Secondo inverno di guerra

Ottobre - Dicembre 1916

L'inverno 1916-1917 ebbe inizio praticamente nel mese di ottobre, con giornate freddissime e copiose nevicate. Ai primi di novembre, le abbondanti nevicate cadute sulla zona dimostrarono subito quale scarso assegnamento si poteva fare sulla mulattiera e sui sentieri per il Seràuta nonostante i lavori eseguiti negli ultimi tempi. Colonne di uomini si affaticavano ogni giorno, per ore e ore, a sgombrare la neve dalla stradina che risaliva la Val Ciamp d'Arei e dal sentiero tracciato nel Vallon d'Antermoia. Le prime valanghe costrinsero ben presto a rinunciare al sentiero e solo a fatica le squadre di spalatori riuscivano a mantenere sgombra la mulattiera fino alla stazione inferiore della teleferica per il Seràuta, situata a circa un chilometro e mezzo da Malga Ciapèla, sulla strada per Tabià Palazze e Passo della Fedaia. Anche le linee telefoniche venivano continuamente interrotte dalle slavine di neve, e i guasti erano cosí numerosi e gravi, che spesso si dovevano sostituire lunghissimi tratti di cavo.
Il 10 novembre la neve misurava già due buoni metri di altezza. Una grande bufera, scatenatasi il 21 dello stesso mese, interruppe tutte le comunicazioni (comprese quelle telefoniche) fra il comando, le prime linee e il fondo valle.

Legna non ne mancava sulle posizioni: durante l'estate la raccolta era stata intensa e la provvista accumulata bastava ampiamente per tutto l'inverno. Le teleferiche, ormai funzionanti regolarmente, sostituivano per il Passo d'Ombrettòla quasi tutto il traffico della mulattiera, molto soggetta al pericolo delle valanghe. Il 22 novembre era arrivata a Malga Ciapèla la 276ª compagnia, ossia la terza del battaglione Val Cordevole, da poco costituita, e destinata a sostituire i plotoni d'alta montagna del 51° Alpi e del 3° Bersaglieri. I cambi ebbero inizio soltanto il 10 dicembre all'Antermoia, quando gli alpini, alquanto ostacolati dal maltempo, sostituirono il nucleo d'alta montagna del XVIII battaglione Bersaglieri.

Quando ritornava il bel tempo, si ricominciava a sgombrare febbrilmente le trincee, i camminamenti, gli ingressi alle caverne e alle baracche, e si ripristinavano i trasporti e le comunicazioni; ma la neve, che in un primo tempo aveva cosí ben nascosto le posizioni, ora le rivelava con maggior evidenza e precisione. Gli austriaci, almeno sul versante del ghiacciaio, avevano risolto il problema scavando delle gallerie, ma nella zona Contrín - Col Ombèrt dovevano tenersi in superfice. Ne derivava che ogni nevicata era sempre seguita da sparatorie e cannoneggiamenti da una parte e dall'altra.
Avvenne cosí che in novembre e dicembre 1916 le artiglierie svolsero una prevalente attività disturbatrice su tutto il fronte della Marmolada. Anche l'osservazione aerea si fece piú intensa: un aereo austriaco, il 25 novembre, dopo aver sorvolato a grande altezza il massiccio dell'Ombretta si diresse verso la Val Biois, lasciando cadere due bombe sull'abitato di Celat, vicino alla rotabile, ferendo due alpini del battaglione Val Cordevole e danneggiando un paio di case. Un altro aereo, il 1° dicembre, ritornava su S. Pellegrino e sulla Val Biois, lanciando altre due bombe nelle vicinanze dei villaggi di Pè Falcade e Somòr. Un altro ancora, il 18 dicembre, ne gettò una su Forno Canale, che scoppiò vicino alla piazza ferendo quattro donne, e una su Celat, che non esplose.

Le prime valanghe precipitarono il 9 novembre 1916 sulla mulattiera che da Malga Ciapèla porta al Rifugio Ombretta ostacolando per qualche tempo il traffico, altre travolsero le stazioni di partenza della teleferica di Passo d'Ombretta e di Passo d'Ombrettòla, causando soltanto lievi danni al materiale. In regione Fedaia, invece, ne cadde una dal Sass del Mul che investí dieci bersaglieri, quattro dei quali perirono. Altre slittarono sul costone della Mesola e a Tabià Palazze.
Durante la notte del 21 novembre, mentre infuriava su tutta la zona una tempesta di violenza eccezionale, gli alpini che erano di vedetta scorsero a un tratto guizzare delle fiammelle sulle punte delle baionette e dei paletti di ferro. L'atmosfera era satura di elettricità: lampi abbaglianti schiarivano improvvisamente le tenebre mentre i fulmini si scaricavano sulle vette con boati assordanti. Le linee telefoniche furono interrotte in parecchi punti, e solo la mattina seguente - cessata la bufera - fu possibile ripristinare le comunicazioni. Un'altra violenta tormenta si scatenò su tutta la zona il 6 dicembre, interrompendo ancora una volta tutte le comunicazioni col Seràuta e con l'Ombrettòla. Al Passo delle Cirelle, il giorno 8, una grossa valanga investí e travolse una colonna di portatori guidata dal Sottotenente Bocci della sezione bombardieri e, sebbene prontamente soccorsi, l'ufficiale e un soldato furono estratti cadaveri. In conseguenza di queste eccezionali condizioni climatiche venne anticipato il previsto ritiro dei posti avanzati di quota 2.942, della Forcelletta e dello Sperone, nel Massiccio d'Ombretta, a causa delle difficoltà dei collegamenti e dei rifornimenti.

L'inverno non si presentava facile neppure per gli austriaci: da novembre sul ghiacciaio della Marmolada non c'era piú un posto sicuro dalle valanghe. Una di queste distrusse la grande baracca di quota 2.800, nella quale si trovavano cinquanta uomini. In quel momento però la preoccupazione maggiore era data dal villaggio di baracche situato presso la stazione intermedia della teleferica al Gran Poz. Le numerose costruzioni disposte a ripiani, al riparo dai tiri dell'artiglieria italiana, ospitavano le truppe di rincalzo nonché depositi e magazzini. Il Capitano Handl aveva da tempo intuito il pericolo delle valanghe che incombeva su quella posizione e aveva piú volte chiesto al comando superiore il trasferimento degli uomini nelle gallerie della Città di Ghiaccio, ma la richiesta era stata sempre respinta. Il comando di brigata non intendeva spostare le truppe di rincalzo dal Gran Poz, in quanto non si escludeva un'azione offensiva dalla Forcella Marmolada contro il Passo d'Ombretta. Tale decisione, che metteva a repentaglio la vita di centinaia di soldati, non teneva in alcun conto le piú elementari norme di sicurezza. Il pericolo era imminente in quanto sulla zona nevicava ininterrottamente dai primi di dicembre. Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre, la temperatura si alzò notevolmente e si mise a piovere. Al mattino, verso le 6, un'imponente valanga si staccò dalla Punta Rocca, mettendo in moto la gran massa di neve che si era accumulata sul ghiacciaio. L'ingegner Leo Handl calcolò in duecentomila tonnellate la coltre nevosa che vorticosamente era precipitata in basso, seppellendo e distruggendo il villaggio del Gran Poz e i trecento uomini che lo abitavano. Lo spostamento d'aria fu tale che una spaziosa baracca, situata allo sbocco di una profonda gola del torrente e protetta dalla parete rocciosa nella quale era scavata, venne sbalzata a valle per oltre un chilometro, causando la morte dei quarantacinque soldati che vi si trovavano. Sul luogo della catastrofe accorsero subito i primi soccorritori, fra cui un centinaio di prigionieri di guerra russi, i quali riuscirono a trarre in salvo una cinquantina di uomini.
Il 17 dicembre, a cinque giorni dalla disgrazia, mentre si stavano recuperando le salme, sbucò improvvisamente dalla neve un uomo seminudo. Si trattava di un giovane Kaiserschütz che era riuscito ad aprirsi un varco nella neve che lo seppelliva, scavando un cunicolo di circa sei metri. Il suo corpo presentava gravi sintomi di assideramento ma poteva considerarsi fortunato. La baracca nella quale si trovava era stata schiacciata ma intorno a lui si era formata come una sacca protettiva che lo aveva salvato. Egli disse che, probabilmente, altri suoi compagni erano ancora in vita, ed effettivamente prima di sera vennero recuperati altri otto uomini, alcuni dei quali gravemente feriti o congelati. Per oltre una settimana la teleferica, che era stata febbrilmente ripristinata, lavorò per trasportare al Pian Trevisan le salme delle duecentoventi vittime della sciagura, la piú tremenda in tutto il corso della guerra.
Mentre fervevano questi lavori, il capitano Handl, con una pattuglia di sciatori, si mise alla ricerca di un luogo sicuro per sistemare i superstiti del presidio. Dopo lungo girovagare, essi trovarono sopra il Gran Poz, in una stretta gola ai margini del ghiacciaio, un'immensa caverna dal fondo ghiaioso che sembrava fatta apposta per loro. Si cominciò a scavare una galleria nella neve lunga un'ottantina di metri, mentre in fondo valle si preparavano gli elementi scomponibili per allestire una grande baracca. Questa venne installata nel giro di pochi giorni e vi trovarono riparo dalle valanghe un'ottantina di persone.

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