Attacchi contro Forcella Vu
Giugno - Agosto 1916
Ai primi di giugno del 1916, le truppe della 1ª Armata, dopo aver arrestato l'offensiva austriaca sugli Altipiani,
stavano apprestandosi alla controffensiva. Il Comando Supremo espresse il suo intendimento che anche l'ala sinistra
della 4ª Armata "operasse offensivamente per la Val Travignolo in direzione di Cavalese, in concorso con la destra
delle truppe del settore Val Cismon", e che a questo fine il XVIII Corpo d'Armata passasse alle sue dipendenze.
Il comando della 4ª Armata presentò subito un programma di operazioni, fra le quali una aveva come obiettivo il raggiungimento
della linea Colbricòn - Cima Bocche - Allochet - Passo Le Selle. Il piano venne accettato, e ne seguirono di conseguenza
alcuni rimaneggiamenti nella delimitazione dei settori e nella dislocazione delle truppe. Il compito venne assegnato al
IX Corpo d'Armata, il quale dispose che la 17ª Divisione, ceduto il suo settore alla 18ª Divisione, si trasferisse con
la brigata Calabria, due reparti speciali di mitragliatrici e due gruppi
di artiglieria da campagna, nel settore della Val Biois, dove agli ordini del Colonnello
Peppino Garibaldi, costituí il sottosettore S. Pellegrino,
con giurisdizione sul tratto di fronte compreso fra il Passo S. Pellegrino e il Passo d'Ombretta.
In seguito a queste disposizioni comunicate ai comandi dipendenti il 18 giugno 1916 – anche le truppe della regione
Ombretta-Ombrettòla passarono temporaneamente alle dipendenze tattiche del nuovo sottosettore.
Mentre venivano effettuati questi spostamenti e si stavano preparando le previste azioni per il successivo mese di
luglio, il capitano del 51°, Menotti Garibaldi, comandante
la zona Antermoia-Seràuta, diramò in data 17 giugno 1916 l'ordine di operazione per la conquista della Forcella a Vu.
È questo un piccolo intaglio a forma di V, all'estremità orientale della lunga cresta rocciosa, poco sotto la cima
della cosiddetta Marmolada d'Ombretta, facilmente riconoscibile dal versante del ghiacciaio per la sua forma caratteristica.
Esso rappresentava una posizione chiave per la difesa austriaca.
Il 30 aprile 1916, dopo un mese di combattimenti, gli alpini della 206ª del Val Cordevole, coadiuvati da reparti del 51° Alpi, erano riusciti a impadronirsi della Forcella Seràuta e occupare la quota 3.065, che costituiva, in certo qual modo, la spalla destra della Forcella a Vu. Gli austriaci, per nulla rassegnati alla perdita di questa posizione, si erano insediati nella profonda spaccatura della Forcella a Vu, per farne una base di contrattacco.
Il 22 maggio 1916, la Punta Penía veniva raggiunta dal reparto guide alpine del III Landesschützen, agli ordini del Sottotenente Hinterberger e con il capo-plotone Gottfried Gleirscher, il quale il 2 giugno costituiva lassú un presidio permanente. Venne subito iniziato un faticoso lavoro per scavare nel ghiaccio un ricovero per gli uomini, ed il 26 giugno si costituí anche un osservatorio d'artiglieria del 3° Reggimento Cannoni da Campagna.
Un attacco contro la Forcella a Vu non sembrava impresa difficile, data la posizione dominante a quota 3.065, ma gli austriaci proprio per questo avevano notevolmente rafforzato la loro difesa. Il trinceramento era costituito da sacchi pieni di ghiaccio e di ghiaia. Quest'ultima era preziosa lassú, perché il servizio di rifornimento bastava solo al trasporto delle munizioni, delle vettovaglie e del legname.
L'azione venne affidata al Sottotenente Ferruccio Bonacina, comandante del plotone autonomo del battaglione Belluno, al quale si uní volontariamente l'Aspirante Toigo. Partecipava all'impresa anche un forte nucleo della 206ª compagnia al comando di Filippo Bassot, da poco nominato Aspirante. Si trattava di alpini che avevano già preso parte alle precedenti azioni (in tutto erano all'incirca un centinaio), e anche questa volta toccava loro il compito di aprire la strada alle truppe del 51°.
Nella notte dal 17 al 18 giugno, alle ore 02:30, il Toigo, muovendo dalla piccola baracca situata al rovescio della quota 3.065, attaccava gli avamposti austriaci e riusciva a giungere sull'orlo della principale trincea. L'artiglieria austriaca aprí immediatamente il fuoco, facendo anche uso di granate a gas asfissianti, e mettendo ben presto fuori combattimento parte degli uomini. Il Sottotenente Bonacina intervenne decisamente con gli alpini del plotone autonomo, assumendo nel contempo il comando di tutti i partecipanti all'azione. Egli balzò nella trincea, catturando alcuni prigionieri. Il trincerone, scavato nella neve, era profondo un paio di metri ma risultava inadatto ad una valida difesa, e per questo gli austriaci lo avevano abbandonato senza opporre un'eccessiva resistenza. Essi, suddivisi in due gruppi, si erano appiattati fra le rocce, in piú sicure posizioni arretrate, dalle quali sparavano e lanciavano bombe a mano sulle trincee di neve occupate dagli italiani. Il Sottotenente Bonacina, resosi conto che la situazione si andava facendo sempre piú precaria, chiese rinforzi, ma questi non poterono giungere a causa del violento tiro d'interdizione dell'artiglieria austriaca. Tuttavia gli alpini resistettero ancora per due ore, poi si ritirarono, portando seco i feriti, gli svenuti per asfissia dei gas e i prigionieri. Nel frattempo, sul ghiacciaio per il lungo camminamento scavato nella neve, salivano dal Sass de Mez verso il luogo dello scontro ingenti rinforzi austriaci, recando anche una mitragliatrice, con la quale - poco dopo - venne aperto un vivace fuoco contro gli alpini in ritirata. I prigionieri, nel corso dell'interrogatorio cui furono subito sottoposti, riferirono che il presidio della Forcella a Vu era di cinquanta uomini circa. L'Aspirante Toigo, ferito, rimase sul terreno e venne considerato disperso. Gli alpini colpiti dalle esalazioni del gas asfissiante furono una dozzina e vennero visitati dall'ufficiale medico dottor Corda. Il bilancio delle perdite comprendeva inoltre due morti, tre feriti e sei dispersi.
Il 30 giugno 1916, l'azione contro la Forcella a Vu venne ripetuta in concomitanza con un altro attacco alle posizioni austriache del Sass delle Undici. Il comando del 51° ne aveva, ancora una volta, affidato l'esecuzione al reparto alpino, che già si era distinto nell'azione precedente. Il comando era stato affidato questa volta al Sottotenente Cattaneo del plotone autonomo, coadiuvato dall'Aspirante Gamba.
L'azione ebbe inizio alle ore 02:20, a opera della 12ª compagnia del III battaglione, agli ordini del Capitano Rinaldo Chelli, contro il Sass delle Undici. La compagnia, partita dal Sasso del Mulo, all'estremità orientale della Fedaia, risalí lentamente il ghiacciaio, riuscendo a superare un primo ordine di reticolati, ma dovette arrestarsi di fronte a un secondo impenetrabile sbarramento di filo spinato. Il reparto, preso sotto il fuoco austriaco, subí gravi perdite e fu costretto a ripiegare sulle posizioni di partenza. Cinque uomini che erano rimasti abbarbicati sulle rocce del versante orientale del Sass de Mesdí, scorti alle prime luci dell'alba dagli austriaci, vennero facilmente catturati. Esito altrettanto negativo ebbe la nuova azione contro la Forcella a Vu. Malgrado l'intenso fuoco d'interdizione dell'artiglieria austriaca, alcuni nuclei di alpini erano riusciti ad avvicinarsi ai trinceramenti austriaci, quando l'improvviso scoppio di una mina, predisposta sul ciglio della Forcella, bloccò, con un rovinio di massi rocciosi, l'unica possibile via di accesso. L'Aspirante Gamba, gravemente ferito dall'esplosione, rotolò poco sopra la crepaccia terminale del ghiacciaio. Vi rimase agonizzante fino al pomeriggio del giorno seguente, senza che i suoi compagni, che lo vedevano chiaramente dalle loro posizioni, potessero recargli aiuto. Il Sottotenente del Genio, ingegner Giuseppe Schiavoni, che si trovava al Seràuta dal 28 maggio 1916 per dirigere la sezione fotoelettrica, si offerse di andarlo a recuperare con due porta-feriti. Ma la nebbia, sulla quale si faceva affidamento per sottrarsi all'osservazione, si dissolse in breve tempo, e la mitragliatrice austriaca impediva, con il suo tiro pressoché continuo, di avvicinarsi alla zona dove giaceva il povero Gamba. Con lui morirono diciotto alpini e una ventina furono i feriti.
Malgrado l'esito negativo anche di questo secondo attacco, venne rinnovato l'ordine di ritentare, per la notte successiva, l'azione contro la Forcella a Vu. Un violento temporale fece però ritardare sensibilmente la marcia d'avvicinamento dei reparti designati e l'azione venne quindi rimandata alla notte tra il 2 e il 3 luglio. Questa volta il compito venne affidato alla 4ª/51° fanteria, al comando del Capitano Carpi, ma il risultato non fu migliore, e la compagnia, avendo subito la perdita di cinque uomini uccisi e un'ottantina feriti, fu costretta a ripiegare.
Gli austriaci, sempre annidati nella Forcella a Vu, dopo aver subito nel giro di una quindicina di giorni tre attacchi, cercarono a loro volta di reagire. Nel tardo pomeriggio del 4 luglio, approfittando di una densa coltre di nebbia, mossero da diversi punti contro le posizioni del Seràuta, ma i loro movimenti vennero tempestivamente avvistati dagli avamposti di quota 3.065, e i loro tentativi respinti dopo mezz'ora di combattimento. Analoga azione venne rinnovata, con maggior decisione, l'11 luglio: una sessantina di soldati in tuta mimetica riuscirono a giungere inosservati a una decina di metri dai reticolati italiani, ma vennero ancora una volta respinti. Le perdite italiane risultarono quel giorno di sette morti e undici feriti.
Il presidio austriaco di Forcella a Vu non aveva vita facile e pertanto cercava con disperati contrattacchi di allentare la morsa che andava stringendosi intorno alle posizioni che occupava. L'artiglieria italiana non dava loro tregua e batteva i trinceramenti della forcella man mano che venivano costituiti. Il tiro si estendeva anche nelle immediate vicinanze, costringendo le colonne di portatori, che procedevano cautamente sul ghiacciaio, a sostare per ore cercando riparo nei crepacci, quando non erano costretti a rientrare alla base, avendo perduto parte del carico faticosamente trasportato sin lassú.
Durante la notte la distesa del ghiacciaio veniva illuminata dai potenti riflettori del Seràuta, mentre il bombardamento non aveva soste. Alcuni colpi di granata e bordate di shrapnel arrivarono anche sulla Punta Penía, ma non arrecarono danni. Dal 13 al 27 luglio si trovava su questa elevata posizione un piccolo reparto con la guida alpina Fedele Bernard, il Tenente Karl Demel e l'Alfiere Otto Gartner.
Altro violento bombardamento si ebbe il 26 luglio, quando giunsero su Punta Penía il Tenente Norberto Gatti, la guida Alessandro Zardini di Cortina d'Ampezzo e il Tenente Wilhelm Bergmann con sei uomini per dare il cambio ai primi occupanti. Ad essi seguirono l'Alfiere Gottfried Pilz, i Landesschützen Anton Trochner, Strasser, Hafner, Hinteregger, Oberlechner, Maier e Riepler. Tutti questi soldati svolsero il compito loro affidato, rimanendo a turno, decine e decine di giorni, sulla piú alta vetta della Marmolada (m 3.342) fra il ghiaccio e la neve, il freddo e la pioggia, flagellati dalle bufere e dalle scariche elettriche dei fulmini. Gli austriaci temevano un attacco da questo versante. Anzi ritennero in quei giorni che un tentativo del genere fosse già in corso. La segnalazione venne fatta il 26 giugno dal Tenente Josef von Fritsch che si trovava lassú come osservatore di artiglieria. Un altro falso allarme si ebbe l'8 luglio 1916.
Le difficoltà di rifornimento e lo stillicidio delle perdite da parte austriaca per la difesa della posizione avanzata di Forcella a Vu divenivano, di giorno in giorno, sempre maggiori e preoccupanti.
Ai primi di agosto del 1916, il comandante delle posizioni austriache sul ghiacciaio, capitano Samen, cui era stato dato l'ordine di tenere a ogni costo la Forcella a Vu, cosí replicava: "I miei Kaiserjäger resisteranno, s'intende, fino all'ultimo uomo; tuttavia faccio notare che, se continuerò, come oggi, a perdere i miei migliori soldati anche per un solo colpo d'artiglieria in pieno, fra qualche giorno, perdurando lo sgelo, avrò perduto tutta la mia truppa". La Forcella a Vu era, per gli austriaci, una posizione troppo importante e la sua perdita avrebbe messo in crisi il sistema difensivo della Marmolada. Perciò il comando austriaco si affrettò a inviare uomini e materiali e prese a studiare attentamente la situazione per trovare il modo di rifornire e rafforzare tale posizione avanzata. In un primo tempo si erano distribuiti lunghi teloni bianchi per mascherare le piste, ma servivano a poco perché il vento li strappava via. Si era inoltre rilevata l'inutile fatica per tener sgombri i camminamenti nella neve, che spesso il vento tornava a riempire in poche ore e che gli italiani, anche con l'osservazione aerea, vedevano bene in tutta la loro estensione. Si pensò allora di scavare delle gallerie nel ghiacciaio per usarle come vie di approccio piú sicure e nascoste.
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