L'esplosione
17 aprile 1916
Alle 22 del 17 aprile iniziò lo sgombero delle trincee di prima linea e le colonne di attacco vennero inviate nei rispettivi punti di attesa. Gli austriaci notarono alcuni movimenti ma dopo un po', visto che nessuno si faceva avanti, non vennero prese altre iniziative. Tre riflettori (Porè, Migogn e Toppa) iniziarono ad illuminare le linee austriache. Alle 23.25 il magg. Mezzetti trasmette verbalmente l'ordine di far saltare la mina al s.ten. Grimaldi che si reca nella galleria S. Giulia (a 105 metri dalla camera di scoppio) e lo comunica al Caetani, il quale però pretese un ordine scritto che subito gli venne recapitato.
L'ordine scritto del Mezzetti al Caetani (Da Schemfil)
Così descrissero quei momenti alcuni dei protagonisti.
- Maggiore Ottorino Mezzetti
"Alle 23.35 l'esplosione si produsse. Sentimmo oscillare il terreno sotto i nostri piedi e fremere
e scricchiolare le armature delle gallerie; seguì un cupo, formidabile rombo e il fragoroso
scrosciare sulla copertura delle stesse dei materiali lanciati in alto dall'esplosione, i quali
ricadevano con tonfi sordi, schianti e rotolii come di frana."
- Sottotenente ing. Bruno Bonfioli
"Alle 23.35 Caetani diede il segnale stabilito e tutti gli esploditori contemporaneamente
scattarono sotto lo strappo simultaneo delle cordicelle. Ne seguì un attimo di silenzio che ci
sembrò un secolo, poi un colpo sordo, una detonazione profonda, cupa, come un boato sotterraneo,
una scossa di terremoto e una gran pioggia di sassi che non finiva più e che ci ha ostruito metà
dell'ingresso della nostra galleria mentre si sentiva il rotolare dei massi giù per i valloni.
Chi ha visto lo scoppio da lontano ha detto che lo spettacolo era superbo. Sulla vetta s'era alzata
una nube grande, maestosa, immensa, e poi una colossale fontana saliente di blocchi, di massi,
chissà forse di uomini."
- Tenente Toni von Tschurtschenthaler
"La notte era buia ed il silenzio sepolcrale. La quiete solenne prima della bufera [...] Potevano
essere passati 10 minuti allorchè gli uomini nella caverna si trovarono scaraventati fuori da dove
erano seduti o distesi da una pressione ed una spinta fortissime, accompagnate da una potente
detonazione. La montagna tremò come se volesse crollare su se stessa. Tutti balzarono su per
uscire, ma invano. Massi ed altro materiale avevano ostruito nuovamente il basso ingresso. Eravamo
prigionieri. [...]
Il passaggio fu presto riaperto, ma il tremendo fuoco di artiglieria rendeva impossibile uscire.
Chiunque si fosse arrischiato ad andar fuori sarebbe andato incontro a morte sicura. Dopo sì e no 5
minuti dall'esplosione incominciarono a mescolarsi con il fragore degli scoppi delle granate
nemiche secchi colpi di fucile."
Indescrivibile l'effetto sulla cima; dal terreno sconvolto affioravano materiali di ogni genere e
quà e là dei resti di cadaveri.
Nelle linee italiane l'unico incidente si verificò ai danni di un mezzo plotone della 1ª compagnia
(cap. Marinoni) che rimase sepolto in un
camminamento non protetto; le vittime furono 11. Nella tragedia dell'esplosione, due episodi
vengono riportati dal Viazzi e meritano trascrizione. Il primo ha per protagonista uno sfortunato
soldato austriaco.
"Dopo quattro giorni dallo scoppio, sulla cima del Col di Lana vi era ancora un soldato
austriaco, imprigionato in mezzo ai rottami di una baracca franata, il piede preso come in una
morsa fra due travi. I nostri soldati tentarono di liberarlo, ma il lavoro era lungo ed il fuoco
del cannoncino appostato sul Sief lo rendeva più difficile e pericoloso. Tuttavia, con quel
profondo senso di semplice umanità che non abbandona mai il soldato italiano, i nostri fanti
rischiavano continuamente la vita pur di portare qualcosa da bere e da mangiare a quell'infelice e
per confortarlo. C'era, poi, un piccolo caporale che si era messo in testa, ad ogni costo, di
liberarlo, e rimaneva per ore a lavorare, eroicamente, anche sotto il fuoco. [...]
Il giorno dopo morì nel turbine di una furiosa nevicata."
Il secondo episodio riguarda il ritrovamento del corpo del feldkurat (cappellano militare)
Blumenschein che era salito il giorno 17 accompagnato dal portaordini Kreebs per portare conforto
al presidio, pur sapendo che quasi certamente ci avrebbe rimesso la vita anche lui: aveva infatti
confidato a don Menardi che "è mio dovere assistere i miei uomini anche di fronte alla morte!"
Un solo austriaco sfuggì alla morte ed alla prigionia: lo spostamento d'aria lo fece precipitare
nella gola verso il Sief. Per due giorni ed una notte si trascinò carponi nella neve e riuscì a
raggiungere le proprie linee. Quando arrivò aveva le mani ed i piedi congelati e lo shock gli aveva
tolto per sempre l'uso della parola.
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