Cannoni sulla Marmolada

Luglio 1916 - Luglio 1917

Nel luglio del 1916, gli uomini del reparto austriaco che si trovava sulla quota 3.259 della Marmolada segnalarono al comando che, presso la loro baracca, si era aperto un pericoloso crepaccio. Per controllare la situazione e per migliorare il collegamento tra questo posto avanzato e la Città di Ghiaccio venne inviato lassú il Tenente Gunther Langes con una squadra di esperti Bergführer, muniti di corde e scalette. La pista per raggiungere la quota 3.259 attraversava una zona molto crepacciata del ghiacciaio ed era completamente esposta al tiro delle artiglierie italiane. Andava percorsa di notte o con la nebbia e, malgrado ci fossero una trentina di ponticelli di legno per superare la zona crepacciata, l'itinerario non era del tutto sicuro. Secondo l'opinione del Tenente Gunther Langes il crepaccio che si era aperto a quota 3.259 non rappresentava un pericolo, anzi poteva diventare un comodo rifugio sotterraneo per il piccolo presidio. Ne ampliarono un poco i bordi in modo da potersi calare all'interno, poi vi gettarono di traverso un palo al quale appesero una scala di corda. Una guida alpina si calò giú e, lavorando di piccone, riuscí ad aprirsi un passaggio fra i pinnacoli di ghiaccio. L'interno del crepaccio era abbastanza solido e l'intera squadra vi si inoltrò in esplorazione, trovando vasti androni illuminati fantasticamente dalla luce che filtrava attraverso il ghiaccio. Ora si trattava di collegare questa nuova posizione con la base di quota 2.880, e quindi con le principali gallerie della Città di Ghiaccio.
Non si trattava soltanto di rafforzare un isolato posto di guardia, ma di costruire lassú una piazzuola d'artiglieria con un'apertura nella parete sud della Marmolada per bombardare dall'alto le posizioni italiane dell'Ombretta.

I lavori per lo scavo di questa galleria durarono quattro mesi e costarono molta fatica, in quanto si dovettero affrontare difficoltà mai presentatesi in precedenza. C'era da superare un dislivello di circa 500 metri per una distanza di tre chilometri e mezzo, e questo dava alla galleria una notevole ripidità. Si dovettero intagliare dei gradini nel ghiaccio, ma questi in breve tempo si sbrecciarono e consumarono formando buche profonde nelle quali si affondava sino al ginocchio. Essendo una galleria verticale, quasi come un camino, quando c'era tormenta sul ghiacciaio esercitava un forte tiraggio verso l'alto. Una volta, dopo due giorni di freddo intenso e di bufera, fu trovata completamente otturata dalla neve che il vento aveva soffiato dentro molto in profondità. Ci vollero allora otto giorni per ripristinare il passaggio e per fissare alcune porte verso l'esterno. Inoltre erano state installate, sia all'inizio sia al termine della galleria, quattro baracche di legno. Dall'estremità della galleria di ghiaccio, sopra la quota 3.259 si passava in una galleria di roccia che sboccava in una vasta caverna, nella quale era stato piazzato un cannone da montagna. Una feritoia era stata aperta direttamente nella parete Sud, otto metri piú sotto la cresta della montagna.

Si era ormai nella seconda metà del mese di febbraio 1917 e gli alpini lavoravano sulla Cima Ombretta dove avevano intrapreso la costruzione di un sentiero d'arroccamento, parte in roccia e parte sospeso con ingegnosi accorgimenti sui canaloni, lungo la cresta che unisce la Cima di Mezzo alla Cima Ombretta Occidentale, allo scopo di facilitare il trasporto di alcune bombarde sulle posizioni piú avanzate. Nel cuore dell'inverno e a quell'altitudine (sui 3.000 metri) i soldati lavoravano di mazzetta, piccone e badile per tutta la notte, avvicendandosi nel maneggio dell'uno o dell'altro attrezzo. Durante il giorno non sarebbe stato possibile svolgere alcuna attività lassú, perché tutta la zona era dominata a breve distanza dagli austriaci annidati sulla cresta della Marmolada.
Verso il 20 febbraio veniva segnalato che gli austriaci avevano aperto una nuova feritoia sotto la Punta Rocca. Allo spuntar dell'alba del 27 febbraio, da quell'apertura un cannone da montagna aprí improvvisamente il fuoco sulla Cima Ombretta di Mezzo, mentre un altro pezzo si scoperse sull'estrema calotta nevosa della Marmolada. I due pezzi, cui si unirono anche due mitragliatrici, raggiunsero con i loro colpi i ricoveri e le opere difensive di Cima Ombretta. Una delle prime granate esplose contro la baracca adibita a cucina, mandando all'aria ogni cosa, fra cui il tavolino sul quale si trovavano alcune carte e i denari per la cinquina degli alpini, che il Sottotenente Tommasi aveva preparato e stava per distribuire. Un altro colpo sfondò il magazzino dei viveri di riserva, e un terzo danneggiò uno dei due pezzi da montagna, mentre stava controbattendo il fuoco nemico. Il bombardamento durò tutta la giornata e anche la notte successiva, con brevi intervalli. Artiglieri e alpini si prodigarono per salvare tutto quanto era possibile e, fra una pausa e l'altra di quella spaventosa tempesta, riuscirono a innalzare un riparo all'imbocco della caverna nella quale essi avevano trovato ricovero. In quella circostanza fu esemplare il comportamento del Caporalmaggiore Primo Barb, un alpino anziano, padre di numerosa famiglia, il quale per primo e di propria iniziativa, incurante del tiro nemico, raggiunse prontamente la baracca-polveriera, si caricò sulle spalle una cassa di gelatina e la scaraventò nel vallone sottostante, dove questa scoppiò con un boato fragoroso. La sua prontezza aveva evitato un disastro. Durante la notte venne issato sulla Cima Ombretta un altro cannone da montagna, che gli artiglieri già alle prime luci dell'alba avevano collocato in posizione e che, con tutte le altre bocche da fuoco della zona, cominciò a controbattere i pezzi austriaci, i quali in breve tempo furono ridotti al silenzio.
Dopo una simile esperienza e con il pericolo sempre incombente sulle loro teste, gli alpini pensarono che non era piú il caso di ricostruire le baracche distrutte. Il presidio di Cima Ombretta dedicò quindi le sue cure al miglioramento della caverna esistente, ampliandola e rivestendola con tavole di legno. In seguito vi furono adattati dei tavolati a tre ordini sovrapposti per le cuccette dei soldati e degli ufficiali. I servizi trovarono posto in una rientranza naturale della roccia, verso la Vedretta del Vernale, a cui si perveniva mediante un itinerario attrezzato con delle corde fisse. Piú tardi, una nuova e capace baracca fu costruita, pezzo per pezzo, poco sotto la vetta di Cima Ombretta Orientale, in posizione sufficientemente defilata. Da quel momento, nella caverna di Cima Ombretta di Mezzo venne lasciato solo un ristretto corpo di guardia, mentre il resto del presidio si trasferí nel nuovo e piú ospitale ricovero.

Il 27 aprile, alle 06:15, i cannoni austriaci sulla cresta della Marmolada, diventati ormai quattro, aprirono contemporaneamente il fuoco sul Rifugio Ombretta, sparando, questa volta, con granate incendiarie. Il bersaglio venne quasi subito colpito, e in poche ore il rifugio, le baracche vicine e la stazione della teleferica furono distrutti dalle cannonate o dalle fiamme. Per fortuna, le caverne erano quasi ultimate, e i soldati poterono rifugiarvisi subito, e mettervi in salvo molta roba, ma la ospitale casetta del comando era ormai irrimediabilmente rovinata. Le artiglierie italiane, per rappresaglia, si accanirono quel giorno contro i baraccamenti della Mesola (Sasso di Mezzodí) e del Belvedere, e spararono su concentramenti di truppa in Val di Fassa, a Penía e Canazei.

Qualche giorno dopo l'avvenuta distruzione del Rifugio Ombretta, il comandante della 4ª Armata, Generale Nicolis di Robilant, accompagnato dal capo dell'Ufficio Operazioni dell'Armata, Maggiore Italo Gariboldi, si recò a ispezionare le posizioni dell'Ombretta. In quei giorni era pervenuta notizia al comando d'Armata che una pattuglia di alpini era riuscita ad arrampicarsi sino al primo cengione della parete sud della Marmolada. Il fatto era abbastanza clamoroso, in quanto avveniva subito dopo la partenza del Capitano Andreoletti, che era stato l'unico alpinista italiano a scalare quella parete. Appena egli fu avvertito di quanto veniva diffuso dal comando di settore, ebbe la sensazione che la notizia fosse soltanto una provocazione nei suoi riguardi, e chiese l'autorizzazione di potersi incontrare con l'Aspirante Filippo Bassot, che veniva indicato come la guida che aveva portato la pattuglia sulla parete sud della Marmolada. Il Bassot smentí recisamente la notizia della fantasiosa scalata, dicendo che egli era giunto con la sua squadra sino alla base della parete, nel punto in cui si raccoglieva un rigagnolo d'acqua di scolo, abituale punto di sosta di ogni pattuglia.
Nel frattempo gli austriaci avevano sistemato lassú un'altra piazzola d'artiglieria, in una caverna sopra la Forcella a Vu. Avevano cominciato con lo scavare il bordo ghiacciato, sovrastante la crepaccia terminale tra la quota 3.153 e la Forcella a Vu, e ne avevano ricavato una galleria quasi verticale, la quale, dopo aver percorso a serpentina circa centoquaranta metri, sbucava sopra l'intaglio della cresta. Qui il ghiaccio aderiva completamente alla roccia irregolare, senza quei movimenti di deflusso che erano stati notati nella costruzione delle precedenti gallerie, al di sotto della crepaccia terminale. Dal punto raggiunto, una sessantina di metri sopra la Forcella a Vu, si procedette allo scavo nella roccia, di una galleria ad angolo retto. Questo accorgimento poteva servire nel caso che la feritoia della cannoniera fosse stata bersagliata, per riparare in angolo sicuro il pezzo d'artiglieria, una volta eseguito il tiro.
La mattina del 6 luglio 1917, alle ore 07:30, da questa nuova postazione, il pezzo da 77 mm, issato fin lassú con grande fatica, sparò a brevi intervalli un centinaio di granate contro le posizioni italiane del Seràuta. L'immediata reazione dell'artiglieria italiana contro il nuovo pezzo costrinse gli austriaci a ritirarlo in fretta: furono distrutti in tale occasione i blindamenti principali della Forcella a Vu, e la postazione di una mitragliatrice al Sass delle Undici, mentre un colpo ben centrato imboccava la cannoniera del Sass delle Dodici. La lezione era stata dura per gli austriaci e il nuovo pezzo non diede mai piú segno di vita.

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