Inverno

Dicembre 1915 - Marzo 1916

In questo ultimo scorcio del 1915, sulla Marmolada le condizioni atmosferiche si rivelarono subito particolarmente difficili, con disastrose conseguenze sulla situazione sanitaria delle truppe, soprattutto nelle zone più elevate e fra i reparti meno preparati e inadeguatamente equipaggiati. Per prima cosa si dovettero assicurare le comunicazioni e predisporre i mezzi per lo sgombero delle nevi, modificando certi percorsi maggiormente esposti al pericolo delle valanghe. Anche le posizioni di prima linea, dovettero essere convenientemente adattate, scavando camminamenti nella neve e collocando corde o funi metalliche nei punti più difficili e pericolosi. Le teleferiche fecero la loro comparsa più tardi.
Le trincee vennero ricoperte e completate con elementi talora scavati solamente nella neve. Si dovette rinunciare ai reticolati fissi per allestire gabbioni e cavalli di frisia, da gettare sulla neve, man mano che essa montava in altezza. Dov'era possibile, gli avamposti furono sistemati in minuscole baracche, protette con sacchetti di sabbia o in caverne faticosamente ricavate nella roccia.

Per difendere gli uomini dal freddo, spesso rigido e tagliente a causa del vento, si fece una distribuzione di coperte supplementari, camicie di flanella, calze, guantoni di lana e passamontagna, tutti oggetti di equipaggiamento necessari ma di cui non si disponeva mai in quantità  sufficiente. Per gli uomini in servizio di pattuglia furono adottate tute mimetiche di tela bianca, da indossare sopra la divisa. Si fornirono inoltre ramponi da ghiaccio, piccozze, corde manilla, racchette, sci e occhiali da neve. Fu pure necessario escogitare ingegnosi scaldini per le vedette, al fine di ovviare, o almeno ridurre, i numerosi casi di congelamento, verificatisi purtroppo numerosi fra i reparti di fanteria dislocati nella stessa zona. Infine per le truppe impiegate in lavori molto faticosi e per quelle maggiormente esposte alle intemperie, si ottenne un'integrazione rancio, con un supplemento di cibi e bevande calde, e di quando in quando anche con i cosiddetti viveri di conforto.

L'inverno, d'altronde, non impedì (sia da una parte sia dall'altra) qualche colpo di mano, dovuto talvolta a iniziative personali. Anche le opposte artiglierie continuarono i loro quotidiani scambi di colpi sui punti ove gli osservatori segnalavano l'apparire di nuove opere o lo svilupparsi di una maggiore attività.
A tal fine, il 13 gennaio 1916, il Capitano Andreoletti con il Tenente Francesco Barbieri, che allora comandava la sezione mitragliatrici del battaglione Val Cordevole, e con due ufficiali del 3° Gruppo Artiglieria da Campagna, s'inerpicò su diversi torrioni delle Creste di Costabella, allo scopo di trovare una postazione adatta per un pezzo da 70 da montagna, destinato a battere certi punti che non potevano essere colpiti in altro modo dalle artiglierie italiane. Due giorni dopo, il Maggiore Sala comandante del battaglione Val Cordevole partiva per la licenza invernale, e il Capitano Andreoletti assumeva il comando interinale.
Nei giorni seguenti, venne provveduto al difficile e faticoso trasporto dalla quota 2.885 alla quota 2.801 delle Creste di Costabella del pezzo da 70 e del relativo munizionamento. Al traino provvidero dodici alpini, coadiuvati da tre artiglieri e da alcuni mitraglieri, seguendo un itinerario che, in parte, si svolgeva sul versante della Val S. Nicolò, e pertanto in vista degli austriaci. La notte seguente (tra il 23 e il 24 gennaio) venne completato il trasporto delle munizioni e di quanto altro potesse occorrere.

L'attività austriaca, in quel periodo, era forse piú intensa, grazie al terreno piú praticabile e ai mezzi di cui disponeva. Infatti per quanto riguardava i trasporti, potevano valersi di alcune teleferiche, come quella che da Ciampei saliva al Banco della Campagnaccia, e l'altra che collegava la Val Contrín con la posizione della Fortezza al Piccolo Vernèl. Oltre alle numerose trincee scavate un po' dappertutto, gli austriaci avevano allestito anche camminamenti coperti che collegavano fra loro le varie posizioni. La zona intermedia, fra i due schieramenti, era incessantemente visitata da pattuglie di sciatori, contro le quali, gli alpini, annidati sulle Creste di Costabella, sparavano in ogni favorevole occasione.

Fra le insidie della montagna, in questo periodo, la piú grave era certamente quella delle valanghe, che non era sempre possibile prevedere ed evitare. Le prime vittime si ebbero nella notte del 26 dicembre, quando una grossa slavina travolse il ricovero della truppa che era stato sistemato nel vallone fra il Rifugio Ombretta e il Passo d'Ombrettòla. Ne furono vittima dodici soldati del 51° Alpi, di cui solo quattro poterono essere salvati.
Il 25 febbraio un'altra potente valanga, staccatasi da Cima Colbelli travolse tre alpini della 266ª compagnia, che sgombravano la neve intorno al pezzo d'artiglieria di quota 2.801 sulla Costabella. Uno solo di essi poté essere tratto in salvo. Altre valanghe si staccarono da Cima Valbruna, dal Crep di Roi causando altre vittime e rovine. Al Sass del Mul, dove il plotone autonomo del Belluno aveva stabilito una sua piccola base, la valanga seppellí la baracca senza però demolirla. Gli alpini che si trovarono imprigionati all'interno, resisi immediatamente conto della situazione, con grande presenza di spirito puntellarono il tetto dall'interno e riuscirono a mettersi in salvo, scavando un cunicolo nella enorme massa nevosa.

Ai primi di marzo, le valanghe furono cosí numerose e imponenti, da interrompere le comunicazioni fra Sottoguda, Malga Ciapèla e i Passi d'Ombretta e Ombrettòla. In particolare, quella precipitata il 9 marzo sulla località di Tabià Palazze, in Val Ciamp d'Arei, distrusse completamente i ricoveri della truppa e travolse duecento fanti del 51° Alpi, e con essi i Sottotenenti E. Bizzarri e L. Vassia. (fra le vittime di questa valanga vi erano anche quattro guardie di finanza e cinque artiglieri della 24 battería da montagna.)
Nello stesso giorno ne cadde una anche a Malga Ciapèla facendo sessanta vittime, e un'altra colossale all'imboccatura dei Serrai di Sottoguda, che travolse soldati, valligiani e lavoratori ausiliari. Nel registro dei decessi della parrocchia di Rocca Piétore, alla data del 12 marzo 1916 si trova scritto: "Il giorno 9 corrente, alle 9 circa, dal ripido pendio sovrastante Sottoguda, detto Livinal (verso Valbona-Franzei) precipitava in basso una colossale valanga di neve e abbatteva la vecchia casa e il fienile di Dell'Antonio Isaia (Buosso) con alcuni baraccamenti militari, danneggiava la casa di Dalla Torre Antonio (Bora) e seppelliva numerosi operai intenti allo sgombero della strada alla Varda, vicino all'imboccatura dei Serrai. Pochissimi si salvarono. Morirono circa 20 soldati e 70 muli appartenenti al 51° fanteria, e 19 operai, dei quali 18 di Sottoguda. Lo sgombero della neve per rinvenire i cadaveri durò tre giorni e mezzo, ma non tutti i seppelliti vennero ritrovati".

A Fuchiade i baraccamenti che costituivano ricovero per gli uomini e magazzino per i viveri e i materiali, furono gravemente danneggiati e in parte distrutti da una grossa valanga staccatasi da Cima Colbelli. Le vittime furono una quarantina tutte della 266ª compagnia, e tra esse il cappellano del battaglione, don Costanzo Bonelli. Le perdite subite, a causa delle valanghe, dal 51° Fanteria, nella zona fra il Passo d'Ombrettòla e il Monte Mesola, fino alla metà del mese di marzo (1916) risultarono di due ufficiali e 148 soldati morti, e di un ufficiale e 49 soldati feriti.

Già nell'autunno sul versante di Costabella, anche gli austriaci avevano adottato piccole baracche di legno al posto delle tende. Uno di tali ricoveri venne installato a quota 2.738, in soli due giorni, durante i quali i portatori effettuarono ben 750 viaggi per trasportare i vari pezzi della baracca. Una spaventosa bufera di neve colse i portatori al Banco della Campagnaccia, dove poi venne installata una teleferica (nella seguente primavera una valanga travolse stazione superiore di questa teleferica, trascinando a valle gran parte del macchinario). Altre valanghe si abbatterono nel settore austriaco della Costabella. Dalla gola dei Lastei di Costabella scrive Langes "i miei pionieri scavarono e puntellarono un camminamento coperto, praticando anche una galleria, dove in seguito venne installato un magazzino e costituito anche un posto di guardia protetto".
Il versante meridionale della Costabella era stato cosí ben approntato, che gli austriaci furono indotti a tentare una piccola avanzata in direzione della Val S. Pellegrino. Essi ritenevano, infatti, che a causa dell'enorme pericolo di valanghe, gli italiani dovevano aver ritirato tutti i loro posti avanzati sulla Cresta di Costabella. Fu cosí che, nel mese di marzo, in una notte di luna, una pattuglia comandata dallo stesso Langes, e formata da sei guide alpine, si dirigeva sulla Costabella. Contemporaneamente, piú ad est, veniva accennata un'azione dimostrativa per distrarre l'attenzione degli italiani. Era stato previsto che in caso di pericolo una mezza compagnia di truppe da montagna avrebbe dato loro man forte. Quando la pattuglia giunse a Cima Bocche si alzarono improvvisamente dei razzi colorati e la calma notturna venne rotta improvvisamente da un colpo di fucile, e la pallottola passò sopra le loro teste. La sorpresa era dunque mancata; ciò nonostante il gruppo proseguí in cordata lungo il ripido canalone, venendo in seguito raggiunto dalla mezza compagnia. Albeggiava quando la piccola colonna raggiunse la forcella che costituiva l'obiettivo previsto. Durante la sosta, una grossa frana si staccò improvvisamente dalla parete, travolgendo e trascinando in basso alcuni soldati, due dei quali furono poi catturati dagli italiani.

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