Ventani Aldo
Tenente
7° Alpini, batt. Belluno, 79ª cp. 6ª Sez. Mitragliatrici
Nato il 16 dicembre 1893 a Montevarchi (AR)
Morto il 30 luglio 1916 in Val Travenanzes
Decorazioni
Medaglia d'Argento
Subite forti perdite tra i suoi uomini per un attacco improvviso del nemico,
con grande calma postava subito le sue mitragliatrici ed apriva un furioso
fuoco contro l'avversario infliggendogli a sua volta perdite gravi. Avuta
danneggiata un'arma dall'artiglieria nemica, continuava con l'altra e
concorreva, radioso esempio di valore, alla difesa della posizione conquistata,
fino a che, colpito egli stesso mortalmente in fronte, lasciava gloriosamente la
vita sul campo.
Val Travenanzes, 30 luglio 1916
Note biografiche (Archivio Paolo P.)
Prima della guerra
Aldo Ventani nasce a Montevarchi, comune di quasi 15.000 anime del
Valdarno superiore, il 16 dicembre 1893 da Alfredo, possidente terriero ed
Ispettore delle Ferrovie Regie, e Laura Betti. Dopo aver frequentato con
profitto il liceo classico, l'11 settembre 1913 entra alla Scuola Militare. Il
21 marzo 1915 è nominato sottotenente e l'8 aprile presta giuramento a
Belluno, assegnato all'omonimo battaglione del 7° Reggimento Alpini.
La Grande Guerra
Il 24 maggio, assieme a tutti i suoi commilitoni la cui maggioranza sono
veneti, è inviato in zona di guerra. Combatte sin dai primi giorni con la 79ª
compagnia per la conquista della Mesola.
Poco prima del “battesimo del
fuoco” il 27 maggio, scrive ai suoi genitori: “Carissimi genitori, è arrivato
per voi il momento di aver coraggio. Ricordatevi prima di essere genitori,
di essere italiani, come ho l'orgoglio di sentirmi io. Se non dovessi tornare
vuol dire che avrò pagato degnamente il mio tributo all'Italia e voi dovete
esserne orgogliosi. Non so se potrò più scrivervi né se le mie lettere vi
arriveranno. Cominciano le prime schioppettate. Evviva l'Italia.
Arrivederci o addio. Aldo”. La sua prima battaglia è durissima, tanto da
durare più di 12 ore; alla fine trova comunque il tempo di scrivere
nuovamente a casa: “Questa prova che aspettavo con ansia e che mi
faceva trepidare è stata invece per me fonte di grandissima
soddisfazione. In mezzo al sibilare tragico dei proiettili, al rombo delle
artiglierie, colla morte al fianco, una calma straordinaria mi ha invaso; una
serenità lucida di spirito insieme al senso profondo della responsabilità
per le vite che mi erano affidate. Mai come in questi momenti si pensa
alla casa lontana con dolcezza, in certi momenti forse con malinconia;
sempre essa appare come la ricompensa, forse lontana, del dovere
compiuto”. Con questo stesso spirito partecipa in seguito alle azioni in
Valle Ombrettola: il 13 giugno si reca con due ufficiali del 33° Reggimento
Artiglieria da Campagna ad eseguire una ricognizione in zona
Ombrettola – Contrin. Il giorno successivo, racconta Aldo, “... a pochi metri
da me una granata ha frantumato una gamba al primo e massacrato il
secondo fulminandolo. Il dolore che ho provato è stato pari a quello della
perdita di una persona cara, perché i giorni di vita in comune erano
bastati a saldarci con legami che uniscono chi vive per uno stesso ideale,
chi palpita per le stesse memorie familiari, chi affronta serenamente gli
stessi pericoli. Enrico è morto sotto un sole di trionfo ed il suo povero
corpo straziato è stato accolto da un cespuglio verde e di fiori, nel grembo
di una primavera tragica. L'ho raccolto e l'ho baciato. Ho pianto perché
ricordavo troppo bene che ieri sera eravamo andati in quattro ufficiali fino
a pochi metri dalle trincee austriache e là avevamo intonato un
formidabile coro barbaro, destando un enorme quanto ridicolo allarme
fra i nostri avversari, Poi eravamo tornati tranquillamente incolumi."
Successivamente, in zona Passo Falzarego – Tofane, è inviato con la sua
compagnia e contribuisce attivamente alla conquista del Col dei Bos.
Ferito in azione, rientra dalla convalescenza giusto in tempo per
partecipare all'attacco del Belluno di metà dicembre del 1915 contro il Col
di Lana. Inviato al corso Mitraglieri, torna al Reggimento con il grado di
tenente, al comando di una sezione mitragliatrici. Assiste alla mina del
Castelletto del luglio del 1916 e partecipa alle operazioni che ne
conseguono.
La morte
Il 30 dello stesso mese è impegnato, con la sua 79ª
compagnia, al grande attacco notturno in Val Travenanzes. Alle 3:40 del
mattino, il capitano Baccon raggiunge il Sasso Misterioso ed avvisa il Grandolfi di
aver preso contatto con la 96ª ma non con la 151ª. Nel frattempo il
capitano Brida, che comanda la 79ª esprime a Baccon i suoi dubbi
sull'opportunità di proseguire l'azione, visto l'avvicinarsi dell'alba e la
mancanza di contatto con il resto delle truppe cooperanti, ma il Baccon
insiste sul fatto di dover obbedire agli ordini ricevuti. Nel frattempo il
tenente Seracchioli, inviato dal comando, ordina a Ventani e Trevisan di
avanzare, senza attendere il loro comandante. L'agonia delle truppe è
descritta proprio dal
Trevisan: “Dopo un aspro diverbio con il capitano
Brida, il
Baccon ordinò
la risoluta avanzata. Lui stesso con gli alpini della
79ª si porta in avanti, scendendo un poco verso il ruscello, lo seguono gli
ufficiali Brida, Bellati,
Bossiner, Offredi,
tutti di corsa con i loro soldati ai
quali segue il Trevisan con i suoi della 77ª su quel fatale ghiaione. Le
fucilate aumentano da destra e da sinistra, accompagnate anche da fitte
scariche di mitraglia. Sorpassano un breve nevaio e sul ghiaione seguente
cadono numerosi alpini morti o feriti […] Cercammo di formare un riparo
con sasso sopra sasso [...] di collegarci a voce con altri ufficiali [...] e
cercare di capire cosa avvenisse sul ghiaione ove vedevamo degli alpini
feriti che il nemico conduceva in fondo valle. Infine, dopo minacce urlateci
in tedesco e italiano e rinnovate scariche di mitragliatrice, ci trovammo
circondati dagli austriaci e dovemmo lasciare le armi, chiudendo in
tragedia l'incauta avanzata”. In realtà la tragedia non è ancora del tutto
compiuta, il sacco non si è ancora chiuso completamente. Le truppe di
testa si sono schiantate contro il fondo dell'imbuto, tenuto dalle truppe
bosniache dell'Alpine Detachement N.10, ma è solo verso le 6 del mattino
che i due plotoni della Streifkompanie N.6 che costituivano le due estremità
del sacco si congiungono alle spalle degli alpini, nonostante l'estremo
sacrificio della 6ª Sezione Mitragliatrici di Ventani, che si oppone con tutte
le sue forze alla manovra dei plotoni Ritter e Raffeiner. Nonostante una
delle due armi sia messa fuori combattimento, il tenente impugna la
seconda fino a quando viene centrato in testa da un colpo di fucile. Per
questo atto di valore viene insignito della medaglia d'argento al valor
militare alla memoria.
Nell'ultima lettera alla famiglia si era profeticamente espresso in questi
toni: “La guerra ha certamente dei lati brutti, bestiali, ma fa vivere una vita
così straordinariamente intensa, fa pensare e vedere così lontano, che
merita di essere provata. In un anno ho vissuto tutta una vita, e tutto ciò
che di me c'era di sognatore e di sentimentale si è potuto espandere in
orizzonti così vasti e insospettati che, alla fine, ne sono felice, tanto che
adesso ho la sicurezza di poter affrontare con onore i cimenti futuri.
Tuttavia sappiate che l'avvenire non è nelle nostre mani ed è troppo
difficile da prevedere. Vi abbraccio tutti”.
(Tratto da "La terra sembrava tremare", 2015, Ed. StreetLib)
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Nato il 16 dicembre 1893 a Montevarchi (AR)
Morto il 30 luglio 1916 in Val Travenanzes
Decorazioni
Medaglia d'Argento
Subite forti perdite tra i suoi uomini per un attacco improvviso del nemico, con grande calma postava subito le sue mitragliatrici ed apriva un furioso fuoco contro l'avversario infliggendogli a sua volta perdite gravi. Avuta danneggiata un'arma dall'artiglieria nemica, continuava con l'altra e concorreva, radioso esempio di valore, alla difesa della posizione conquistata, fino a che, colpito egli stesso mortalmente in fronte, lasciava gloriosamente la vita sul campo.Val Travenanzes, 30 luglio 1916
Note biografiche (Archivio Paolo P.)
Prima della guerra
Aldo Ventani nasce a Montevarchi, comune di quasi 15.000 anime del Valdarno superiore, il 16 dicembre 1893 da Alfredo, possidente terriero ed Ispettore delle Ferrovie Regie, e Laura Betti. Dopo aver frequentato con profitto il liceo classico, l'11 settembre 1913 entra alla Scuola Militare. Il 21 marzo 1915 è nominato sottotenente e l'8 aprile presta giuramento a Belluno, assegnato all'omonimo battaglione del 7° Reggimento Alpini.La Grande Guerra
Il 24 maggio, assieme a tutti i suoi commilitoni la cui maggioranza sono veneti, è inviato in zona di guerra. Combatte sin dai primi giorni con la 79ª compagnia per la conquista della Mesola.Poco prima del “battesimo del fuoco” il 27 maggio, scrive ai suoi genitori: “Carissimi genitori, è arrivato per voi il momento di aver coraggio. Ricordatevi prima di essere genitori, di essere italiani, come ho l'orgoglio di sentirmi io. Se non dovessi tornare vuol dire che avrò pagato degnamente il mio tributo all'Italia e voi dovete esserne orgogliosi. Non so se potrò più scrivervi né se le mie lettere vi arriveranno. Cominciano le prime schioppettate. Evviva l'Italia. Arrivederci o addio. Aldo”. La sua prima battaglia è durissima, tanto da durare più di 12 ore; alla fine trova comunque il tempo di scrivere nuovamente a casa: “Questa prova che aspettavo con ansia e che mi faceva trepidare è stata invece per me fonte di grandissima soddisfazione. In mezzo al sibilare tragico dei proiettili, al rombo delle artiglierie, colla morte al fianco, una calma straordinaria mi ha invaso; una serenità lucida di spirito insieme al senso profondo della responsabilità per le vite che mi erano affidate. Mai come in questi momenti si pensa alla casa lontana con dolcezza, in certi momenti forse con malinconia; sempre essa appare come la ricompensa, forse lontana, del dovere compiuto”. Con questo stesso spirito partecipa in seguito alle azioni in Valle Ombrettola: il 13 giugno si reca con due ufficiali del 33° Reggimento Artiglieria da Campagna ad eseguire una ricognizione in zona Ombrettola – Contrin. Il giorno successivo, racconta Aldo, “... a pochi metri da me una granata ha frantumato una gamba al primo e massacrato il secondo fulminandolo. Il dolore che ho provato è stato pari a quello della perdita di una persona cara, perché i giorni di vita in comune erano bastati a saldarci con legami che uniscono chi vive per uno stesso ideale, chi palpita per le stesse memorie familiari, chi affronta serenamente gli stessi pericoli. Enrico è morto sotto un sole di trionfo ed il suo povero corpo straziato è stato accolto da un cespuglio verde e di fiori, nel grembo di una primavera tragica. L'ho raccolto e l'ho baciato. Ho pianto perché ricordavo troppo bene che ieri sera eravamo andati in quattro ufficiali fino a pochi metri dalle trincee austriache e là avevamo intonato un formidabile coro barbaro, destando un enorme quanto ridicolo allarme fra i nostri avversari, Poi eravamo tornati tranquillamente incolumi."
Successivamente, in zona Passo Falzarego – Tofane, è inviato con la sua compagnia e contribuisce attivamente alla conquista del Col dei Bos. Ferito in azione, rientra dalla convalescenza giusto in tempo per partecipare all'attacco del Belluno di metà dicembre del 1915 contro il Col di Lana. Inviato al corso Mitraglieri, torna al Reggimento con il grado di tenente, al comando di una sezione mitragliatrici. Assiste alla mina del Castelletto del luglio del 1916 e partecipa alle operazioni che ne conseguono.
La morte
Il 30 dello stesso mese è impegnato, con la sua 79ª compagnia, al grande attacco notturno in Val Travenanzes. Alle 3:40 del mattino, il capitano Baccon raggiunge il Sasso Misterioso ed avvisa il Grandolfi di aver preso contatto con la 96ª ma non con la 151ª. Nel frattempo il capitano Brida, che comanda la 79ª esprime a Baccon i suoi dubbi sull'opportunità di proseguire l'azione, visto l'avvicinarsi dell'alba e la mancanza di contatto con il resto delle truppe cooperanti, ma il Baccon insiste sul fatto di dover obbedire agli ordini ricevuti. Nel frattempo il tenente Seracchioli, inviato dal comando, ordina a Ventani e Trevisan di avanzare, senza attendere il loro comandante. L'agonia delle truppe è descritta proprio dal Trevisan: “Dopo un aspro diverbio con il capitano Brida, il Baccon ordinò la risoluta avanzata. Lui stesso con gli alpini della 79ª si porta in avanti, scendendo un poco verso il ruscello, lo seguono gli ufficiali Brida, Bellati, Bossiner, Offredi, tutti di corsa con i loro soldati ai quali segue il Trevisan con i suoi della 77ª su quel fatale ghiaione. Le fucilate aumentano da destra e da sinistra, accompagnate anche da fitte scariche di mitraglia. Sorpassano un breve nevaio e sul ghiaione seguente cadono numerosi alpini morti o feriti […] Cercammo di formare un riparo con sasso sopra sasso [...] di collegarci a voce con altri ufficiali [...] e cercare di capire cosa avvenisse sul ghiaione ove vedevamo degli alpini feriti che il nemico conduceva in fondo valle. Infine, dopo minacce urlateci in tedesco e italiano e rinnovate scariche di mitragliatrice, ci trovammo circondati dagli austriaci e dovemmo lasciare le armi, chiudendo in tragedia l'incauta avanzata”. In realtà la tragedia non è ancora del tutto compiuta, il sacco non si è ancora chiuso completamente. Le truppe di testa si sono schiantate contro il fondo dell'imbuto, tenuto dalle truppe bosniache dell'Alpine Detachement N.10, ma è solo verso le 6 del mattino che i due plotoni della Streifkompanie N.6 che costituivano le due estremità del sacco si congiungono alle spalle degli alpini, nonostante l'estremo sacrificio della 6ª Sezione Mitragliatrici di Ventani, che si oppone con tutte le sue forze alla manovra dei plotoni Ritter e Raffeiner. Nonostante una delle due armi sia messa fuori combattimento, il tenente impugna la seconda fino a quando viene centrato in testa da un colpo di fucile. Per questo atto di valore viene insignito della medaglia d'argento al valor militare alla memoria. Nell'ultima lettera alla famiglia si era profeticamente espresso in questi toni: “La guerra ha certamente dei lati brutti, bestiali, ma fa vivere una vita così straordinariamente intensa, fa pensare e vedere così lontano, che merita di essere provata. In un anno ho vissuto tutta una vita, e tutto ciò che di me c'era di sognatore e di sentimentale si è potuto espandere in orizzonti così vasti e insospettati che, alla fine, ne sono felice, tanto che adesso ho la sicurezza di poter affrontare con onore i cimenti futuri. Tuttavia sappiate che l'avvenire non è nelle nostre mani ed è troppo difficile da prevedere. Vi abbraccio tutti”.(Tratto da "La terra sembrava tremare", 2015, Ed. StreetLib)
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