gli austriaci stiano preparando una quarta esplosione. A dirigere i lavori lascia a disposizione del XII Gruppo l'ormai esperto tenente Tazzer che in quel momento è impegnato nel prolungamento della galleria dell'Anfiteatro.
													Umberto Tazzer in galleria
											    Il tenente Renzo Boccardi in quei giorni annota nel suo diario:
15 settembre 1917
Dobbiamo lasciare l'accampamento di Pec di Palù, ove eravamo a riposo, per ritornare sulla Cengia del Lagazuoi, membra di roccia, volontà di roccia, muscoli di roccia: aspra, dolce, ferrigna Cengia. Antonioli segnala il pericolo di un'esplosione di mina e concomitanti attacchi e sollecita il comando di presidio per ottenere rinforzi; mi mandano lassù con quindici uomini. Alla Cengia non troviamo nulla di nuovo, ma in tutti una nervosa preoccupazione e un'ansia morbosa: si sono udite diverse cariche di mina, sempre più vicine e frequenti, sotto il "Sasso Bucato" e anche sotto "Port Arthur". Quota 2.350 ha cannoneggiato tutto il giorno e mezza distrutta la trinceretta; ora, il silenzio è completo; ma 'sta notte? Continua il nervosismo; un disertore avrebbe detto che la Cengia deve saltare il 20 settembre; pare che Spimola - che è osservatore alla quota 2.350 - abbia segnalato feritoie e sbocchi di mine sopra l'Anfiteatro. Tazzer, che venne da noi la sera, esclude ogni pericolo.
Nonostante i tentativi di intercettare le gallerie austriache, alle 10:18 del 16 settembre scoppiarono due mine che buttano all'aria più di cinquemila metri cubi di roccia nella parte centrale della Cengia. Ancora Renzo Boccardi, nel suo diario, descrive l'accaduto:
16 settembre 1917 Domenica - Ore 10.18
Sono sceso da pochi minuti dalla quota 2.668, dove ho parlato col capitano Robecchi e con Tazzer. Incontro Bordoni sulla soglia della mensa ... un enorme scoppio che fa sobbalzare tutta la montagna ci assorda, ci rovescia dentro la saletta della mensa [...] E gli uomini che si trovano nella galleria? Non sappiamo ancora nulla di quel che può essere successo. Anche Robecchi e Tazzer s'informano sulla sorte di quei soldati e dei macchinari che avevano con loro. Poi, finalmente, un uomo irriconoscibile uscì da uno scarico della galleria e portò la buona notizia: erano tutti salvi!
17 settembre 1917
Sono di nuovo a Pec di Palù. Vedo la cengia avvolta ancora da una nuvola giallastra speronare gigantesca un gran celo azzurro: lo "Stria" artiglia dei corimbi d'oro. Gli austriaci con la mina hanno solo aumentato, suggerisce sorniona l'anima che riposa, il territorio redento rovesciandocene addosso di quello ancor da redimere. Anche se l'intenzione non era proprio quella!
In quei giorni i minatori di Tazzer sono al lavoro per insidiare nuovamente le posizioni nemiche di quota 2.668 con una seconda mina da far esplodere proprio sotto i piedi degli austriaci e hanno ormai completato la camera di scoppio, ma gli eventi sul fronte isontino stanno precipitando ed il 30 ottobre agli alpini delle Dolomiti giunge l'ordine di abbandonare le posizioni. Appena il tempo di riordinare le idee e raccogliere quanto più materiale possibile e tre giorni più tardi gli alpini lasciano la Val Costeana, scendono a San Vito di Cadore ed il 4 novembre sono trasportati con autocarri a Fener sulla linea del Piave. Il tenente Tazzer resta aggregato al battaglione «Val Pellice» mandato ad opporre resistenza alla testa del ponte di Vidor per proteggere il deflusso dei reparti italiani che attraversano il Piave. E' un incarico temporaneo, ma alla fine, in quell'operazione, il battaglione ha perso quasi tutto il suo materiale. Viene quindi inviato a ricomporsi ai Castelli di Asolo dove ad attenderlo vi é il comandante Alberto Neri che, nei frattempo, ha ottenuto la promozione a tenente colonnello. Il 18 novembre gli alpini del «Val Pellice» si portano alle pendici del Monte Tomba a rinforzo della linea tenuta dal 92° fanteria. Appena giunta, la 224ª compagnia viene lanciata nel tentativo di contenere un potente attacco, mentre la 225ª prende posizione sotto la cresta del Monfenera, la pendice orientale del Grappa affacciata alla conca di Alano di Piave. In quel punto le difese sono posticce, i reticolati incompleti, i trinceramenti appena accennati. Gli alpini lavorano tutta la notte ma alle 5 di mattina del 19 novembre, un gruppo d'assalto del 6° Cacciatori Prussiani, forte di 200 uomini, attacca violentemente con bombe a mano proprio nel punto dove le compagnie alpine hanno minor copertura. La linea rischia di cedere ed inoltre il nemico sta aggirando le posizioni per attaccare alle spalle. Verso le 7 inizia un furioso bombardamento e gli alpini, spinti dalla disperazione, si lanciano al contrattacco. I Prussiani sono sorpresi e disorientati e sono costretti ad abbandonare disordinatamente le loro posizioni lasciando in mano italiana 30 prigionieri e 2 mitragliatrici leggere; sconcertati dalla foga degli alpini, per molti giorni i Prussiani non rimetteranno piede sul Monfenera. In quel punto a proteggere il «Val Pellice» non v'era nessun altro reparto e se il nemico avesse aperto una falla, avrebbe potuto dilagare sul retro di tutto lo schieramento e scendere verso Cavaso e la pianura. Tra le decorazioni distribuite in quelle epiche giornate, la medaglia di bronzo concessa al tenente Umberto Tazzer riporta la seguente motivazione:
"Bell'esempio di sprezzo del pericolo, si slanciava tra i primi al contrattacco, trascinando i dipendenti alla conquista di alcuni tratti di trincea." Monte Monfenera, 18-19 novembre 1917
Era nevicato in quei giorni e la coltre bianca si era fatta scura per lo scoppio delle innumerevoli bombe, per gli scavi delle trincee e il calpestio degli uomini: la "neve nera del Monfenera" era ben visibile anche da lontano. La montagna sarebbe caduta per tre volte nelle mani del nemico e per tre volte sarebbe stata riconquistata alla baionetta.
Alle ore 12 del 4 novembre 1918 il generale Diaz, capo di stato maggiore dell'esercito italiano proclama: " ... I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza ...".
Il dopoguerra
La guerra è finita ed Umberto Tazzer si trasferisce in Sicilia assunto come esperto in esplosivi dall'E.S.E., l'Ente Siciliano di Elettricità. A Riesi conosce Eugenia, o meglio Giustina come la chiamano tutti, a ricordo di suo padre venuto a mancare quando lei aveva solo sei mesi. Una ventina d'anni prima Giusto era arrivato in Sicilia proveniente anch'egli dall'Agordino e, guarda caso, portava lo stesso cognome di Umberto: Tazzer. Un lontano parente? Desideroso di conoscere qualcun altro col suo stesso cognome, Umberto era quindi andato a far visita a Giustina e ... colpo di fulmine ... i due mettono su famiglia. Nel 1921 vede la luce il loro primogenito Roberto e dopo quattro anni viene al mondo anche Giovanni. Il 15 dicembre del 1926 il tenente Umberto Tazzer è promosso al grado di capitano ed è messo a disposizione del Comando Generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale come addetto all'inquadramento delle unità delle Camice Nere mobilitate per l'Africa Orientale. La Milizia Volontaria era stata istituita "al servizio di Dio e della Patria" già nel febbraio del 1923, ma i suoi reparti entrano in azione solo nel 1935 durante il conflitto con l'Etiopia. Ormai quarantatreenne, anche il capitano Tazzer parte per l'Africa Orientale Italiana. Gli è stato affidato il comando della 1ª compagnia appartenente al 173° battaglione, la "Legione Salso" con sede a Caltanisetta. Il 20 dicembre del 1937 sale a bordo del piroscafo "Calabria" e dieci giorni più tardi sbarca al porto di Massaua. Raggiunge quindi Mescenti, la sede del presidio, dove riceve l'ordine di raggiungere col suo reparto la località di Selselimà oltre le sponde del Nilo Azzurro. E' la stagione delle piogge e le piste, specialmente dalle parti di Bahar-Dar, sono pressoché impraticabili. Anche i guadi sul Nilo Azzurro sono travolti dalla piena e la traversata si compie, a turno, utilizzano uno zatterone. Ciò nonostante, il trasferimento dei reparti avviene in poco più di ventiquattro ore e a Selselimà, su un'altura a poche decine di metri dal grande fiume, viene eretto un accampamento protetto da un basso muro di sassi ed un recinto di reticolati. La compagnia ha dato il cambio a un contingente di ascari assumendo il compito di ricostruire e proteggere i guadi sulla via del Goggiam.Ai primi di ottobre del 1938, cessata la stagione delle grandi piogge, molti uomini soffrono di malaria e la 1ª compagnia del capitano Tazzer venne mandata a presidiare l'approdo meridionale del lago Tana, a Bahar Dar, in attesa di essere smobilitata. Un mese più tardi, il 25 novembre, il reparto rientra in Italia. L'anno successivo Tazzer ottiene la promozione a maggiore ed il 17 dicembre, in previsione di destinarlo in terra libica, è richiamato alle armi.
La Seconda Guerra Mondiale
Il 1° di ottobre del 1940 parte in aereo e il giorno stesso atterra in prossimità di Berta. Dal distretto di Bengasi lo inviano al 33° reggimento Guardie alla Frontiera, nel settore di Tripoli ovest, dove rimane fino al 10 dicembre. Viene quindi assegnato al 70° reggimento fanteria della Brigata "Ancona" inquadrata nella Divisione "Sirte" operante nella piazzaforte di Tobruk.
													Umberto Tazzer (al centro)
											    Tre mesi prima aveva avuto inizio l'offensiva militare italiana in Egitto ed in tre giorni era stata conquistata Sollum, una cittadina situata nei pressi del confine con la Cirenaica nella Libia orientale. Gli Italiani erano riusciti ad avanzare sino a Sid el Barrani e tutto sembrava andare per il verso giusto. Gli inglesi si stavano però preparando, e dopo aver fatto confluire in Africa consistenti rinforzi, l'8 dicembre avevano sferrato una poderosa offensiva penetrando in profondità, proprio nel cuore della Cirenaica. In un solo giorno riescono a sfondare le linee italiane e le sette divisioni del generale Graziani non sono in grado di contrastare l'urto delle due divisioni inglesi, la 4ª indiana e la 7ª corazzata, guidate dal generale Archibald Percival Wavell. Per le truppe italiane la sorpresa è totale e tutto lo schieramento viene messo in seria difficoltà e costretto alla ritirata. In soli quattro giorni di combattimento vengono distrutte quattro divisioni italiane mentre i britannici perdono solo 624 uomini. Gli ultimi difensori italiani rimasti in Egitto bloccano ancora per un po' le truppe britanniche a Sollum, ma ben presto devono anch'essi retrocedere. Rinforzati dalla 6ª divisione australiana, il 3 gennaio del 1941 gli inglesi attaccano Badia le cui difese sono facilmente sfondate grazie all'impiego di carri armati ben più efficienti di quelli italiani. Quando il maggiore Tazzer giunge a Tobruk, i primi contingenti britannici hanno già preso contatto con i difensori della piazzaforte dove Graziani può contare su 25.000 uomini, 220 cannoni ed una settantina di carri armati. I cannoni inglesi da 88 millimetri hanno una gittata ben maggiore di quelli italiani ed i carri armati britannici hanno facilmente la meglio sulle "scatole di sardine" che cercano, pur valorosamente, di contrastarli. Nonostante il coraggio di ogni singolo combattente, l'armata italiana viene facilmente travolta e tra il 21 ed il 23 gennaio del 1941 le truppe inglesi e australiane conquistano Tobruk. In quei giorni gli italiani conteranno cinquemila morti e centotrentamila prigionieri. Tra questi ultimi c'é anche il maggiore Tazzer che, come gli altri, è inviato nelle retrovie in attesa di essere internato in un campo di prigionia.
La prigionia
La truppa ed i sottufficiali vengono ammassati alla periferia di Tobruk per essere avviati in Sud Africa, per la maggior parte a Zonderwater; gli ufficiali, separati dai loro uomini, vengono destinati ai campi di prigionia del Kenia e dell'India. Una colonna di camion li trasporta verso est, lungo la costa del Mediterraneo, giungendo in fine ad un accampamento allestito alla periferia di Alessandria d'Egitto. Come gli altri, anche Umberto è fatto spogliare completamente e dopo la doccia viene sottoposto a completa depilazione e disinfezione; il vestiario è gettato in forni a vapore per eliminare pidocchi e zecche. A ciascuno venne quindi assegnato un numero ed al maggiore Tazzer tocca il 19733 che lo identifica come POW: "prisoner of war".Nei pressi del canale di Suez i prigionieri vengono caricati su piroscafi che, dirigendosi a sud, solcano le acque del Mar Rosso. Transitano davanti alle coste dell'Eritrea, sostano ad Aden nello Yemen e quindi, in dieci lunghi giorni, attraversano l'Oceano Indiano approdando in fine a Bombay, in India. In treno i prigionieri sono quindi trasportati a Bangalore. Inquadrati e scortati da guardie indiane, attraversano un doppio cancello di legno e filo spinato ed entrano in un accampamento predisposto per accogliere fino a 1500 prigionieri. Sistemati due per ciascuna tenda, gli ufficiali italiani dispongono le loro poche cose sulle brande da campo, l'unico pezzo d'arredamento a loro disposizione.
													Umberto Tazzer (in bianco)
											    A Bangalore Umberto Tazzer rimane per 2 anni, fino al 28 marzo del 1942 quando, assieme ad altri, viene fatto salire sul treno che, prendendo la via del nord, lo porta ai piedi delle montagne più alte del mondo, nella valle del Kangra, sotto i passi Talar e Ciott, nel settore occidentale dell'Himalaya. Lì, in un'area di 10 chilometri quadrati, sono stati allestiti sei campi destinati ad ospitare fino a 10.000 prigionieri. A quella vasta pendice pietrosa, fitta di baracche e reticolati, hanno dato il nome di Yol, lo steso del povero villaggio che sorge nelle vicinanze. Il maggiore Tazzer viene destinato al campo 26 riservato agli ufficiali di grado superiore. Gli altri campi sono distinti dai numeri 25, 27 e 28; il 4 ospita soldati e sott'ufficiali; il 250 è stato attrezzato come area di smaltimento. Ciascun campo è diviso in 5 Wings (ali) distinte da un numero e da una lettera. «Camp 26 - Wing 5/C - YOL - India» diviene così il nuovo indirizzo di Umberto. Come ufficiale superiore gli assegnano una stanzetta di 3 metri per 5, mentre agli altri tocca invece una camerata a 6 posti: è un piccolo privilegio di rango, ma è davvero una ben magra consolazione! A risollevare lo spirito dei prigionieri non basta neppure il fatto che a Yol l'aria è piuttosto salubre, il clima temperato, l'inverno breve e che vi siano abbondanza d'acqua e buona frutta. Per rompere la monotonia dei giorni che scorrono sempre uguali i prigionieri si dedicano a varie faccende: scrivono, magari sul retro di un'etichetta recuperata dalle latte di cucina, disegnano e dipingono, qualcuno scolpisce un pezzo di legno o una pietra, non di rado producendo vere e proprie opere d'arte. Si dedicano allo sport, costruiscono campi da calcio, per la pallacanestro e per il gioco delle bocce. Qualcuno costruisce uno strumento musicale e suona, altri recitano poesie e commedie; viene organizzata una compagnia teatrale. Gli inglesi lasciano fare ed anzi, per tener impegnati i prigionieri li facilitano nell'intraprendere qualunque iniziativa che mantenga tranquilla la situazione. Vengono perfino concesse passeggiate nei dintorni del campo, dapprima brevi e controllate a vista dalle guardie indiane, più tardi addirittura vere e proprie spedizioni esplorative verso i massicci himalayani[2]. Umberto Tazzer trascorre in quel campo quattro lunghi anni quando, finalmente liberato, all'inizio di aprile del 1946 lascia le baracche di Yol per raggiungere la stazione di Nagrota. In treno parte alla volta del porto di Bombay dove lo attende un piroscafo che, in venti giorni, lo riporta in Italia. Il 26 aprile del 1946 sbarca al porto di Napoli. Ha offerto alla Patria ben dodici anni della sua vita ed ora viene finalmente congedato col grado di tenente colonnello degli alpini.
Il secondo dopoguerra
Altri impegni adesso lo attendono: all'età di 52 anni deve ricominciare tutto daccapo, rifarsi una vita, riprendere il lavoro per mantenere moglie e figli. Si trasferisce quindi a Catania e l'Ente Siciliano di Elettricità lo riassume impiegandolo nella costruzione della diga dell'Ancipa, nei pressi di Troina. Nel luglio del 1951, pur trovandosi in quel momento in ferie, viene chiamato d'urgenza al cantiere dove una frana ha sepolto alcuni operai. Tazzer accorre prontamente e resosi conto dell'accaduto, partecipa egli stesso alle operazioni di soccorso, ma il crollo di un altro tratto di terreno lo investe lesionandogli la colonna vertebrale. Trasportato all'ospedale di Catania, muore il 9 luglio del 1951.Note
[1] Anno scolastico 1885-86: Tazzer Emilio (diventa Direttore dello stabilimento di Valle Imperina); 1888-89: Tazzer Giuseppe; 1891-92: Tazzer Attilio e Tazzer Primo; 1912-13: Tazzer Attilio e Tazzer Umberto; 1916-17: Tazzer Fedele; 1949-50: Tazzer Antonio.[2] "YOL Prigioniero in Himalaya" - Benardelli Mainardo - Grafica Esse Zeta editore
(Particolari ringraziamenti vanno a Umberto Tazzer - omonimo nipote del colonnello - ed a tutta la sua famiglia per le preziose informazioni e le fotografie che ci hanno permesso di ricostruire la storia di questa nobile vita.)
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