La galleria Rosso
Luglio - Ottobre 1917
Le difficoltà di conquistare la Forcella a Vu con un colpo di forza e, d'altra parte, la necessità d'impossessarsi
di questa posizione per i vantaggi che offriva, avevano indotto i comandi italiani a mutar tattica. Non piú assalti
disperati e suicidi, ma l'avvicinamento alle difese nemiche mediante lo scavo di una galleria nella neve che consentisse
agli alpini di rimanere al coperto sino al momento risolutivo. Perciò, mentre gli austriaci credevano di aver risolto
definitivamente il problema della difesa della Forcella a Vu e, con le vecchie e nuove gallerie scavate nel ghiacciaio,
di aver stabilito sicure vie di accesso fra quella posizione e le basi di rifornimento, gli italiani stavano preparandosi
a loro volta a quella lotta di mine che sul vicino Col di Lana e sul Castelletto aveva avuto luogo.
La direzione dei lavori per lo scavo di questa galleria venne affidato al Tenente Fernando Mammi del Genio, il quale disponeva,
oltre che di alcuni uomini della Sezione Fotoelettrica col Sottotenente Giuseppe Schiavoni, anche di alcune squadre di fanti
e alpini del battaglione Val Cordevole.
Il Mammi, che aveva già curato l'impianto delle nuove teleferiche della regione e installato il macchinario per la perforatrice,
escogitò, per il trasporto del materiale, nel tratto in pendenza, un ordigno azionato da un argano, e per il taglio del ghiaccio
ideò una macchina ingegnosa, che venne appositamente costruita in un paio di settimane dalle Officine Marelli di Milano, sotto
la diretta sorveglianza dell'ufficiale progettista. Consisteva esso in due grandi seghe a disco, portate da un telaio oscillante,
sostenuto a sua volta da una slitta; le seghe erano azionate da un motore elettrico e la corrente era fornita da un gruppo
elettrogeno a benzina. Con questa macchina si ottenevano tagli verticali dell'altezza di due metri, distanti fra loro 30 centimetri,
e i prismi di ghiaccio che ne risultavano si potevano staccare dalla massa con facilità. Lo scavo di questa galleria venne iniziato
in aprile, partendo dal lato ovest della Forcella Seràuta e proseguendo a mezza costa del Crestone di Seràuta, sul lato verso il
ghiacciaio in direzione della Forcella a Vu.
Si era però cominciato troppo tardi, senza tener conto che la primavera ormai avanzata portava allo scioglimento delle nevi
ed alla conseguente riduzione della coltre nevosa.
Verso la fine di aprile, dopo aver scavato circa centocinquanta metri di galleria (che gli alpini chiamavano «Pozzo di S. Patrizio»
perché era evidente che mai si sarebbe raggiunto il fondo) ci si accorse che la galleria sarebbe affiorata prima ancora di raggiungere
il ghiacciaio, e i lavori vennero sospesi. Il Colonnello Peppino Garibaldi
diede allora ordine che venisse scavata una galleria nella roccia, dalle nostre posizioni di quota 3.065 in direzione della Forcella
a Vu. Si stava inoltre scavando una galleria nel ghiacciaio, dalla Forcella Seràuta in direzione del Sass delle Undici, seguendo la
linea di massima pendenza. Era questo lo scavo che presentava le maggiori difficoltà, in quanto, data la forte pendenza del terreno,
diventava particolarmente duro trasportare dalla parte italiana il ghiaccio ricavato nell'escavazione. Inoltre, come abbiamo visto,
la sorveglianza austriaca sul ghiacciaio era particolarmente attenta e difficilmente si sarebbe lasciata sorprendere da una incursione
in tale settore.
Maggiori probabilità di riuscita aveva la galleria in direzione della Forcella a Vu. Il nucleo minatori, al comando del Sottotenente
Giuseppe Schiavoni, disponeva di un impianto generatore d'aria compressa con due martelli perforatori, capaci di un'avanzata di
complessivi quattro metri al giorno, lavorando a turni senza interruzione.
I lavori ebbero inizio il 4 luglio 1917 e durarono esattamente 79 giorni, sino a quando la galleria andò a sbucare nella caverna
austriaca di Forcella a Vu. Il tracciato da seguire, sia in direzione sia in elevazione, era affidato piú che altro all'intuito del
Sottotenente Schiavoni, in quanto non esistevano apparecchi di misurazione. Per i primi 80 metri, egli usciva di pattuglia, durante
la notte, con due alpini muniti di bindella misuratrice. Questo controllo, che veniva effettuato di regola ogni tre o quattro giorni,
non fu piú possibile quando la galleria superò lo sbarramento dei reticolati austriaci.
Malgrado queste rudimentali misurazioni a vista, la galleria raggiunse esattamente l'obiettivo prefissato.
Essa era lunga 248 metri, piú una deviazione di circa sedici metri per aprire una finestra sul canalone della Scésora per ottenere
il ricambio d'aria. Lo scavo fece alcune vittime: il 16 luglio per lo scoppio di un candelotto di gelatina congelata perse la vita
l'Alpino Del Farra e altri due suoi commilitoni rimasero feriti gravemente; il 5 agosto un incidente portò via la mano destra al
capo-fuochista Luigi Premoli di Milano. Per far ottenere al Premoli la pensione come mutilato di guerra, lo Schiavoni disse ch'era
stato lui a ordinare l'uso della cartuccia di gelatina esplosiva per l'accensione delle micce, e cosí si buscò quindici giorni di
arresti dal Comando di Corpo d'Armata. Il colonnello Garibaldi propose
il Premoli per una ricompensa al valore, ma gli avvenimenti che ne seguirono (ritirata al Piave) dispersero tutti gli incartamenti
della Divisione, e di quella proposta non si parlò piú.
Il 12 agosto il telegeofono, le cui piastre d'ascolto erano disseminate sul ghiacciaio, registrò dei rumori sospetti che furono subito
classificati come lavori di una contromina austriaca. Da quel momento gli italiani accelerarono al massimo il lavoro nella loro
galleria. Si venne quasi a stabilire come una specie di gara, per giungere sulla Forcella a Vu prima che gli austriaci li bloccassero
con l'esplosione di una mina sotterranea.
Il 17 settembre, gli alpini-minatori fecero cadere l'ultimo diaframma della galleria, sbucando sotto una guglia rocciosa indicata
con il nome di Ago, e in quel punto ricavarono una piccola piattaforma.
Da qui, con un'improvvisata scaletta a pioli appoggiata alla parete, una pattuglia d'assalto occupò - il giorno successivo - il ciglio
dell'Ago, e di là attaccò risolutamente alle spalle il presidio di una trincea austriaca. I difensori si ripararono nella galleria
scavata sul fondo della Forcella a Vu. GLi italiani, dopo aver incendiato le baracche austriache, si ritirarono, lasciando un solo
posto di osservazione sull'Ago. Gli austriaci, poco dopo, reagivano con un violento lancio di bombe a mano contro le posizioni che
avevano dovuto abbandonare, ma queste erano sgombre. Intanto i minatori continuavano a scavare nella roccia dell'Ago, che speravano
di attraversare da parte a parte (sei metri di galleria).
Il giorno 19 settembre, verso le ore 21:00, essi avvertirono che i loro due martelli pneumatici non incontravano piú resistenza
nella roccia. In un primo tempo pensarono d'aver raggiunto il loro obiettivo ma, udendo alcuni rumori provenire dall'altra parte
del diaframma ormai sottilissimo, si convinsero che doveva trattarsi di ben altro. I loro fori avevano intaccato il ricovero in
roccia occupato dagli austriaci. I minatori italiani non ebbero, infatti, neppure il tempo di ritirare i loro attrezzi, che alcuni
rapidi colpi di fucile furono sparati attraverso i fori, uccidendo due minatori.
Gli austriaci, negli ultimi tempi, erano molto vigili e tenevano nelle gallerie, accanto ai minatori, anche delle pattuglie d'assalto
sempre in stato di all'erta. La sorpresa, in ogni modo, fu di breve durata: i due fori furono subito otturati e contro il diaframma
divisorio furono ammucchiati dei sacchetti con materiale di scavo, in modo da proteggere gli uomini da altre sorprese. Dopo qualche
giorno si decise di far saltare con una mina la parete divisoria, per poter attaccare con la massima risolutezza quella insidiosa posizione sotterranea.
Il 19 settembre, tutte le artiglierie italiane e le bombarde disponibili concentrarono il loro fuoco sulla Forcella a Vu ed i suoi accessi,
mentre i minatori praticarono nella parete rocciosa otto fori di mina, che furono caricati con esplosivo di alto potenziale. Quando
tutto fu pronto - alle ore 00:45 del giorno 20 - l'artiglieria sospese i suoi tiri e la mina venne fatta esplodere. Attraverso il
varco aperto nella roccia gli arditi entrarono nella vasta caverna nemica. Dal fondo di questa, e nell'oscurità piú completa,
partirono alcune nutrite scariche di fucileria e vennero lanciate alcune bombe a mano. Gli italiani si tennero allora al riparo,
perché non riuscivano a rendersi conto del luogo in cui si trovavano, né della provenienza dei colpi.
Poi, orientandosi con delle lanterne, un gruppo di ardimentosi avanzò a tastoni fino al centro del cavernone, dove improvvisarono un
breve riparo con sacchetti di terra, dal quale cominciarono a rispondere al fuoco austriaco.
Di lí a poco essi riuscirono a piazzare anche una mitragliatrice che prese immediatamente a sventagliare le sue raffiche nell'oscurità.
Alle ore 04:20 del mattino, finalmente, gli austriaci abbandonarono il cavernone e i suoi sbocchi, lasciando nelle mani italiane un
prigioniero e materiale vario: sacchi a pelo, casse di bombe, mazze ferrate, fucili, ecc.
Con questa operazione, tutta la parte orientale della Forcella a Vu era caduta nelle mani italiane, e il merito andava ai plotoni
d'alta montagna del 51° Alpi. A causa dell'oscurità, si dovette attendere il giorno dopo
per continuare la fortunata operazione. Tra i feriti di quella giornata ci fu il Tenente Giuseppe Enoch, comandante del reparto
assalitore, colpito da una pallottola a una mano.
Il giorno seguente, 21 settembre, dopo che le artiglierie italiane nuovamente ebbero martellato la Forcella a Vu e le sue adiacenze,
altri nuclei di fanteria si calarono dal cavernone sulla Forcella, riuscendo a impadronirsi di altre due gallerie. Per tutto il resto
della giornata la posizione venne battuta dall'intenso fuoco dei cannoni austriaci. Alle ore 20:30 del giorno 22, si ebbe un tentativo
di rioccupare di sorpresa una delle gallerie, ma i soldati italiani respinsero l'attacco. Nel furioso corpo a corpo che ne era seguito
restarono feriti alcuni ufficiali: il Maggiore Menotti Garibaldi ferito
al viso da un colpo di mitragliatrice (il fratello, Capitano Sante Garibaldi,
lo sostituiva nel comando della posizione), il Tenente Bonacina della 206ª compagnia, anch'egli ferito al viso, il Tenente Giuseppe
Schiavoni ferito leggermente a una mano e al ginocchio, e il Capitano Bonifacio in modo abbastanza grave.
Furono fatti cinque prigionieri i quali, interrogati, riferirono che sul ghiacciaio (anzi nell'interno del ghiacciaio) erano state inviate
due compagnie d'assalto per riprendere, a ogni costo, le posizioni perdute.
Nel frattempo i minatori italiani che proseguivano le perforazioni nel braccio sinistro della galleria accertarono che la contro-mina
austriaca stava avvicinandosi rapidamente alla Forcella a Vu. Se quest'ultima galleria non aveva potuto impedire l'occupazione da parte
degli italiani, ora poteva far saltare in aria il presidio che la occupava.
Il 26 settembre, alle ore 04:30, il Tenente Flavio Rosso, che sostituiva nel
comando di reparto un ufficiale rimasto ferito, con una rapida azione riusciva a prender possesso di un'altra galleria (ovest) austriaca,
dopo aver messo in fuga gli occupanti. Erano trascorse poche ore da questa brillante azione quando, verso le 09:00, lo scoppio della
poderosa mina austriaca sconvolgeva rovinosamente la Forcella a Vu, danneggiando gravemente la galleria da poco occupata. Nell'enorme
massa di macerie, trascinata da grande altezza nell'immane voragine sul Pian d'Ombretta, furono sepolti una quindicina di uomini del
51° con il loro comandante.
La posizione austriaca sovrastante la Forcella a Vu era completamente devastata dal tiro delle artiglierie italiane, che avevano
smantellato anche la ripida galleria di ghiaccio che conduceva alla postazione d'artiglieria. Per impedire altre infiltrazioni,
gli austriaci munirono di cavalli di frisia tutti gli accessi delle loro gallerie, intasandone le estremità rivolte verso la Forcella
a Vu con sacchetti di sabbia.
Questo combattimento nelle viscere del ghiacciaio pose termine alla lunga lotta per il possesso della Forcella a Vu, ed entusiasmò le
truppe del Seràuta, incitandole a proseguire nell'azione intrapresa. Il Generale Porta, comandante della 18ª Divisione, riferiva il fatto
in questi termini:
"Stamane, alle ore 9, la galleria 'A' sbucava nel fondo di Forcella a Vu, rendendo cosí sicure e permanenti le comunicazioni. In onore
del prode ufficiale caduto vittima della mina austriaca, ho disposto che la galleria in parola, da ora in avanti, venga chiamata 'Galleria Rosso'".
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