La Marmolada d'Ombretta
Settembre - Ottobre 1917
La lotta sotterranea fu continuata senza tregua anche nelle settimane seguenti. Gli austriaci intensificarono i
lavori di una nuova galleria che stavano scavando nel ghiacciaio verso la Forcella a Vu. Contemporaneamente avevano
aperto altre gallerie in direzione delle posizioni italiane, con apposite caverne di ascolto per spiare ogni mossa.
Gli italiani avevano ormai preso l'iniziativa in quel settore e non intendevano cederla, specialmente ora che sulle
posizioni del Seràuta c'erano gli alpini.
La 206ª compagnia, dopo circa un mese trascorso a Malga Ciapèla, il 28 settembre 1917 salí alle posizioni del Seràuta,
dando il cambio alla 276ª, che in quel periodo era agli ordini del Capitano De Vera. Il comando di compagnia si
stabiliva alla quota 3.065, allo scopo di studiare meglio la possibilità di occupare l'ormai famosa quota 3.153.
La situazione del Seràuta era in quel momento la seguente: sulla punta omonima erano dislocati un plotone di alpini,
una sezione di artiglieria da campagna, una sezione di bombarde da 240, una sezione di mitragliatrici, la 24ª batteria
da montagna quasi al completo, servizi vari e comando di settore. Sulla quota 3.065 e la Forcella a Vu erano dislocati
altri due plotoni di alpini, un nucleo di fanti dei plotoni d'alta montagna e la sezione mitragliatrici della 206ª compagnia.
Qui la sistemazione italiana non era molto felice: la Forcella a Vu, pur essendo in mani italiane, era in precarie
condizioni di difendibilità perché soggetta alla quota 3.153 (spalla ovest) ancora occupata dagli austriaci. Al pinnacolo
dell'Ago si accedeva per la Galleria Rosso (che attraversa la spalla di quota 3.065) ma il piccolo posto che si trovava
lassú era costantemente tenuto sotto il tiro delle mitragliatrici austriache. Altri due piccoli posti erano situati
sull'orlo del ghiacciaio fra la posizione dell'Ago e la baracca ufficiali di quota 3.065, sul versante che guarda verso
Forcella Seràuta. Un camminamento, coperto con sacchetti di ghiaia, attraversava la Forcella a Vu e permetteva di
raggiungere un altro piccolo posto situato all'altra estremità della forcella stessa. Verso Antermoia, in posizione
ben defilata sorgeva una baracca per le truppe di riserva.
Prima di tentare l'occupazione della quota 3.153 il comando della 206ª compagnia ritenne necessario migliorare le
condizioni di difesa intorno alla quota 3.065, e perciò richiese urgentemente i seguenti materiali: un compressore
a benzina, legname e ferro per la costruzione di scale, corde metalliche e attrezzature da mina. A breve distanza dalla
Forcella a Vu, nell'interno della Galleria Rosso presso uno dei fori che avevano servito allo scarico del materiale,
venne aperta una spaziosa caverna ad uso dormitorio e luogo di raccolta per un plotone.
Un ufficiale della 206ª doveva risiedere in permanenza sulle posizioni della Forcella a Vu, un altro doveva sempre
stare nella galleria con il plotone di riserva. Sulla Forcella a Vu si costruí una postazione in cemento per mitragliatrice,
destinata a battere le provenienze dal ghiacciaio. Anche la postazione dell'Ago fu convenientemente migliorata, ma l'insieme
della difesa italiana aveva un punto assai debole, costituito dall'intaglio verso la quota 3.153, interamente dominato dalla
postazione che gli austriaci avevano predisposto alle cosidette «roccette». Per rimediare, almeno in parte, a questo inconveniente,
il comandante della 206ª compagnia stimò opportuno far eseguire lo scavo di una galleria nel ghiaccio, in direzione di quella
austriaca (pure nel ghiaccio) per mezzo della quale gli austriaci comunicavano dalla crepaccia terminale con la posizione
delle roccette.
Il lavoro si concluse il 24 ottobre e venne ispezionato dal colonnello Garibaldi,
il quale poté personalmente constatare che la galleria stava per raggiungere quella austriaca, di cui si udivano ormai le voci.
Era il pomeriggio del 24 ottobre: nel campo italiano si venne alla determinazione che non si poteva piú attendere l'arrivo degli esplosivi adatti,
e il comando decise di caricare la contromina con granate da 240 mm e con tutte le cassette di gelatina esplosiva che si potevano reperire sulla posizione.
Il piano d'attacco era il seguente: dopo l'esplosione, le artiglierie avrebbero concentrato i loro tiri sulle posizioni avversarie
del ghiacciaio, mentre una forte pattuglia, al comando del Sottotenente José Silva, doveva calarsi dalla quota 3.065 sul cratere prodotto
dalla mina, e di là raggiungere le gallerie nemiche. Un'altra pattuglia, agli ordini del Capitano Baruchello della 206ª, doveva
entrare nella galleria di mina, passando poi in quella austriaca, per raggiungere di là le «Roccette». Il resto della compagnia
sarebbe rimasto di riserva alla quota 3.065 e alla Forcella a Vu.
Non era stato possibile prevedere quali sarebbero stati gli effetti di una mina di tali proporzioni nel ghiaccio, ma la potente
carica faceva comunque sperare gravi conseguenze per il nemico. Nella notte del 24 ottobre, alle ore 03:30, un esploditore
elettrico faceva brillare l'improvvisata mina, mentre le artiglierie e le bombarde italiane tenevano sotto il loro tiro tutti gli
accessi del ghiacciaio. Vampe di fuoco e di fumo si alzarono paurosamente, accompagnate da un boato fragoroso. La parte terminale
del ghiacciaio, verso la Forcella a Vu, ne fu tutta sconvolta: grossi lastroni precipitarono verso Fedaia, mentre tutto intorno
il terreno apparve subito chiazzato da grandi macchie nere e gialle. Per venti minuti durò il concentramento delle artiglierie
in quel punto: cessato il fuoco (verso le ore 04:20) uscirono le due pattuglie, com'era stato stabilito. La pattuglia del
Sottotenente Silva trovò, invece del supposto cratere, un ammasso di lastroni di ghiaccio che ostruiva le gallerie austriache,
intasandone ogni accesso. Il nucleo del Capitano Baruchello, formato da quattro alpini e da un sergente di fanteria, con un
lanciafiamme penetrò nella galleria, ma si trovò avvolto dai gas dell'esplosione. Le due pattuglie dovettero rientrare a
Forcella a Vu, tentando poi di raggiungere allo scoperto le «Roccette», ma non vi riuscirono poiché il presidio austriaco,
rimasto incolume, oppose accanita resistenza agli assalitori.
Nei giorni che seguirono, essendo già avvenuto lo sfondamento a Caporetto, gli austriaci issarono sulla crepaccia terminale del
ghiacciaio dei grandi cartelloni annuncianti le loro strepitose vittorie. Questi cartelloni venivano regolarmente abbattuti dai
colpi precisi dei pezzi da montagna italiani. Le scritte di scherno austriache non ebbero altro risultato che quello di affrettare
i preparativi per la progettata azione contro la quota 3.153. Era ormai evidente a tutti che, con la ritirata di tutto
l'esercito italiano al Piave e al Monte Grappa, anche la 4ª Armata avrebbe dovuto lasciare la zona, ma gli alpini sentivano in
cuor loro la necessità di compiere un'azione di forza, anche se improduttiva, per riconfermare la loro superiorità militare e
spirituale nel settore della Marmolada.
Essendo in quei giorni ricoverato all'ospedale il Maggiore Menotti Garibaldi,
il Capitano Baruchello lo sostituí nel comando trasferendosi alla Forcella Seràuta, mentre il Tenente Bruno Conz gli dava il cambio
nel comando della 206ª compagnia.
L'audace scalata della quota 3.153 ebbe inizio il 28 ottobre, e fu eseguita da un nucleo di otto ardimentosi alpini della 206ª compagnia,
tutti agordini, comandati dal Sergente Giacomo Dall'Osbel e dal Caporalmaggiore Pietro Dall'Osbel. Essi scesero da una delle aperture
di scarico della galleria Rosso, per mezzo di una scaletta di corda, fin sotto la Forcella a Vu, verso i canaloni della Scésora.
Oltre la forcella, percorsero un'angusta cengia che saliva a gradinate fin sotto il torrione di quota 3.153, superando uno strapiombo
assai esposto sull'immane precipizio, e salendo infine il canalino che portava alla sommità di tale posizione.
L'impresa, preparata con ogni cura e in tutti i particolari durante un'intero mese, con i mezzi e gli accorgimenti della piú moderna
tecnica alpinistica, venne portata a compimento senza particolari difficoltà. Il piccolo presidio austriaco, rimpiattato lassú,
fu catturato dopo una breve lotta. Il graduato austriaco, che comandava quel piccolo posto, venne trattato dagli alpini con grande
rispetto per il suo coraggio e l'alto senso del dovere di cui aveva dato prova. La promessa fatta di conquistare la quota 3.153 senza
ricorrere al pallone frenato era stata cosí mantenuta. Agli audaci scalatori, a compenso della loro impresa, fu promessa una licenza-premio.
L'occupazione della Marmolada d'Ombretta (quota 3.153) provocò una violenta reazione da parte austriaca: nella notte del 3 novembre,
infatti, il nemico fece esplodere presso la feritoia sul lato sinistro della Forcella a Vu, una piccola mina. Questa produsse danni
insignificanti e non fece vittime, poiché anche i due alpini che erano di vedetta su quella posizione riuscirono a sbucar fuori di
sotto il ghiacciaio e se la cavarono con qualche ammaccatura. Gli austriaci però, uscendo dalla galleria ov'era esplosa la mina,
riuscirono a impadronirsi della mitragliatrice rimasta momentaneamente incustodita.
L'ufficiale del presidio, nell'accorrere sul posto, precipitò nel pozzo di contromina: alle sue grida accorse il Sottotenente
Amos Gennaro dalla caverna-ricovero della Galleria Rosso e, sebbene disarmato, ebbe la presenza di spirito di lanciarsi urlando
contro il gruppo degli austriaci. Le sue grida, il suo aspetto coraggioso e la sua folta barba nera che lo faceva sembrare un disperato,
ebbero sul nucleo nemico un effetto impensato: essi abbandonarono l'arma di cui si erano impossessati e volsero a precipitosa fuga.
Sopraggiunti altri alpini con il Sottotenente Conz, la posizione fu nuovamente sistemata a difesa.
Ma ormai altri avvenimenti maturavano, in conseguenza dei quali si chiudeva per sempre la pagina gloriosa ed epica della Marmolada,
poiché era destino che quelle posizioni, conquistate, perdute, riprese e mantenute con tanti sacrifici, con tante fatiche e con tanto valore,
fossero abbandonate.
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